Le canzoni ascoltate all'improvviso nei locali hanno un sapore unico. Mi è accaduto di recente in Slovenia, con Someday I'll Be Saturday Night dei Bon Jovi, insieme a dei cari amici.
Un viaggio. Una giornata intensa scandita tra neve, strada, paesaggi immacolati e un rilassante divertimento termale. La fame chiama, e manco fossimo gli Europe di Rock the Night, entriamo in un locale di nostra graditissima conoscenza e celebre per dei "mostruosi" hamburger, il Dino Grill di Lesce, a pochi minuti dal celebre lago di Bled, in Slovenia. Rispetto alla musica super-commerciale italiana, negli stati della ex-Jugoslavia il rock va ancora per la maggiore, attingendo in particolare dagli anni '80 e '90. Tra Slovenia e Croazia sono innumerevoli le volte che ho incontrato canzoni che non ascoltavo da una vita. Mi è appena accaduto con Someday I'll Be Saturday Night (Bon Jovi).
Non si può dire che il videoclip sia particolarmente scanzonato o allegro, anzi. Al di là dei musicisti che si ritrovano e si salutano, c'è Jon Bon Jovi intento a leggere un giornale eloquentemente aperto sulla parola Saturday, e in seguito si abbraccia col chitarrista Richie Sambora. La storia si sviluppa attraverso la miseria di Las Vegas tra reietti, prostitute e ricconi. Quell'America insomma, troppo poche volte mostrata a vantaggio dei piani alti dei grattacieli e quel sogno ormai sempre più fragile e menzognero. E insomma, forse un po' di ottimismo ci vuole nella vita per uscire dai tunnel più bui, perché... I'm feelin' like a Monday, but someday I'll be Saturday night. E allora, proviamoci insieme a ripartire, lasciandoci il nero delle nostre vite alle spalle oggi e per sempre, ripartendo dall'amicizia e una nuova destinazione.
“YEAH, I’M DOWN, BUT I KNOW I’LL GET BY”
mi avreste riconosciuto
se fossi rimasto da solo,
senza una mappa
né una strada
a cui accreditare qualche sprovveduto
codice di sicurezza?
Puoi dirmi, ehi ciao,
domani forse ci ritroveremo...
Sapresti dirmi qualcosa
senza fare
promesse di un domani
che nessuno
farà mai rotolare per nome…
Che cos’è che piace
tanto della notte
... questa combinazione
è il lusso, è qualcosa
che ti colpisce e non comprendo
.. quando ti risveglierai
sul sedile posteriore
di un automobile,
vorrai solo prendere
la tua bambola preferita
e non spaventare
più nessun dinosauro
è quasi sempre
una storia
di sopravvivenza… è quasi
sempre un ieri
che ha perduto il conto
dei giorni che devi
ancora scrivere… è
una volta in più
che farai a meno dei vetri
e del deserto
... è una sorriso nuovo
e sta per cominciare da una
originale te
(Lesce [SLOVENIA], 21 Febbraio ‘23)
Anthony Kiedis (Red Hot Chili Peppers) nel videoclip di Love Rollercoaster
Travolgenti, votati all'amore e al sesso. Nella colonna sonora del film "Beavis and Butt-head Do America" i Red Hot Chili Peppers infiammano il rock con la cover di Love Rollercoaster.
Gli anni '90 musicali non sarebbero stati gli stessi senza i Red Hot Chili Peppers. Un funk-rock come non si era mai visto prima, incendiato dalla presenza scenica del cantante Anthony Kiedis, la maestria delle quattro corde di Flea, la batteria ipnotica di Chad Smith e la chitarra prima di Hilllel Slovak, poi di John Frusciante e nel frangente in oggetto, l'ex-Jane's Addiction, Dave Navarro. Oggi, 14 febbraio, è la festa degli innamorati e anche se avrei potuto attingere al mio bagaglio più smielato, ho voluto unire un po' di tutto pescando dalla colonna sonora dell'omonimo film Beavis and Butt-Head Do America (1997), dove insieme a Ozzy Osbourne, Rancid, LL Cool J, AC/DC, No Doubt, White Zombie, ci sono anche i RHCP con la cover degli Ohio Players, Love Rollercoaster.
