Mariah Carey ed Eddie Vedder (Pearl Jam) sul palco dei Grammy'96
Mariah Carey (in)canta. I Pearl Jam trionfano. Accadde tutto in una notte, alla 38° edizione dei Grammy Awards, il 28 febbraio 1996. Un'emozione indescrivibile.
La performance dal vivo e lo charme di Mariah Carey. Le parole controcorrente e la semplicità umana dei Pearl Jam. Cristallina tecnica vocale, incantevole. Genuini, gli artisti della porta accanto. Mariah Carey, il volto più dolce dello star system. I Pearl Jam, gli impavidi senza atteggiamenti da rock star pompose. Ho spesso vissuto grandi estremi musicali. Alla cerimonia di premiazione della 38° edizione dei Grammy Awards, svoltasi il 28 febbraio 1996 allo Shrine Auditorium di Los Angeles, Mariah Carey e i Boyz II Men aprirono la kermesse cantando One Sweet Day. I Pearl Jam trionfarono nella categoria "Best Rock Performance" con Spin the Black Circle .
Quando si hanno vent'anni la musica è ascoltata in maniera viscerale, specie se c'è il rock a scorrere nelle vene. Il rock dei Pearl Jam non era come il sound sanguigno dei Guns 'n' Roses. Il rock dei Pearl Jam era qualcosa di molto più introspettivo e profondo. Lacerante e totalizzante. Come poteva dunque "amalgamarsi" con le melodie da studio di Mariah Carey? A quel tempo un amico per l'appunto, mi chiese come fosse possibile riuscire ad ascoltare con la medesima passione i Pearl Jam e Maria Carey. Potrei rispondere che fossero i due lati della mia personalità. Speranzoso di una vita d'amore da una parte, segnato da un'esistenza fin lì vissuta con troppa sofferenza, dall'altra.
Il 28 febbraio 1996, zappando da un canale a un altro, scoprii essere trasmessa la cerimonia di premiazione dei Grammy Awards, fin dall'inizio E chi c'era a battezzrla? Lei, la divina Mariah Carey insieme al gruppo Soul R&B Boyz II Men, cantando One Sweet Day, duettata e contenuta anche nell'album Daydream, uscito pochi mesi prima e di cui avevo la cassetta originale. Mariah è splendida. Un incanto. Elegante. Raffinata. Sorriso felice. Chioma morbida. Canta con voce suadente. Agli artisti sul palco si aggiunge nel finale un coro gospel. Per tutta la performance mi dimentico di tante cose, trascinato tra le sue onde vocali. Seduto con le gambe incrociate sul letto, sento una carezza attraversarmi l'anima. Finita la performance sono già a scrivere.
Mariah Carey e i Boyz II Men cantano One Sweet Day ai Grammy '96
Proseguo la visione, convinto di aver già visto il meglio. Poi d'improvviso la voce fuori campo introduce che verrà presentano il Grammy per la Best Hard Rock Performance. "Oooh, finalmente si fa sul serio", penso. Primo sussulto, primi artisti in gara: gli Alice in Chains con la possente Grind, presenti in sala con il chitarrista Jerry Cantrell e il bassista Mike Inez. I secondi artisti chiamati sono loro, i Pearl Jam. con "Spin the Black Circle", canzone dal loro terzo album Vitalogy(1994). Mi parte un adolescenziale urlo di meraviglia. E' la prima volta che li vedo in diretta dal vivo. In quei pochi secondi che vengono inquadrati, riconosco solo il bassista Jeff Ament.
Si susseguono le altre band in gara, chiamando prima gli strepitosi Primus con la divertente Wynona's Big Brown Beaver; i Red Hot Chili Peppers con Blood, Sugar, Sex, Magik di cui sono presenti il neo-chitarrista Dave Navarro e il batterista Chad Smith; i Van Halen con The Seventh Seal. And the winner is... dice l'attrice "Friendsiana" Lisa Kudrow: "Ok, Spin the Black Circle... Pearl Jam". Stavolta la telecamera è tutta per loro. Si alzano. Fanno andare per primo il cantante Eddie Vedder, seguito da Ament, i due chitarristi Stone Gossard e Mike McCready, quindi (per esclusione) il neo-batterista Jack Irons, di cui non avevo mai visto una foto.
