A più di trent'anni dall'uscita dell'album Rust in Peace (1990, Megadeth), il testo di Holy Wars è ancora tragicamente attuale nella vita bombardata di troppi popoli.
La storia si ripete, dal singolo alla moltitudine pilotata. Agli inizi degli anni '90 l'heavy metal politico dei Megadeth non risparmiava attualità verso un mondo che sì, sembrava avesse voltato pagina dopo la caduta del muro di Berlino, ma in contemporanea, a un po' di latitudini più in là oltre l'ex-cortina di ferro, continuava a mietere vittime. Da quando venne pubblicato il possente Rust in Peace, è cambiato tutto, eppure la gente si comporta come se ogni cosa fosse uguale. Protesta allo stesso modo come se il loro impegno nelle sicure strade del proprio Paese, potesse cambiare qualcosa o ispirare non si sa bene quale fallace rivoluzione. No, non sta accadendo nulla di tuto ciò e a quei genitori che oggi seppelliranno il loro bambino, della nostra presa di coscienza non gl'importa un bel niete. Oggi, nel 2024, i fratelli si scannano ancora senza pietà. "Either way they die, they die" canta Dave Mustaine nella sempre tragicamente troppo attuale Holy Wars... "In ogni caso muoiono, loro muoiono".
BROTHER WILL KILL BROTHER
complici nel nostro attivismo
inconcludente... complici
nella lunghezza delle nostre coperte
ricamate di promesse
e orrori trascurati... è la gerarchia
della disumanità, quando anche l’ultimo
lembo di terra
sarà inondato del loro sangue,
qualcuno sarà appagato
e si troverà un altro vicino
a cui rifiutare
quella stessa fasulla pace che invocate
nell'ossessione
della vostra testimonianza
seriamente, perché dovrei
fare qualcosa? se proprio
devi andare avanti, annullerò
ogni pensiero... Comparirò
dalla sabbia senza nessun
preavviso...
vi sembro abbastanza stordito?
Ho rinunciato a combattere,
perché avrei dovuto agire diversamente?
fanno già tutto loro…
di chi pensi io stia parlando?
Credi davvero
che me ne starò per le strade
a crogiolarmi
nelle bugie più politicamente accettate
solo perché mi sono convinto
che gli angeli posseggano
i nostri più prolifici connotati?
ho rinunciato a vivere
per molti anni, e forse
è ancora così… ho rinunciato
a tutto quello
che mi avrebbe concesso macigni
per collegare più strade
questa è la mia casa,
non è stata ancora distrutta… sanno
chi siamo... ci hanno già pensato…
potete appendere tutte
le bandiere che volete, una bara
si è già sovrapposta a un'altra
non voglio i vostri frammenti
... ecco, qualcuno
si sta già avvicinando
e stai pur certo che non sarò
così amichevole... nella bava
dei giganti, che cosa
è rimasto a cui rinunciare ancora?
Il tempo degli errori
non prende più ordini da nessuno (Venezia, 19 Novembre '24)
Combattive ed esplosive, proprio come le alternative rock Veruca Salt. La graffiante Volcano Girls sembra proprio scritta per loro, le giocatrici di basket della Reyer Venezia.
di Luca Ferrari Decise. Unite. Combattive. Le giocatrici della Reyer Femminile sono proprio come l'alternative rock band Veruca Salt. Nel 1994, insieme a dischi strepitosi tra cui No Need to Argue (The Cranberries), Vitalogy (Pearl Jam), Experimental Jet Set, Trash and No Star (Sonic Youth), uscì anche American Things, l'album di debutto del gruppo anericano, capitanato dalla chitarriste-cantanti Louise Post e Nina Gordon. Tre anni dopo, fu la volta di Eight Arms to Hold You (1997), il cui primo singolo estratto è Volcano Girls, puro rock adrenalinico. Negli ultimi due anni mi sono avvicinato moltissimo alla pallacanestro, umanamente e culturalmente, aprendo anche la sezione "Rock & Basket" su questo sito. Ad alimentarne la passione, anche la squadra femminile della Reyer Venezia, e proprio la canzone Volcano Girls sembra scritta appositamente per loro. Apoteosi, quando cantano ringhianti "Volcano girls, we really can't be beat/ Ragazze vulcano, non possiamo davvero essere battute", e lì davvero riesco a rivedere le imprese di queste giovani atlete sotto canestro. Un gruppo che anno dopo anno, è diventato qualcosa di molto più profondo di una semplice squadra, proprio come le Veruca Salt.