Prima in inglese e poi in italiano, le volte che tornavo a casa dopo noiosissimi sabati sera e mi consolavo con l'animazione di Beavis e Butt-head, doppiati nel Bel paese in particolare da Elio e Faso (Elio e le storie tese). Ricordo ancora quando uscì quel video, doveva essere l'estate 1997 e mi piacque fin da subito. Loro, quei due indolenti adolescenti con le t-shirt dei Metallica e degli AC/DC ne combinavano di tutti i colori, mentre i quattro Red Hot Chili Peppers sfrecciavano per delle montagne russe ripide come non mai. E allora, partendo da quel travolgente: one... two... one, two, three, mi butto anch'io con un ritmo lessicale senza soste né remore.
LE SAGOME SOPRA IL NOSTRO CUORE
danze senza stare, né soste
è solo l’inizio…
in che forma
della tua vita hai sentito
che era arrivato
quel momento
quanti fiori
sapresti ammettere
di aver lasciato
interrati?
queste sono le storie
che parlano
di ciascuno di noi
…
avanzo ancora un ballo
che non ho mai voluto
dimenticare
avanzo ancora un altro bacio
che ha cambiato
la mia vita per sempre
nell’indigestione di tramonti
e facili tuoni,
l’aria bagnata è sempre stata
più di un semplice scivolo
senza fango né francobolli
non basta
essere ricercati vivi
o innamorati
per essere degni
di un sentimento
da privilegiare…
mi preparo
col lievito e qualche mandarino
selvatico… sono
ancora un po’ stralunato,
mi divertirò
ripensando a tutto quello
che non ho mai voluto
(Venezia, 14 Febbraio '23)
Red Hot Chili Peppers, Love Rollercoaster
Beavis e Butt-head nel videoclip di Love Rollercoaster (Red Hot Chili Peppers)
I Red Hot Chili Peppers (animati) nel videoclip di Love Rollercoaster
Chad Smith e Dave Navarro nel videoclip di Love Rollercoaster (Red Hot Chili Peppers)
I Red Hot Chili Peppers nel videoclip di Love Rollercoaster
Il videoclip di Love Rollercoaster (Red Hot Chili Peppers)
I Red Hot Chili Peppers nel videoclip di Love Rollercoaster
Butt-head, Flea (RHCP) e Beavis nel videoclip di Love Rollercoaster
I Red Hot Chili Peppers insieme a Beavis e Butt-head nel videoclip di Love Rollercoaster
Nikki Sixx (Motley Crue) nel videoclip di Home Sweet Home
Parole di vita ispirano la poesia umana dei legami più immortali. "Oggi, ho solo voglia di starti accanto" e... dedicare alla tua vita Home Sweet Home dei Mötley Crüe
Una risposta improvvisa. Parole che non ti aspetti. Avere un figlio significa (anche) tutto questo ma non sei mai preparato a quello che puoi udire. Davvero, non puoi mai sapere in che modo il tuo cuore sarà ulteriormente messo in discussione. A me è appena accaduto e ancora adesso ci sto continuando a pensare. A me è appena accaduto e mi è subito venuta una voglia immensa di scrivere qualcosa e magari un giorno, quando arriverà davvero quel giorno in cui prenderà la sua strada, gli leggerò tutto questo. Poche ore dopo sono uscito presto di casa. Quei colori mi hanno nuovamente sedotto e ho sentito la chiamata dell'ispirazione. Mi sono ascoltato nella testa le parole di Home Sweet Home (Mötley Crüe) e adesso finalmente posso iniziare questa storia.
