Una candida corsa insieme a Babbo Natale e le renne sulla neve. Un sorriso sincero. Mariah Carey e All I Want for Christmas Is You sono un trionfo di sincera dolcezza natalizia.
Leggiadria. Raffinata bellezza. Spensieratezza. Il natale canoro di Mariah Carey è qualcosa che conquista. Troppo accattivante la musica. Troppo dolce lei nello sguardo e nelle movenze e una canzone, All I Want for Christmas is You, capace di entrare nel cuore anche dei più duri e riottosi. Era l'inverno 1995-96, in un gravoso universo oscuro fatto in particolare di canzoni di Metallica, Alice in Chains, Nirvana, Megadethe le strazianti lyrics di Pearl Jam, in mezzo c'era anche lei. Tenero bagliore (argine) in un universo personale ormai dilaniato da sentimenti difficili e appassiti, consapevolezza di un mondo votato all'autodistruzione.
Mariah Carey esce dal camino. Gioca con Babbo Natale. Tutta vestita di rosso, scende con la slitta e incespica nel manto bianco. E' giovane. Era impossibile non guardarla senza sentirsi pervasi da una carezza di dolcezza. Niente luoghi comuni. 4 minuti di emozioni innocenti a prova di qualsiasi funesto pensiero. Quell'album poi, lo comperai finalmente anche in cd. Parecchi anni dopo, durante la mia prima traversata atlantica in terra statunitense. Lo acquistai poco prima di tornare a casa, all'aeroporto Newark dopo aver ammirato le nevi amichevoli della Pennsylvania. Quella però, è un'altra storia musicale. Per il momento, buon natale a tutti.
Rintocchi acustici di una moderna e inaspettata fiaba invernale. Il domani è arrivato oggi, più dolce che mai. A scriverne e cantarne gli accordi, il folk unplugged degli irlandesi The Corrs.
Il 1999 fu un'annata eccezionale per il rock. Segnò il ritorno di John Frusciante nei Red Hot Chili Peppers e loro nuovo album (grandioso) Californication. Continuò la sua ascesa Marilyn Manson che diede alle stampe il primo live ufficiale, The Last Tour on Earth. Fu l'anno anche dei nuovi lavori di Skunk Anansie (Charlie Big Potato), Stone Temple Pilots (No. 4), Blur (13), Nine Inch Nails (The Fragile) e quella che sarebbe stata l'ultima opera dei Rage Against The Machine, Battle of L.A. In questo variegato contesto musicale si consacrò definitivamente la band irlandes The Corrs, interprete di un rock folk elegante e delicato.
Dopo i primi due album fino ad allora sconosciuti al grande pubblico (Forgiven Not Forgotten, 1995; Talk on Corners, 1997), nel 1999 uscì l'Unplugged. 14 canzoni aperte da Only When I Sleep e chiuso con la cover degli immortali R.E.M. Everyody Hurts, una pietra miliare nella discografia dei quattro di Athens e il cui indimenticabile videoclip vedeva il cantante Michael Stipe intonare malinconico in mezzo al traffico di automobili. Lì nel mezzo, altre placide ballate a cominciare da Radio. Fu proprio lei la canzone suonata dal vivo sul palco degli MTV Europe Musica Awards di Dublino a farmi saltare sul divano chiedendomi chi mai fosse questa band.
Radio mi conquistò con una facilità disarmante ritrovando sonorità alla Eddie Brickell & New Bohemians. But it's only when I sleep/ See you in my dreams canta la voce melodica di Andrea Corr, supportata dalle due sorelle Caroline (batteria, pianoforte) e Sharon (violino, seconda voce) insieme al fratello Jim (chitarra, tastiere). Il 1999 fu un anno magico nella mia vita e se fino a pochi mesi prima, avrei potuto al massimo sognare la felicità nella dimensione più lontanamente onirica, questo era un tempo nuovo. Il tempo degli amici dell'Univesità Internazionale dell'Arte di Venezia. Il tempo per scrivere che la felicità era la vita del presente. E così fu.
Klaus Meine, il cantante degli Scorpions, intona Wind of Change
Il 9 novembre 1989 cadeva il muro di Berlino e la Guerra Fredda finì. Una canzone immortalò quel periodo e quel momento storico, Wind of Change dei tedeschi Scorpions.
Si, il 9 novembre 1989 abbiamo creduto che il mondo potesse davvero cambiare per sempre. Il muro di Berlino era caduto. Est e Ovest finalmente si poterono riabbracciare. Quell'evento toccò milioni di persone di tutto il mondo, incluso Klaus Meine, cantante della metal band tedesca Scorpions, da poco esibitisi insieme a Motley Crue, Bon Jovi, Skid Row, Ozzy Osbourne e Cinderella al Moscow Music Peace Festival. Un evento quest'ultimo inimmaginabile fino a pochi anni prima, esattamente come immaginare il muro di Berlino abbattuto dalla pacifica rivoluzione di un mondo che aveva voglia di proseguire insieme e unito.