UN’ALTRA VOLTA INSIEME
è un gioco… è una sfida...
un'azione di costante orgoglio
condiviso… una
fiaba in costante aggiornamento… è
una storia estroversa
e trionfale... zero preamboli
né mitologie da zattera
sulla terra della mia casa,
è sicuro che farò ritorno… non sono
intimorito
perché questo è il mio posto… è
la verità più immediata
di un tuono rossastro appena
rincuorato
siete arrivate a questo punto
della vostre vite… un granitico respiro
dopo l'altro... il mare leonino
onnipresente sull'estro
più sinceramente combattivo
è facile rivolgersi ai santi
quando l’esercizio del cronometro
impone la redenzione…
candida libertà,
non so che farmene
delle coccole ai miracoli
… i colori Collodiani della memoria
richiamano all'alba più gestuale
di una stella condivisa
Joker Folie à Deux - Arthur Fleck (Joaquin Phoenix) e Harleen Quinzel (Lady Gaga)
Quando il sentimento è forte, niente e nessuno può tenere separate due anime. Nel caldo e adrenalinico canto di Lady Gaga, The Joker, c'è tutta la passione di chi lotta per l'amore.
L'amore chiama. L'amore chiede. L'amore domina. Il mondo lì fuori è troppo spesso costellato di fionde graffianti. "Joker: Folie à Deux" (2024), il nuovo film di Todd Phillips presentato all'81. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, racconta in primis una storia d'amore. Una storia dirompente capace di andare contro tutto e tutti. Una storia d'amore che ha il potere di sbriciolare qualsiasi ostacolo si frapponga sulla strada dei due protagonisti. Lì fuori, c'è un mondo che confonde la disonestà con i buoni sentimenti. I sentimenti non possono essere più schiacciati. I sentimenti non devono per nessuna ragione venire meno. Niente e nessuno può e deve frapporsi nel buon cuore delle persone. Non m'importa di quello che hai trovare nel mazzo. Nessuno ti obbliga a giocare con le carte che hai ricevuto. Solo tu puoi davvero decidere qual è la strada che intendi percorrere in questo preciso istante della tua vita.
LA SPADA NON FA ERRORI
storia di coraggio
e profonda altrui ammirazione…
nenia sofferente
e mai arrendevole…
tu, donna nel mondo,
è la tua danza
fatta di passi ed emozioni...
tu, donna di questo mondo,
hai un cuore
che in pochi si meritano
di ammirare
Donna... sono testimone
della tua storia... Donna,
sono il primo testimone
della tua audacia
Riprenderai anche la tua culla...
dal fondo purpureo
dove i sassolini della battigia
si bagnano a ritroso
i missili lanciati
continueranno a frantumarsi a terra
… adesso quei missili
si perdono nello spazio
che hanno costruito senza domani
... e quei missili lanciati
non ti potranno più impedire
di tornare a casa
dove i caldi raggi del tramonto
si stringono ai vostri ricordi
più eternamente materni
Sento il tuo cuore tra sogni
e dimissioni … è la tua vicinanza
che mi fa risvegliare
… è la tua forza
con cui potrai plasmare ogni alba
i patti col destino sono muse abusate
incapaci di distinguere
un precipizio dal sangue più calorosamente
mattiniero
…
non assisterò al tuo cuore
sbriciolarsi
per loro... voleremo sempre dentro-fuori
le onde,
e avrai la tua vita felice
(Venezia, 14-15 Ottobre ‘24)
Lady Gaga - The Joker
Joker Folie à Deux - Arthur Fleck (Joaquin Phoenix) e Harleen Quinzel (Lady Gaga)
È sabato sera a Londra. Su e giù per la tube, orde di malinconici si aggirano. Vagano. Risorgono. Non c'è domani. C'è solo il malinconico sound solitario di Saturday Night (Suede).