I Mötley Crüe non potrebbero essere più diversi dal sottoscritto. Giusto per far incazzare il bassista fondatore, Nikki Sixx, io sono un grandissimo fan dei Pearl Jam e del loro cantante, Eddie Vedder. Detto questo, da quando ho iniziato ad ascoltare rock, li ho sentiti nominare tante volte, li visti su riviste, avevo amici che li ascoltavano tanto ma non mi avevano mai suscitato il minimo interesse. Questo almeno fino a quando non è sbarcato un film sulla piattaforma streaming Netflix: The Dirt: Mötley Crüe (2019, di Jeff Tremaine). Senza troppe domande, ho voluto guardarlo. La pellicola non fa sconti e racconta con molta onestà la storia della band. No, non mi sono convertito al glam rock (di cui sono comunque un buon ascoltatore) né ho iniziato una vita di eccessi ma la loro musica, quella sì, ho cominciato a conoscerla e a interessarmi. Fu così che arrivai a Home Sweet Home, ballad melodica tratta dal loro terzo album Theatre of Pain (1985).
Un giorno mio figlio andrà per la sua strada. La mia grande e unica ambizione è crescerlo con amore perché sappia affrontare tutti gli ostacoli della vita e goderne la felicità. Un giorno mio figlio se ne andrà ma spero che avrà sempre la voglia di tornare qualche volta nella nostra casa...
LETTERA DI UN FUTURO ARRIVEDERCI
Sei già pronto
per partire, figlio mio?
Le tue parole
sono già andate
oltre le porte del vento
… non te lo chiederò più,
sei tu che attraverserai
quelle strade
quando succederà,
figlio mio,
avrai ancora voglia
di tornare a casa?
Mi chiederai ancora
se piango
quando prendo in mano
il primo regalo
che ti comprai
dopo che sei nato?
Spero lo vorrai
tenere tu… Spero continuerai
a dirmi
che lo conserverai tu
guardami, figlio mio,
ho messo in stand by
qualunque cosa un tempo
appassionasse
la mia solitudine… guardami,
figlio mio,
un giorno ricomincerò
a sedermi lungo
la strada, adesso
ho solo voglia
di stare accanto a te
ho pensato tu non fossi
abbastanza forte,
... ero confuso e ancora impacciato…
l'amore di una donna meravigliosa
mi ha reso padre...
i continui battiti
del tuo cuore mi hanno fatto
Un lungo viaggio per trovare/incontrare ciò o chi ami. Apoteosi poetica di Eddie Vedder, Hard Sun, dalla colonna sonora del film Into the Wild (2007, di Sean Penn).
Il viaggio più grande è stare accanto a una persona che ami per il resto della vita. Ai tempi "cinematografici" di Into the Wild (2007, di Sean Penn), l'amore era ancora così dannatamente difficile e dietro le migliori intenzioni c'erano reti sedimentate di insicurezze ed egoismi che chiedevano spazio a chi, al contrario, voleva qualcosa di più. Il cinema che mi accolse a vedere Into the Wild, fu una sala piccola. Ero da solo come volevo essere. Mi sentivo ancora solo. L'amore era meraviglioso sulla carta. Per viverlo davvero bisognava fare qualcosa di più. Per viverlo bisognava attraversare la tempesta e poi lanciarsi in un nuovo mondo insieme. Le colonna sonora di Eddie Vedder, cantante dei Pearl Jam, fu un'iniezione poetica dall'intensità devastante.
La voce di Vedder sapeva sfamarmi per lunghi periodi senza chiedere nulla. Una canzone dopo l'altra, quella colonna sonora fu un autentico amplesso con la poesia più profonda. Quella poesia che bastava immaginare anche solo una parola per sapere che fosse già scritta dentro di me. Dovevo solo mettere le dita sulla tastiera, ed è quello che facevo. Mettevo le dita sulla tastiera sprigionando una forza incontenibile. Era quello che facevo. Era l'unica cosa che sapevo fare senza pensare a tutte le pietre che nel frattempo si sbriciolavano. Hard Sun fu l'emblema di tutto questo. Vissuta poco tempo dopo sul lago di Trakai in Lituania, mentre audacemente passavo sotto un ponte per tornare in orario e riconsegnare il mezzo.
"When I walk beside her
I am the better man [...]" ... "Quando cammino accanto a lei
Sono l'uomo migliore [...]"