Un fischio. Un ricordo vissuto in prima persona aldilà della cortina di ferro. Il mondo stava svoltando e anche il rock diede il suo contributo a quel vento di libertà e cambiamento. Tratto dall'album Crazy World (1990), Wind of Change inizia la sua melodia-tributo a un'epoca in cui l'uomo ebbe la meglio sul potere. Sfilano le immagini della band dal vivo nel videolcip. Sfilano le immagino del mondo dal vivo. Le prime parole ispirate a un ricordo del cantante che vide un soldato dell'Armata Rossa commuoversi fino alle lacrime nell'ascoltare una loro canzone.
Il videoclip è un susseguirsi di immagini storiche di quel periodo. Dalle rivoluzioni pacifiche nell'est europeo (inclusa la Romania, anche se lì la situazione fu un po' diversa) alla stretta di mano tra il Presidente dell'URSS, Mikhail Gorbaciov e Papa Giovanni Paolo II, passando per i carro armati cinesi di Piazza Tienanmen, rivoluzione poi sedata nel sangue. E in mezzo alle incursioni in terra sovietica degli Scorpions, ovviamente c'è anche lui. Il muro di Berlino. Prima e dopo ma soprattutto dopo, quando finalmente si apre e le persone aldilà e al di qua poterono tornare a guardarsi negli occhi libere.
E poi c'è lui, quell'assolo. L'assolo tra i più grandiosi della storia del rock. Insieme alla chitarra di Kirk Hammet (Metallica) di Master of Puppets e quella di David Gilmour (Pink Floyd) in High Hopes, ci sono anche gli Scorpions con una canzone che fotografò il tramonto di un'epoca e l'inizio di una nuova era. A prodigarsi in questa cavalcata sonora però non fu il chitarrista solista Matias Jabs ma il collega addetto allo strumento ritmico, Rudolf Shenkter, fondatore della band. Impossibile ascoltare queste note senza guardarsi indietro ed essere pervasi da un'ondata di lacrime ed emozioni, per quello che è successo e ciò che deve ancora succedere.
Prima dell'avvento degli smartphone, a ogni canzone d'atmosfera si tirava fuori un accendino quando le luci si spegnevano. Un rito che ancora pochi romantici hanno il coraggio di ripetere. Gli accendini sono protagonisti anche nel corso del videoclip di Wind of Change e ancor di più in conclusione, con una luce a illuminare l'intero Pianeta Terra, come una speranza per tutto il mondo scandita dal quel linguaggio universale di libertà che è la musica rock. In quel 9 novembre 1989 c'era nell'aria qualcosa di unico. Qualcosa che forse nessuno avrebbe mai immaginato di poter assistere e vivere. No, non era un sogno. Era tutto "fottutamente" reale.
Quattro anni dopo quel sogno di ritrovata unità europea sarebbe stato spazzato via da un'esplosione. La distruzione questa volta assunse tutt'altro significato. Il 9 novembre 1993, nello scontro mortale che insanguinava i Balcani, la città di Mostar in Bosnia era presa d'assalto dalle truppe secessioniste croate che fecero saltare lo storico ponte Stari most. Un gesto fortemente emblematico per sancire la divisione forzata di due comunità: quella cristiana da una parte, e quella musulmana dall'altra. Un gesto che ancora oggi nel 2019 trova tragici proseliti politici (Italia inclusa).
Take me to the magic of the moment on a glory night, where the children of tomorrow dream away in the wind of change/ ... Finisce così l'immortale Wind of Change degli Scorpions. Forse in quel 1989 non ero propriamente un bambino ma un ragazzino lo ero, e dunque mi sento chiamato in causa in questa canzone. Anch'io come tanti miei coetanei ho sognato un futuro migliore ma ormai sognare non basta più. Tocca a loro, a quei Children of Tomorrow dare concreta speranza perché il vento del cambiamento coinvolga e unisca il mondo interno.
SIAMO NOI QUEI CHILDREN OF TOMORROW
Ci siamo guardati da lontano.
Una strada in comune,
poteva essere abbastanza per le nostre
lettere intercettate?... Guardai
oltre la sabbia dei fari
e quando fu il giorno di ricominciare,
in troppi si affrettarono a predire
che nessuno
ci avrebbe più diviso...
Quante generazioni hanno lasciato morire
sui nuovi confini? Non voglio
arrogarmi il diritto di fare
del presente una diaspora realistica
con meno speranza
ma è esattamente
quello che stiamo subendo...