È probabilmente una delle canzoni che ho più detestato da quando la vidi. Loro, gli Suede, emblema di quel Brit Pop che da ventenne non tolleravo proprio, poiché segnò il cambio generazionale da Seattleall'Inghilterra. E loro, gli Suede, esportatori di un sound malinconico-elettronico, non li potevo proprio reggere. Emblema di questa band, la sofferente Saturday Night (dal 3° album, Coming Up - 1996) di cui gran parte del videoclip si svolgeva nella tube, la metropolitana londinese, di cui viene immortalata la fermata di Holborn insieme (anche) al cantante Brett Anderson. Questa canzone ha sempre evocato ricordi di vite incompiute, schiacciate dalla pesante eredità di un passato che non lasciava spazio ad alcuna nuova radice. Lì sotto, per quelle strade solitarie così dannatamente romantiche, molti di noi hanno sacrificato qualcosa di amorevole nel nome di un'immortalità logorante e incongruente con qualsiasi stella scoperta. Potrei rivedere in non so quante città, i miei passi che fanno ritorno verso nessuna casa, credendo che bastasse credere nel sogno più dolce, per ricominciare lontani in qualche letto a castello dolcemente preparato.
Suede, era il 1996 o giù di lì quando imperversavano insieme ai colleghi d'oltremanica Oasis, Blur, Verve e Radiohead. Di lì fino alla fine del 1998 avrei vissuto, forse, i miei anni più estremi sul fronte della solitudine. Ogni tanto su MTV girava ancora Saturday Night e ogni volta che l'ha incrociavo, alla fine, nemmeno cambiavo più canale. Sapevo perché mi facesse male ascoltarla. Sapevo che mi avrebbe lasciato a terra, ma avevo poco con cui ribattere. E mi rendo ancora bene quanto abbia vissuto una vita simile al protagonista del videoclip di questa canzone. Ma come ho anche scritto in questo sito, di recente mi sono aperto al mondo della pallacanestro dal punto di vista culturale e non (vedi la sezione Rock & Basket), e proprio oggi, ho caricato una storia su Instagram sulle partite odierne con sottofondo di Saturday Night. Da lì, ecco l'ispirazione di questo articolo. Ma questa sera non sarò da solo a vagare per una città caotica alla ricerca di un'impossibile felicità. Questo sabato sera, sarò insieme a mio figlio e mia moglie, a guardare le nuove imprese della Reyer femminile.
UNA BOCCATA DI SOLITUDINE ESTREMA
È l’amore che non c’è...
è l’amore che fragilmente, non esisteva
... e non eravamo mai pronti
…. e ognuno al mondo
ci sembrava più forte
delle nostre emozioni
... e ognuno al mondo
ci sembrava meno solo di noi
… e ogni bacio
che indugiava sulla scala mobile
più lontana, era una lettera
che avremmo smesso di scrivere
… e ogni avviso
di strada interrotta
avrebbe dovuto insegnarci
a non essere
così definitivi con il nostro futuro
e quando
finalmente le porte non si aprivano
più, c'era una tomba,
c'era una lacrima
senza nome... senza margini
né volontà di recesso... e
ti sei mai chiesta
perché siamo stati così diagnostici
con il nostro futuro?
E quando finalmente il tunnel
si estraniava da ogni pensiero a se stante,
nessuno era più pronto
nemmeno per evacuare
l’ultima boccata di solitudine
… E se in uno di quei giorni
mi avessero detto
che me ne sarei andato
da tutto questo, perché
le avrei dovuto credere? Avrei
continuato a scrutare
il mondo dalla mia opaca incredulità,
rimandando la felicità
a non so nemmeno perché né quando...
