il rocker canadese Neil Young |
di Luca Ferrari
Viandante blues delle sette note. Poeta solitario dall'ispirazione sociale. Voce melodico-gracchiante. Chitarra distorta. Acustica. Classica. Elettrica. Neil Young, canadese classe '45 di Toronto. Scorpione di novembre. Ancora in giro per il mondo a suonare. Infaticabile armonica in locomozione d'alba. Neil Young, il rocker dalle generazioni infinite. Neil Young, l'ultimo dei grandi musicisti che sto ancora aspettando di vedere dal vivo.
Era l'estate del 1995 quando in un esausto luglio senza futuro feci la sua conoscenza. Su quell'unica rivista musicale che allora degnassi della mia lettura, Hard!, venne recensito l'album Mirror Ball. Un disco questo cantato e suonato dal musicista canadese insieme a una band che da un anno esatto avevo cominciato ad ascoltare con una certa intensità, i Pearl Jam. Per i miei allora ingenui diciannove anni fu naturale dirmi: “Ehi, se – questo tizio – suona con i PJ, deve essere un grande”. Così mi comprai l'album ed fu l'inizio di questa storia.
Passano pochi mesi e nei mix di cassette che realizzo con cadenza stagionale o meno, la presenza di Young guadagna sempre più minuti. Nel 1996 scopro due dei suoi album solisti, Harvest (1972) e Harvest Moon (1992). È infatuazione totale. Pochi mesi dopo mi compro appena uscito Broken Arrow (1996), suonato con i Crazy Horse. Atmosfera solitaria e poetica. Fin dal primo ascolto sembra di viaggiare a cavallo verso l'ignoto insieme ai nativi americani. Non cerco altro. Scrivere per conto mio con qualche minimo bagliore nell'oscurità. La chitarra di Neil è tutto questo, ed è insieme a me. Il 12 novembre 1996 sono a Roma per la prima volta ad assistere a un concerto dei Pearl Jam dal vivo. La band chiude lo show con la “neilyounghiana” Rockin' in a Free World.
Nuovo poderoso sussulto nel febbraio 1997 quando con minime conoscenze cinematografiche mi avvio in solitaria a vedere Dead man, di Jim Jarmusch. Il nome del regista non mi dice nulla. Il fatto che ci sia Jonny “mani di forbice” Depp non è sinonimo di nulla. La sola ragione per cui m'immergo nell'atmosfera poetico-onirico della suddetta pellicola è lui, Neil Young. Tutta la colonna sonora infatti è affidata alla sua anima graffiante. Esco dalla proiezione quasi scioccato. A oggi, dopo migliaia di lungometraggi, cinema e festival consumati, Dead man è ancora uno dei migliori prodotti del grande schermo cui abbia mai prestato occhio e sentimenti.
Il tempo ormai è maturo per andare a un suo concerto e inizio a tenere d'occhio i suoi "spostamenti". In quello stesso anno pareva sarebbe venuto ma poi il tour venne annullato a causa di un incidente domestico. Passa qualche mese e la coppia Neil & Jim fa tappa a Venezia, alla Mostra del Cinema. A ridosso del mio primo viaggio a Londra, Jim Jarmusch presenta il documentario The Year of the Horse, in occasione del trentennale della carriera del musicista canadese. Interviste datate 1967 e live contemporanei insieme ai Crazy Horse. Una seconda scarica possente di adrenalina che culminerà nella capitale inglese con l'acquisto del doppio cd live dall'omonimo titolo del documentario.
Il 1998 è un anno a dir poco sfiancante. Solo nel dicembre qualcosa si rimargina e quando l'ultimo dell'anno mi avvio con poche briciole di speranza a celebrare una nuova era tra dubbi e ribellioni interiori, in un triplice acquisto musicale c'è anche lui, ancora insieme ai Crazy Horse, con l'album Ragged Glory (1990). Nell'iniziale "Country Home" ritrovo scarpe e strade.
Nel 2000 esce il mio primo libro di poesie, Il magazzino dei mondi (Edizioni Passaporto). Aldilà di quanto celato, vi sono solo due espliciti riferimenti musicali, primo dei quali al rocker canadese. Nella terza poesia, Tracce di raccolti psichedelici, scritta il 3 dicembre 1998 in treno: “Sogno ancora di cantare di fronte a delle pecore, le tue spalle diventeranno quattro… anzi sei… Potrei diventare un eroe, diventerei più famoso di Neil Young, ma il cielo… il cielo non mi concede nuvole per restare…e azzurro per crederti”.
Gli anni passano. Macino concerti (e nel frattempo anche articoli musicali), ma con lui ancora niente. Neil Young continua a produrre e suonare ma non ci si riesce proprio a incrociare. All'Heinken Jammin Festival veneziano del 2010 ritrovo i Pearl Jam e ancora una volta chiudono lo show con "Rockin' in a Free World". La stessa canzone poi sarà eseguita come penultima nel recente show triestino. Una piccola consolazione. Almeno in tre occasioni ho sentito una sua canzone. Però non mi basta.
Piccolo passo indietro. Nel 2012 varco l'oceano per andare a trovare degli amici a Seattle, a poca distanza dal Canada. Quella terra (sognata molto prima di incontrare la musica di NY) la raggiungo in autobus attraversando il confine. Il walkman ormai non ce l'ho più, sostituito da un blando mp3. Per quel viaggio Neil non può non essere con me. Gli ultimi sprazzi statunitensi sostituiti poi da quelli canadesi della British Columbia vengono salutati dalla sua musica. E la penna si sottomette criptica ma felice:
“connotati in bianco e nero
da celebrazione anonima/ …vale un appunto, è
così dannatamente facile ricordare/... gli spartiti
sono tornati in mano ai suonatori/,
le fermate senza una mappa
sono le strade che ho interrotto
con il racconto incappucciato
della mia storia/ … le facce segnate dalla solitudine
di un momento
non sono più state capaci
di usare le proprie mani
per fare le trecce al proprio albero di natale”
(bus Seattle/Vancouver, listening Neil Young, 11.50, 28 Giugno ’12)
L'instancabile Neil continua a fare show ma mai con me davanti. L'attesa (maledizione) sembrava finita l'anno passato. Nell'estate 2013 a Lucca ero pronto per fare la sua conoscenza. La precarietà però mi sferra un micidiale montante. Perdo il lavoro due settimane prima del concerto e l'entusiasmo finisce sotto zero. No, non posso accettare di vederlo in questo stato. Tutto è già pesante. Rinunciare anche al suo live getta benzina su di un fuoco in un crescendo di perdita e totale abbandono.
Arriva il 2014. Un solo concerto di Neil coi Crazy Horse in Italia, a Barolo (Cn). Troppo lontano per il sottoscritto, per di più senza mezzi per arrivarci e troppi sodi per rendere il tutto possibile. Incasso un'altra delusione. Mentre l'indomani vedo il servizio in televisione inerente al suddetto show, penso tra me se mai ritornerà in Europa, promettendomi se necessario di andare questa volta anche all'estero. O chissà, meglio ancora, se mai dovessi io far ritorno in Canada, nella parte orientale questa volta, assistere a un live nella sua terra d'origine. Almeno una volta nella mia vita voglio provare l'emozione di ascoltare Neil Young e la sua musica dal vivo.
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Neil Young ed Eddie Vedder (Pearl Jam) |
HARD!, luglio 1995 - la recensione dell'album Mirror Ball |
la locandina del film Dead Man, e Neil Young |
il musicista Neil Young |
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