E quel giorno ci guardammo negli occhi
ancora increduli
del silenzio dei fucili... Ma quel giorno
ci guardammo in esaltante salti
nel definitivo silenzio
dell'isolamento... Ma quel giorno
fummo benedetti da una gloria
che nessuno si sarebbe mai sognato
di sfilarci dalle nostre mani... Ma
quel giorno
abbiamo davvero provato a fare
a meno del sangue
o il giorno dopo abbiamo solo ricominciato
a chiamare con altri nomi
chi non si rifletteva in noi? ...
Sono emozionato... impaurito... Mi sento
un po' disperso e poco soddisfatto di ciò
che non abbiamo compiuto... Mi dareste ancora un giorno
di quel bambino? Mi dareste
ancora una vita
per quei bambini?… Adesso voglio quei giorni
e me li prendo...
(Venezia, 8 Novembre 2019)
Wind of Change, videoclip by Scorpions
Wind of Change, videoclip by Scorpions- l'epopea del Muro di Berlino
Wind of Change, videoclip by Scorpions- l'epopea del Muro di Berlino
Wind of Change, videoclip by Scorpions- i carro armati a piazza Tienanmen (Cina)
Wind of Change, videoclip by Scorpions- la nave petrolifera che riversò nell'oceano tonnellate di petrolio
Wind of Change, videoclip by Scorpions - gli accendini per illuminare l'oscurità durante le canzoni d'atmosfera
Wind of Change, videoclip by Scorpions - il bassista Francis Buchholz
Wind of Change, videoclip by Scorpions - la rock band tedesca durante il Moscow Music Peace Festival
Wind of Change, videoclip by Scorpions - il chitarrista Rudolf Schenker
Wind of Change, videoclip by Scorpions - il crollo del muro di Berlino
Wind of Change, videoclip by Scorpions - si rompe il muro di Berlino
Wind of Change, videoclip by Scorpions - il chitarrista Rudolf Shenker con sfondo del muro di Berlino
Wind of Change, videoclip by Scorpions - un accendino illumina il Pianeta Terra
Il giornalista Luca Ferrari tra Mark Arm e Steve Turner dei Mudhoney
Dieci anni fa, al New Age Club di Roncade, intervistai i Mudhoney. Musicisti autentici e pionieri di quel sound di Seattle che per l'ultima volta rese il rock immortale.
Dieci anni dopo quell'intervista, ancora oggi ne ricordo l'emozione unica. E come non poteva essere? Per la prima volta in vita mia incontravo qualcuno che aveva davvero lasciato un'impronta artistica dentro di me, i Mudhoney. La band che m'ispirò simpatia fin da quando vidi una foto nel lontano 1994. Loro, i Mudhoney. La band che fu fondamentale per l'esplosione del sound di Seattle. Loro, i Mudhoney, rimasti sempre nelle retrovie della popolarità ma da sempre seguiti da fan fedelissimi che hanno premiato il loro genuino punk rock distorto. Dieci anni fa, il mio taccuino era aperto al New Age di Roncade (Tv) davanti a Mark Arm e Steve Turner, cantante e chitarrista dei Mudhoney.
Prima ancora del leggendario Superfuzz BigMuff (1990), alle mie orecchie arrivò Piece of Cake (1992) dove troneggiavano le varie Suck You Dry, No End in Sight e Blinding Sun. Eppure per il sottoscritto, la per-certi-versi-anonima When in Rome mi entrò nel cuore, ancor prima che nell'anima. Istintivamente mi rappresentò quello che era il sound dei Mudhoney, una musica sincera e fraterna. E così, quando chiesi ai due musicisti se ci fosse una canzone che a loro in particolare piacesse suonare, dopo la suddetta premessa che raccontai anche a loro, Mark Arm sorridente mi disse: When in Rome. Non era vero e lo sapevamo tutti, ma fu davvero gentile a dirmelo.
Mark e Steve erano quelle persone semplici che avevo sempre immaginato. Super-ammirati da Kurt Cobain dei Nirvana, la band nacque dalle ceneri dei grandiosi Green River, la cui altra metà della band, tali Stone Gossard e Jeff Ament, avrebbero fondato prima i Mother Love Bone e dopo la tragica scomparsa del loro cantante Andy Wood, una band di nome Pearl Jam. Resto una mezz'oretta con loro, ribadisco ancora una volta, emozionato come mai mi è capitato in 17 anni di attività giornalistica. Lo storico bassista Matt Lukin non c'è più, sostituto dall'egregio Guy Maddison. Alla batteria invece c'è sempre Dan Peters.
(Now it's all burned down) Who can you trust?/ (Now it's all burned down) How come you're still alive? (Now it's all burned down) Where can you sleep tonight? suonano in Mudoney in When in Rome: Ora che tutto è ridotto in cenere, di chi ci possiamo fidare? Ora che tutto è ridotto in cenere, come possiamo essere ancora vivi? Ora che tutto è ridotto in cenere, dove dormiremo stanotte? Una tragica profezia che a giudicare dal mondo contemporaneo, assume tinte inquietanti di cosa è già una realtà per centinaia di migliaia di persone, e presto toccherà anche al resto del pianeta.