(Venezia, sabato 5 Ottobre ‘24)
Tornare sull'isola del Principe Edoardo (Canada). Un sogno (d'amore) diventato realtà... ascoltando Dreamer (Lakelands), insieme ad Anna Shirley e Lucy Maud Montgomery.
di Luca Ferrari Questo è uno scritto che parla di sogni. Quei sogni che magari non si realizzano mai ma questa volta è stato tutto ancora più meravigliosamente intenso. Questo è un testo che parla di sogni realizzati ma non scriverò cose del tipo, "l'importante è crederci". Questa è la storia di un sogno che ho immaginato e ho realizzato insieme a voi. Questa è la storia di un sogno "NeilYounghiano" che ha un'unica tonalità: l'amore. Questa è la storia di una persona qualunque che è venuta da lontano ed è arrivata all'improvviso. Questa è la storia di Anna Shirley e la canzone Dreamer (Lakelands) che racconta la serie Anne With an E (la nostrana Anna dai capelli rossi), direttamente dai romanzi di Lucy Maud Montgomery. Questo è un sogno che si è sposato con la realtà più meravigliosa. Questa è la storia del mio ritorno sull'isola del Principe Edoardo (Prince Edward Island), in Canada, e di una indimenticabile corsa fatta con i piedi nell'acqua marnosa sulla costa dell'Argyle Shore Provincial Park. Parla solo il cuore e quello che provo insieme a voi.
HO SEGUITO IL MIO CUORE INSIEME A VOI
la nostra grande storia
di un sogno
che voglio realizzare ancora…
storia delle mie radici
che ho trovato
e non riesco a dimenticare
l’amore ha puntellato
i miei passi fino a questo porzione
di mondo… è l’amore
che ho sempre
desiderato... e l'amore
ha definitivamente ammainato
Il 19 luglio 1994 scrissi la mia prima poesia. Trent'anni dopo celebro le mie parole con il sound distorto della scena underground di Seattle, Come on Down (Green River).
Un'emozione potente e annichilente. Un bagliore di oscurità veritiera e autentica. L'inizio di un viaggio fino a un attimo prima, nemmeno immaginato (né desiderato). Il 19 luglio 1994 la penna colpì la carta per la prima volta. Tutto il resto, adesso, sono trent'anni successivi. E se non avessi iniziato a scrivere, che cosa avrei fatto? Me lo sono chiesto ogni tanto. C'è stato un tempo in cui mi sentivo un predestinato. Solevo ripetere "Non ho una vita, ho un destino". Nel giorno in cui 30 anni fa ho iniziato a scrivere, raccolgo un po' le idee ma il mio pensiero è uno scorrere impetuoso nel presente, sguazzando felicemente nella vita che mi sono costruito anche grazie alla penna, sebbene con alterne fortune. A coronare questo giorno, una band di cui non avevo mai scritto fino ad ora su Live on Two Hands, eppure di fondamentale importanza (non solo per il sottoscritto). Il gruppo che diede un contributo cruciale alla scena alternativa della Seattle di fine anni '80/primi anni '90, i Green River.
Come On Down inizia semplicemente distorta, garage e punk. La potenza sale, poi seguita da un cantato quasi biascicato-sussurrato e quindi esplode in un fragore di decibel tra rabbia sonora e delicatezza verbale. All'epoca della mia prima poesia, il 19 luglio 1994, non avevo la minima idea di chi fossero i Green River. Ci sarei arrivato di lì a un paio d'anni, eppure quando ho pensato a quale canzone potesse celebrare al meglio i miei 30 anni di scrittura, mi è subito venuta in mente Come On Down, primo singolo dell'omonimo EP(1985). I motivi di questa scelta sono piuttosto elementari. È la prima canzone pubblicata di una band che diede poi vita a quel movimento rock che segnerà per sempre la città di Seattle. È una canzone che parla di andare giù in senso metaforico, e nulla come il rock mi ha trascinato in un'altra dimensione. I componenti sono alcuni dei musicisti che ascolto da una vita e che ho stimato fin dagli albori, a cominciare dal cantante Mark Arm, e il chitarrista solista Steve Turner, poi entrambi nei Mudhoney. Due persone che ho avuto l'onore di incontrare in quella che è stata l'intervista più sentita di tutta la mia attività giornalistica.