Hard Sun
Into the Wild e Hard Sun, ancora più di Society, fu la scelta (estrema) di qualcuno che credeva solo nella libertà dello spirito e dalla quale poi non ha più saputo far ritorno. In quell'ultimo testamento inciso sul legno, c'era una speranza d'amore: "la felicità è reale solo quando è condivisa". Spingersi al massimo e poi ecco la grande lezione della vita non scritta né da Jack London né da Jack Kerouac o chiunque altro. La grande lezione è la propria vita che trova il coraggio e l'unicità di essere vissuta come nessuno ha mai fatto prima. La grande lezione per la propria anima è guardare il proprio cuore e sentire che non appartiene più solo a se stesso. La grande lezione che in questo istante voglio tramandare, ricomincia proprio da lì...
...START THE LOVE
...è un mondo malinconico,
il ritmo della terra
si apre nelle acque
dove le buche si nascondono ancora
e l'alba
fa da enciclopedia e recita
delle mie canzoni preferite
c’è stato un tempo
che mi invitasti a sedermi
accanto a te... e c’erano
anche i sentieri
senza balconi… quando mi perdevo
non volevo mai andarmene via…
perché avrei voluto… perché
avrei dovuto ambire
a un'altra privilegiata libertà…
ho raccolto candele,
immaginavo la vita altrui
senza che l’amore
potesse diventarmi amico
adesso, è notte qui,
adesso è notte anche allora,
adesso sarà notte
anche nel mio immediato domani
accanto a te
il mondo si risveglia ogni giorno,
il peso dei nostri perché
non toglierà rugiada
all’abbraccio sincero del convoglio celeste
farò a meno di correre
e camminerò insieme a te,
non è una promessa
è quello siamo... le vette
continuano a crescere
fin sopra i raggi del sole
Lascia queste lacrime
sul mio viso… questa volta non si
seccheranno.. Queste lacrime
sono l'abbraccio
dei nostri cuori sul mondo
unico e reale...
Yield, il quinto album dei Pearl Jam, uscì il 3 febbraio 1998. Un primo poetico ascolto in spiaggia poi, per il sottoscritto e la band di Seattle, arrivò il tempo del primo doloroso addio.
L'attesa del nuovo disco. Il negozietto vicino a campo Manin, a Venezia, al cui titolare avevo chiesto di mettermi via la prima copia. Il primo ascolto nello scomodo cd portatile, in spiaggia. Tutto bello. Tutto dannatamente poetico. Tutto infinitamente agonizzante. Dopo cinque anni vissuti oltre modo intensamente dentro la musica dei Pearl Jam (e dei Nirvana), ero arrivato al limite e Yield, quinto album della band di Seattle, uscito il 3 febbraio 1998, segnò la fine della mia prima grande epopea. Come l'immagine del singolo Given to Fly, mi sembrava che quel mio mondo stesse sprofondando via. Scappando per sempre. Era davvero così? A quel tempo, sì. Briciole di strada e vita si stavano contorcendo. Grandi cambiamenti all'orizzonte mi attendevano. In quei primi giorni di febbraio '98 però, solo il (quasi) nulla.
Delle mie tante vite vissute, il 1998 fu un anno a dir poco straziante. Gran parte delle mie (poche) certezze s'infransero e ciò che è peggio, il mio fisico iniziò a pagarne il prezzo. Dalla mente alla carne e viceversa, i pensieri presentarono il conto alla "pancia" e il risultato fu devastante. Furono mesi difficilissimi, di rinunce costanti. Nulla funzionava più come prima. Il baluardo della musica dei Pearl Jam non era che una caduca candela in una giornata ossessivamente assolata che nulla voleva da me. Per me. Quelle canzoni, dove spiccava la chitarra di un tragicamente malato Mike McCready (morbo di Crohn), provavano a ispirare forza ma non c'era più nulla da fare. Mi dovevo allontanare. Se avessi voluto nuovamente entrare in sintonia con quel sound, avrei dovuto morire e rinascere.
