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domenica 6 luglio 2014

State of Love and Pearl Jam

Trieste, il cantante Eddie Vedder (Pearl Jam) © Simone Di Luca
Da Seattle all'Italia. Quasi 3 ore di concerto davanti a un pubblico di oltre 30.000 persone. A Trieste i Pearl Jam hanno fatto furore.

di Luca Ferrari

“...E di queste strade passate senza indicazioni non mi so dare spiegazioni/... Quello in cui credevo è ancora un letto intatto con il contorno a carboncino di una casa dove  una solitaria e rumorosa comunicazione è una canzone del futuro inneggiante al presente...”. Il rock senza confini dei Pearl Jam è tornato in Italia. Venerdì 20 giugno a Milano, domenica 22 giugno a Trieste.

A quattro anni dall’ultima apparizione nel Belpaese, al Parco S. Giuliano di Mestre (Ve) in occasione dell’Heineken Jammin Festival, i Pearl Jam sono tornati in Italia per due tappe del primo tour europeo del loro 10 ° album in studio, Lightning Bolt (2013), facendo due trionfali show allo stadio milanese di San Siro e al Nereo Rocco del capoluogo friulano. Nessuna band di spalla. Solo i musicisti Eddie Vedder (chitarra/voce), Stone Gossard (chitarra), Jeff Ament (basso), Mike McCready (chitarra), Matt Cameron (batteria), e il tastierista Kenneth “Boom” Gaspar.

Trieste, 22 giugno 2014, è il giorno dei Pearl Jam. Internet rivela la scaletta delle date precedenti ma la band di Seattle si sa, non propone mai la stessa track list. Dopo una sonnolenta partita dei Mondiali trasmessa sul doppio maxi schermo e con nuvoloni sempre lì a provocare timori del sempre più numeroso pubblico che va via via riempendo lo stadio, quando non sono neanche le h. 21, la band prende posto sul palco.

“...è difficile sapere a cosa sto andando incontro/
a nessuno interessa il modo di disporre
sassi e cuscini… solo poche parole
mi sono venute in mente
senza aggiungere sottrazioni d’immaginazione/
Sto provando qualcosa di diverso
che non mi è mai appartenuto prima/... oggi
le dichiarazioni di dove sono stato
le potrò rivolgere a qualcuno”
                                                          l.f

A rompere il ghiaccio è la "Versussiana" Elderly Woman Behind the Counter in a Small Town, seguita dalla meno celebre Low Light (Yield) e quindi la sorpresa Black. Una delle canzone più amate dai fan di tutte le latitudini. Direttamente dal primo album Ten (1991). È poi il momento della fresca Sirens e con essa ecco irrompere alle spalle della band la copertina dell'album Lighting Bolt che rimarrà poi fino a fine concerto.

Dal presente al  passato. Doppio Vs. consecutivo e Vitalogy con Why Go e Animal prima, seguite da Corduroy. Siparietto di Eddie a parte con classico brindisi rivolto ai presenti, la band non perde tempo. Suona e basta. Sfodera le possenti Getaway e Got Some, quindi la “ledzeppeliana” Given to fly, la poca cantata Leatherman (b-side del singolo Given to Fly), e la nuova e omonima dell'album, Lightining Bolt. Segue il primo singolo del suddetto album, Mind your Manners. Un rock possente erede (forse un po' troppo) della Sucker dei Motorhead

Dal più recente presente alle origini di Deep, quindi la toccante Come Back. È il momento di Even Flow. A chiudere la prima parte del concerto altre sei canzoni. Le più tranquille Down, Unthought Known, Infallible, quindi l'adrenalina lottatrice di Whipping, Do the Evolution e Rearview mirror. Una prima parte da “penotti” (lacrimoni) come si dice in dialetto veneto.

“Si ripresenta la sopravvivenza...
Non ho alcuna intenzione di frapporre
oscurità... La strada è già lunga
e la conclusione non pretende mai sequenze
di chiusura/...  per troppo tempo l’acqua
si prese il demerito di tutto quello
che poteva ancora ingigantire una minima
caduta/... l’addio a un passo/… il bisogno di restare
dove fossi per fermarmi/…  a dispetto dei piedi rocciosi
che intralciano la tua corsa,
è un costante battersi dentro il cuore"
                                                                        l.f

Dopo una breve pausa iniziano le due sessioni di bis, Encore 1 ed Encore 2, rispettivamente di sette e cinque canzoni. Apre la poco conosciuta Let Me Sleep, segue Crown of Thorns, cover dei Mother Love Bone, la band di Stone e Jeff pre-Pearl Jam. È il turno della sempre commovente e dolorosa Jeremy, quindi State of Love and Trust, Wasted Reprise, Life Wasted e Porch. Nella lunga parte strumentale niente stage diving cone agli inizi per Eddie. Oggi il cantante originario di San Diego ha una moglie, due figlie e il prossimo 23 dicembre spegnerà 50 candeline.

“… Avevo appena iniziato un viaggio
senza sapere da che parte guardare
rispetto alle ombre del futuro/... Annullato
ogni riferimento di sguardi ravvicinati,
tutto doveva continuare
a essere inghiottito… Non feci nulla
per impedire che tutto ciò avvenisse, poi un giorno
decisi di dare una forma
al sangue spiaccicato sul vetro
più “promislandianamente” ravvicinato...
Non provai nemmeno a prendere fiato… Mi  girai
dall’altra parte
e oggi guardo davanti a me, potendo
prenderle la mano”                                                                                                        
                                     l.f

Ultimo break prima della cavalcata finale con in sequenza Once, Alive, Rockin’ in a Free World (cover di Neil Young) e Yellow Ledbetter... “È  stato come se le note si dovessero ancora presentare/... È  stato
come se tra le nuvole troppo ingombranti
ci fosse spazio per qualcosa
cui non si poteva né guadare
né lontanamente immaginare/… Poi semplicemente
qualcuno di più ha riconosciuto che l’amore 
di un antico ragazzo si è affacciato
sulla delicatezza della nostra storia ricongiunta”
                                                                                         l.f

Crown of Thorns, performance by Pearl Jam in Trieste

Trieste, il bassista Jeff Ament (Pearl Jam) © Simone Di Luca
Trieste, il batterista Matt Cameron (Pearl Jam) © Simone Di Luca
Trieste, il pubblico al concerto dei Pearl Jam © Simone Di Luca
Trieste, il cantante Eddie Vedder (Pearl Jam) © Simone Di Luca
Trieste, il chitarrista Mike McCready (Pearl Jam) © Simone Di Luca
Trieste, il pubblico al concerto dei Pearl Jam © Simone Di Luca
Trieste, il chitarrista Stone Gossard (Pearl Jam) © Simone Di Luca

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