L'altro chitarrista dei Green River è Stone Gossard, futuro membro dei Mother Love Bone, Temple of the Doge Pearl Jam, sempre al fianco del bassista Jeff Ament, Green River inclusi. Mi è sempre piaciuto Stone perché lontano anni luce dagli stereotipi della rock star. Un viso qualunque della porta accanto capace di suonare in modo strepitoso. I suoi progetti paralleli ai Pearl Jam hanno sempre prodotto musica di altissimo livello, a cominciare dai Brad del compianto Shawn Smith (1965-2019). Stone Gossard è per certi versi l'emblema del rock come l'ho sempre sentito. La semplicità al potere. Come On Down fu l'inizio per la Seattle più conosciuta, e oggi, trent'anni fa, andava in scena il mio battesimo delle parole. Guardate la foto in primo piano. Scrissi il verso della canzone (sbagliato) in una di quelle eterne giornate solitarie senza nessun avamposto verso il domani. Appiccicato sul vetro del bagno. Una di quelle notti dove la bussola dei sogni s'incastrava tra sali e scendi ed ermetismi più estremi.
"Lift your eyes to the skies above Come on in, feel my love A little bit here, a little piece there Pieces of love everywhere... [...] Sinceramente non ho idea se il video qui riportato da Youtube fosse quello originale, ammesso che ce ne sia mai stato uno, o meno. L'ho visto e mi è piaciuto. L'ambientazione così onirico-psichedelica, tale da riecheggiare i demoni della futura serie I segreti di Twin Peaks di David Lynch, ambientata a North Bend (Wa), poco distante da Seattle.
Ci sono stati anni dove pensavo che la mia vita sarebbe stata sempre e solo scrivere. A dispetto di certi desideri innocenti, dentro di me non mi sentivo adatto a una vita familiare (quanto è bello ricredersi alla grande, ndr). Il 19 luglio 1994 iniziai a scrivere in inglese su fogli grandi a quadrattini colorati e fin da subito la struttura delle strofe dei testi di Nirvana e Pearl Jam mi penetrò talmente dentro che divenne una caratteristica del mio stile, sebbene del tutto estraneo a una qualsiasi affinità musicale. Senza nessuna presunzione, mi sentivo l'erede delle lyrics di Eddie Vedder, Kurt Cobain, Michael Stipe (R.E.M.) e Neil Young. Scrivere ha cambiato tutto nella mia vita. Io sono cambiato scrivendo. Adesso sono anni che non pubblico più nulla e nemmeno ho interesse a farlo. Ho smesso di cercare il mondo. Semplicemente, quella sensazione di amore dissolta nel vuoto, ha trovato la vi(t)a e l'anima nell'esistenza più autentica.
...PIECE(S) OF LOVE EVERYWHERE...
tremuli passi, esondazione
di dolore a brandelli
senza bandiera... È un "no",
non sono saggiamente andato avanti
e riesco ancora
a ricordare troppi giorni
… è sempre stato
un conglomerato tutto di forme e memorie,
quando vedo le ombre
nell'immagine longilinea
le mani gracchiano
in una (p)resa scomposta
che vorrebbe dire, altrove…
sono esattamente dove volevo
essere… sono dove
sono sempre stato… l’agonia della mia noia
ha conosciuto
l’ardore di una porta
galleggiante… anche la similitudine
di un desiderio
scambiato per un rimorso
è naufragato
nell’anomalia di una rivolta
scovata oltre i troppi arrendevoli sé…
andremo avanti
insieme questa volta... Ognuno
di quei momenti
recava un gesto di attesa,
ogni ricerca ha trovato una fine
nell’ultimo sguardo
prima di essere sognato
dai sogni… Sono rimasto
al di qua dello specchio
provando a cadere ancora di più,
fili energetici sradicati,
e senza alcun conteggio
né incitamenti ad altro… è
un momento di non-confusione
… piante maneggiano
nuove radici... è la profondità