Fin dal mio primo ascolto dei Pearl Jam, ho sempre sentito una grandissima affinità con Stone Gossard. Vuoi per la "faccia pulita" e quell'aura di rock-normalità che ho sempre condiviso, una volta entrato in possesso dei dettagli dell'album, non mi sorprese neanche un po' che tre delle quattro canzoni che reputo le più significative, lo vedano tra gli autori: Do the Evolution,In Hiding e All Those Yesterdays. Com'era tipico della band, anche il passaggio dal precedente No Code a Yield, vide un cambio di sound notevole fin dalla prima canzone e sebbene le tracks acustiche avessero ancora qualche reminiscenza NeilYounghiana, nel complesso fu un viaggio unico, come sempre. Mai spensierato. Capace d'ispirare nuove espressioni interrogative. Yield è:
Brain of J. (McCready, Vedder) - 2:59: rock, un ottimo intro.
Faithful (McCready, Vedder) - 4:18. Mi ha subito conquistata con un'impostazione anni '70.
Wishlist (Vedder) - 3:26. Non era il momento giusto. Mi entrò nell'anima un anno e mezzo dopo, scorrazzando per il Salento notturno dopo una gloriosa primavera.
Pilate (Ament) - 3:00. Psichedelica
Do the Evolution (Gossard, Vedder) - 3:54. Il capolavoro. Un autentico capolavoro, canzone e soprattutto video. L'essenza dei Pearl Jam più riottosi e controcorrenti. Nell'epoca del dominio incontrastato del Brit Pop, Spice Girls & co, i Pearl Jam cantavano qualcosa di unoi
Untitled (The Color Red) (Irons) - 1:06
MFC (Vedder) - 2:27
Low Light (Ament) - 3:46
In Hiding (Gossard, Vedder) - 5:00: evocativa, è dire poco!
Push Me, Pull Me (Ament, Vedder) - 2:28
All Those Yesterdays (Gossard) - 7:50. La perfetta chiusura. Il passato era troppo ingombrante.
All'epoca, ogni nuovo cd era salutato da lettura approfondita di riviste specializzate, i cui pezzi originali o fotocopie venivano rigorosamente incollati sull'agenda di turno. Con la complicità dei testi in italiano nel booklet, di cui poi il cantante Eddie Vedder credo non sia rimasto troppo soddisfatto, passai al ricopiare i testi in quel momento più significativi. Scrittura nella scrittura. E poi c'era ancora il piccolo schermo. In qualche insulso programma giovanile, Given to Fly non aveva ovviamente video (il rifiuto della band era ancora in corso) e fu passata mettendo l'immagine corrispondente del booklet (sempre grandioso). Per vedere finalmente un video autentico, avremmo dovuto aspettare l'autunno e qualche tarda ora per ammirare il censuratissimo Do the Evolution, in quello che fu un assaggio del perbenismo sempre più imperante e dilagante.
La musica è una strada senza confini dove l'unica precedenza da osservare è l'onestà della propria anima. Un incontro ancora da materializzarsi ha trovato la sua collocazione. Una lettera che ha continuato a scriversi è stata recapitata. Le notte, l'alba, un'esplosione di stelle. Ha davvero importanza l'istante esatto? "Yield? Credo che quando uscì nel 1998 non lo abbia nemmeno più di tanto considerato" lei racconta, "A quell’epoca i Pearl Jam erano sì, un gruppo famoso e che conoscevo, ma non significavano ancora quello che oggi rappresentano per me. Eppure, oggi, quando penso a Yield penso a un viaggio, proprio come su quella strada in mezzo al nulla della copertina. Il ricordo torna indietro di 10 anni e qualche mese. Sto facendo un giro tra Marche e Toscana e casualmente nel cruscotto della macchina di quello che all’epoca era la mia dolce metà, rovistando tra i cd, trovo sia Vitalogy che Yield. - Ma dai, non ti facevo un amante dei Pearl Jam! - gli dico, io che da 3 anni, grazie a un grande amico avevo riscoperto questo gruppo che per me è diventato fondamentale. Faccio partire Yield e ricordo che quei 3 giorni di viaggi, in mezzo all’Italia, sono stati scanditi da brani che stavo cominciando a sentire davvero miei".