Vedder cammina deciso, poi sul palco prende il microfono ma le parole vanno in ben altre direzioni dei ringraziamenti a produttori e simili. Parla a segmenti, toccandosi nervoso spesso la testa. Dice poche cose, e mai banali. Appena può passa la parola a Stone, che subito cede volentieri il microfono a Mike per ringraziare chi conta davvero. Così, dopo l'iniziale Hi mom, Hi dad (ciao mamma, ciao papà) in totale controtendenza, saluta i "rivali" di Seattle, gli Alice in Chains. Rivali che proprio non erano, ma amici. E gli amici veri si sostengono.
La straordinarietà della scena di Seatte fu anche questo: le band non erano in competizione, cosa rimarcata anche da Joey Ramone nel documentario Pearl Jam: Twenty (2011, di Camron Crowe). Pearl Jam, Soundgarden, Alice in Chains erano praticamente una famiglia. Nirvana, Mudhoney, Tad. Tutti si conoscevano. Avevano suonato insieme e cosa ancor più incredibile, sfondarono praticamente insieme. E lì, nella fiera dei ringraziamenti pomposi, i Pearl Jam salutarono i loro amici Alice in Chains. Un'edizione quella dei 38° Grammy Award che vide il rapper Tupac Shakur chiamare i suoi "guys" Kiss, tornati al trucco originale come ai tempi migliori. Una presentazione del rapper ai Grammy, che sarà anche l'ultima. Il 13 settembre dello stesso anno infatti, sarebbe stato assassinato.
28 febbraio 1996. Ho solo diciannove anni e una vita alla costante deriva. Guardo ammaliato Mariah Carey. Vedo i Pearl Jam per la prima volta. Li vedo semplici e genuini. Dopo la premiazione eccoli sparire e per me i Grammy Awards finiscono lì. Qualche mese (e rivista) dopo, avrei ritrovato la band di Seattle a Roma, questa volta dal vivo per la prima volta. Il 12 novembre 1996. Ma questa è un'altra strepitosa storia. Una storia ancor più folle che vi racconterò venerdì 12 novembre 2021, a venticinque anni esatti distanza. Una storia che sarà pubblicata su Live on Two Hands - Le parole come non lo avete mai ascoltate. Intanto però, è tempo di intingere l'ultimo poetico capitolo di questa storia di musica grandiosa ed esistenza tormentata.
LA DOLCEZZA CHE MI SPINTONA
Notti nascoste
in plenilunio sussurrato... lì fuori,
una reazione senza postriboli
nel raccoglitore tagliente
delle emozioni... Una mano
senza scogli da cui essere contagiato,
e l'ultima confessione
sul cuscino abbandonato dei miei domani
Chiedo il responso
al mio cuore... Nemmeno
un sussulto... Chiedo
conferme all'immaginazione
del suo sorriso, il calco
della verità rotea scombussolato
nel labirinto di nuvole
Intendevo ottemperare
ai miei compiti di gratifico splendore,
ti dico che la vita è stata
continua... Forse avete creduto
che avessi voluto fare una pausa,
io parlavo di una lettera... un box
pieno di conchiglie e la luna
sono sempre stati i miei arnesi
per riprendere il cammino...
Vorrei che fossi
solo il mio mondo... Vorrei
che la verità
della tua marea potesse mettere
in stand by qualsiasi paradiso
potessimo mai dimenticare
insieme
Vorrei cominciare
a dirti che... Vedi questa penna,
è la mia mano... Non ho mai
creduto di poter
immaginare un cielo così delicato
…
Un giorno sono sicuro
sognerò qualcosa così vitale... Un
sogno abbastanza grande
da sfrattare le ambizioni della fine...
(Venezia, 28 Febbraio 2021)
I Pearl Jam vincitori delGrammy come Best Hard Rock Performance
Grammy Awards '96 - Mariah Carey canta One Sweet Day
Grammy Awards '96 - Mariah Carey e i Boyz II Men cantano One Sweet Day
Grammy Awards '96 - Mariah Carey e i Boyz II Men cantano One Sweet Day
Grammy Awards '96 - Mariah Carey canta One Sweet Day
Grammy Awards '96 - Mariah Carey e Wanya Morris (Boyz II Men) cantano One Sweet Day
Grammy Awards '96 - Mariah Carey canta One Sweet Day
Grammy Awards '96 - Mariah Carey e Wanya Morris (Boyz II Men) cantano One Sweet Day
Lisa Kudrow e Kris Isaak annunciano il vincitore del Best Hard Rock Performance
I Pearl Jam trionfano ai Grammy Awards 1996
Stone Gossard ed Eddie Vedder, chitarrista e cantante dei Pearl Jam
Stone Gossard ed Eddie Vedder, chitarrista e cantante dei Pearl Jam, sul palco dei Grammy
(da sx) I Pearl Jam sul palco dei Grammy Awards: Jack Irons, Mike McCready, Stone Gossard, Eddie Vedder e Jeff Ament
Mike McCready, Jeff Ament e Stone Gossard (Pearl Jam) sul palco dei Grammy
Sul palco dei Grammy Mike McCready (Pearl Jam) saluta gli Alice in Chains
Claudio Baglioni nel videoclip di Cuore di aliante
Il primo bacio con la propria amata non si scorda mai. A immortalare quel momento, un autore fino ad allora, a me sconosciuto, Claudio Baglioni e la sua iconica Cuore di aliante.