Roncade, New Age Club. 21 ottobre 2009. Sto intervistando la rock band americana Mudhoney per l'allora rivista cartacea La Vetrina di Venezia. Gli faccio ancora qualche domanda, poi è ora del soundcheck e dunque non resta che vederli dal vivo. Non sono più dei giovanotti ma suonano come meglio non potrebbero con Mark che furoreggia alternandosi tra solo microfono e voce + sei corde. Dagli storici cavalli di battaglia (Touche me I'm sick, Hate the Police, You Got It (Keep It Outta My Face) fino ai pezzi più recenti. Per la cronaca, non eseguono When in Rome ma dentro di me, eccome se l'hanno fatto e vi dirò di più. Insieme a loro c'ero pure io sul palco.
Il singolo di Miss Sarajevo (The Passengers)/ la devastazione della Siria
L'orrore si ripete. Civili in fuga dalla guerra. Quando arriverà quel tempo intonato da Bono e Pavarotti? Ci proviamo a dare ancora speranza all'umanità con Miss Sarajevo?
Eccoli, di nuovo. I mastini della guerra contro la popolazione civile. Oggi tocca ai valorosi kurdi in terra Siriana. Un popolo senza una nazione. Un popolo che ha avuto il coraggio e la forza di sconfiggere una massa di assassini spacciati per una fantomatica nazione di stampo religioso, e oggi sono abbandonati nel nome dell'economia. La Turchia è una nazione forte. I kurdi non contano nulla. Tutti a girarsi dall'altra parte, così com'è sempre stato verrebbe da dire in "CivilWariana" memoria (dicasi Guns 'n' Roses).
Torna nell'anima la struggente Miss Sarajevo. La voce poetica di Bono (U2) accompagnato dalla fida chitarra di The Edge. La direzione strumentale di Michael Kamen. Le parole dolorose del tenore Luciano Pavarotti. Insieme furono The Passengers per quella Bosnia brutalizzata dal nazionalismo serbo-croato e dall'indifferenza della Comunità Internazionale. Ogni volta che vedo il mio giardino invaso dai bambini a giocare, una parte della mia memoria ripensa a quella guerra. Era così anche per loro, poi iniziò un incubo fatto di sangue e morte.
Oggi è il turno dei Kurdi e la città di Kobane chiedere aiuto. Un aiuto fin'ora inascoltato. Inizio a guardare queste nuove immagini di sangue e mi chiedo: e se accadesse anche qui? Penso a tutte le ragioni per cui ci sentiamo divisi e differenti. Penso a tutte le logiche che decidono chi può vivere in pace. E nell'amore, non so più sperare... cantava un mesto Pavarotti in Miss Sarajevo. Sono passati più di vent'anni da allora e siamo di nuovo punto a capo. Dinnanzi all'ennesimo bagno di sangue umano, come si fa davvero a credere nell'amore? Spiegatemelo voi.
"Le lacrime sono dei deboli. Bisogna ostentare la forza". Ecco lo schifo di mondo dove facciamo crescere i nostri figli. I give to you my heartshine, piccola creatura. Per info, ascoltare i Mother Love Bone.
Davvero un posto strano il mondo. In rete sembriamo tutti delle creature impegnate e preoccupate anche per le sorti di un leprotto intrappolato nella neve. Quando però si tratta della vita reale, subito a mettere una benda se le emozioni diventano troppo invadenti e soprattutto, visibili. Val bene i sentimenti, ma che non diano una immagine di poca forza perché il mondo ha solo bisogno di forza e ostentazione. E allora avanti, fatemi vedere chi siete. Quando tornerete a casa e saprete comunicare solo con le applicazioni, vi sentirete davvero realizzati?
Non era nei miei programmi scrivere una simile poesia quest'oggi, poi però accadono cose che ti stordiscono. Senti frasi e inizi a dubitare che chi ha in mano il futuro delle prossime generazioni, li sta solo preparando a un mondo pragmatico senza inondare i loro piccolissimi cuori di forza e amore per le proprie emozioni, anche quelle più struggenti. Anche quelle capaci di ferirti e farti crescere. "Noi non siamo altri che i nostri sentimenti", ci ha tramandato Neil Young. Oggi riparto da lui, traendo lacrime d'amore dal rock dei Mother Love Bone e la cavalcata di Heartshine, qui interpretata dai Temple of The Dog e la voce scomparsa di Chris Cornell.
Grazie per l'ispirazione, fraterno Andy Wood... Yeah, yeah, yeah, yeah give to you my heartshine!