"La traccia 4, Given To Fly, parte proprio su una strada come quella della cover di Yield, anche se davanti a noi si staglia la gola di una montagna" prosegue nel racconto, “I’ve made to the ocean, had a smoke on a tree, the wind rose up, set him down on his knees” mi colpisce, davanti a quella gola, “like a fist to the jaw”. Tra due pareti di roccia, sento Eddie che fa salire la voce “deliver him wings, ehi, look at me now!” e sento le ali anche io, mente la macchina corre. Mi sembra di correre sul dorso di un cavallo al galoppo, libero come mi sento libera io in quel momento. Potrei andare a 200 km/h, sarei comunque più lenta del mio cuore che batte. La canzone scorre e io resto imbambolata, tramortita da quel brano. E anche se poi con la dolce metà è finita, “the love he receives is the love that is saved” è una frase che ancora oggi è un mantra, perché l’amore che riceviamo, da chi ci piace, da un amico, da qualcuno a cui teniamo, è amore che si (e ci) salva. Sempre. Come quello che ho sentito attorno a me, un giorno di giugno di quasi 5 anni fa, mentre cantavo questa canzone, per la prima volta all’Euganeo di Padova, circondata dall’amore di tutte le persone a cui voglio bene ed erano lì con me".
In una classifica degli album dei PJ, Yieldnon lo metterei tra i miei preferiti. Di sicuro dopo i primi quattro e Riot Act. I ricordi non aiutano. Eppure, in quel video di Do the Evolution dove alla fine sbucava un cartello stradale con la scritta Yield bucherellato dai proiettili, ho sempre tratto molta ispirazione. Nello sfascio di un mondo, un gesto di rivolta emergeva e lottava. Era a pezzi ma s'innalzava. Potevo lottare e allo stesso tempo sanguinare? No, all'epoca non lo ritenevo fattibile. Quella stessa canzone, parecchi anni dopo (2006), la udì all'aperto (a cui seguì la possente Cowboys from Hell dei Pantera), in una fredda serata autunnale mentre parlavamo di diritti umani. Ero sopravvissuto e i Pearl Jam a quel punto, erano pronti per un altro segmento di nuova storia. Adesso però, chiudiamo questo capitolo con un'ultima considerazione. Ascoltai il cd. Non nel mio solito posto, ma direttamente in spiaggia. Sulla battigia. C'era anche un palloncino rossa che svolazzava. Tornai a casa. Ero stanco e abbattuto.
Ascoltai Yield nei primi mesi dell'anno, febbraio e marzo, poi lasciai stare. Mi resi conto che ciò che sentivo era troppo complesso e difficile, e la musica di quella band non faceva altro che alimentare un'emorragia ormai senza controllo. La poesia cercava una nuova direzione. Il mondo correva troppo. Il mondo sembrava non volersi più soffermare sul dolore, e in un impeto contagioso di superficialità Ottantesca, non ne volesse più sapere delle anime fragili. Io andai per la mia strada e anche se avevo accantonato la band che più degli stessi Nirvana aveva cementato la mia anima, quel cuore avrebbe continuato a battere. Yield segnò la fine della mia prima epoca coi Pearl Jam e della mia seconda vita. Ci sarebbe voluto il viaggio più impensabile in un luogo sperduto tra le colline siciliane per ricominciare ad avvicinarmi. Guardarli con timore, aspettare ancora qualche mese per ricominciare a viverli davvero. It's evolution, baby.
FRAMMENTI DI MONDO SENZA ZERI
scariche intraterrene,
spiegazioni immerritate…
fammi immolare
per la mia stessa vita,
la strada
non riconosce gli alberi,
ostilità autentica
alle proprie deviazioni… disconosco,
i ragionamenti
hanno fatto il loro tempo
… un totem nel deserto,
ti fermeresti a rincuorarlo?
... un totem imbalsamato,
proseguiresti a ignorarlo?