"[...] Io resto qua nell'irrealtà Dell'immenso velo del mio cielo a metà Sarà una nuova età o solo un'altra età Il volo di un eterno istante Nel mio cuore di aliante [...]". Ma che ci fa Claudio Baglioni tra Pearl Jam, Sex Pistols, Iron Maiden e altri valorosi "esemplari" del rock più autentico e rabbioso? Come può un artista, lontano anni luce dalla mia personale cultura musicale, scrivere il proprio nome in uno dei momenti più significativi della mia vita? Sembra incredibile eppure è tutto vero. Una reminiscenza lontana che sgorgò impetuosa dentro l'anima, cambiando per sempre il mio percorso umano. Avrei potuto scegliere About a Girl, dall'Unplugged dei Nirvana o qualche poesia sonora NeilYounghiana, invece no. L'ispirazione non nasce su commissione. L'ispirazione si presenta e basta.
Non sono mai stato un appassionato della musica di Claudio Baglioni, e di quella italiana in particolare. Non perché non apprezzassi il suo sound, semplicemente non era e non è il mio genere. Per dirvi, non ho neanche mezzo ricordo della sua storica "Piccolo grande amore". Poi successe qualcosa. Con le valigie già in mano e un biglietto del treno ansioso di trasformarlo in un viaggio di sola andata, qualcosa s'inceppò. Nel 1999 Baglioni aveva pubblicato il suo 13° album, Viaggiatore sulla coda del tempo. Un album che chiudeva una trilogia di dischi del cantante romano e che rappresentava il futuro. La cosa non mi toccò però quella canzone, Cuore di aliante, mi arrivò. La vidi. La ascoltai. Restò lì.
Passano gli anni. Passa molta vita sotto i ponti e come canta lo stesso Baglioni in Cuore d'aliante, "Perché il tempo se ne va e tutto tace". Non ho idea di cosa stia per accadere. Non dovevo essere nemmeno lì, e nemmeno lei. Qualcosa di immediato e amorevolmente naturale accade. Vedevo già il ritorno in un'altra città da me molto cercata (idealizzata), ma l'amore, quello vero, era dietro l'angolo ed ecco risorgere dai meandri della mia anima quel ritornello "IO RESTO QUA". Perché proprio quello? Non lo so, ma una cosa è certa. In quelle sortite notturne, rese immortali dall'amore vero, Claudio Baglioni elevò il mio cuore oltre qualsiasi altitudine mai immaginata. Molto più in alto di qualsiasi aliante...
L'EGEMONIA DEL NOSTRO PRIMO DOMANI
Il cartone della scialuppa, in partenza per l'El Dorado di turno non era un relitto, non era nemmeno un messaggero diretto... Mi sarei potuto fermare anche questa volta... Sarei potuto indietreggiare... Allora c'erano tante catene cui attingere, e il tramonto aveva sempre una cartellonistica di precedenza... Tracce sulla sabbia, tracce senza zoccoli ancora in forse sulla direzione da omologare...
Mi sono avvicinato alle tue mani... Ricordo di essermi avvicinato alle tue mani e tutto mi è stato chiaro senza scomodare la vista del passato... Mi sono avvicinato alle tue mani e da quel momento sei sempre stata ancora tu...
Nelle intersezioni delle domande il placido scorrere di una melodia adesso inseguiva la notte attingendo ogni volta a un nuovo messaggio d'amore con cui far ritorno... L'età dell'immortalità adesso aveva un volto e un domani verso cui anteporre più di un sogno
… Restare ha sempre avuto un significato di appartenenza emotiva, oggi l'ho trovato... Amare ha sempre avuto un significato di fuoriuscita divina... Elevazione incontrastata del nostro primo domani (Venezia, 23.04, 4 Febbraio '21)