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Visualizzazione post con etichetta Mark Arm. Mostra tutti i post
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venerdì 19 luglio 2024

Come On Down (Green River), l'amore è ovunque

Il 19 luglio 1994 scrissi la mia prima poesia. Trent'anni dopo celebro le mie parole con il sound distorto della scena underground di SeattleCome on Down (Green River). 

di Luca Ferrari

Un'emozione potente e annichilente. Un bagliore di oscurità veritiera e autentica. L'inizio di un viaggio fino a un attimo prima, nemmeno immaginato (né desiderato). Il 19 luglio 1994 la penna colpì la carta per la prima volta. Tutto il resto, adesso, sono trent'anni successivi. E se non avessi iniziato a scrivere, che cosa avrei fatto? Me lo sono chiesto ogni tanto. C'è stato un tempo in cui mi sentivo un predestinato. Solevo ripetere "Non ho una vita, ho un destino". Nel giorno in cui 30 anni fa ho iniziato a scrivere, raccolgo un po' le idee ma il mio pensiero è uno scorrere impetuoso nel presente, sguazzando felicemente nella vita che mi sono costruito anche grazie alla penna, sebbene con alterne fortune. A coronare questo giorno, una band di cui non avevo mai scritto fino ad ora su Live on Two Hands, eppure di fondamentale importanza (non solo per il sottoscritto). Il gruppo che diede un contributo cruciale alla scena alternativa della Seattle di fine anni '80/primi anni '90, i Green River.

Come On Down inizia semplicemente distorta, garage e punk. La potenza sale, poi seguita da un cantato quasi biascicato-sussurrato e quindi esplode in un fragore di decibel tra rabbia sonora e delicatezza verbale. All'epoca della mia prima poesia, il 19 luglio 1994, non avevo la minima idea di chi fossero i Green River. Ci sarei arrivato di lì a un paio d'anni, eppure quando ho pensato a quale canzone potesse celebrare al meglio i miei 30 anni di scrittura, mi è subito venuta in mente Come On Down, primo singolo dell'omonimo EP (1985). I motivi di questa scelta sono piuttosto elementari. È la prima canzone pubblicata di una band che diede poi vita a quel movimento rock che segnerà per sempre la città di Seattle. È una canzone che parla di andare giù in senso metaforico, e nulla come il rock mi ha trascinato in un'altra dimensione. I componenti sono alcuni dei musicisti che ascolto da una vita e che ho stimato fin dagli albori, a cominciare dal cantante Mark Arm, e il chitarrista solista Steve Turner, poi entrambi nei Mudhoney. Due persone che ho avuto l'onore di incontrare in quella che è stata l'intervista più sentita di tutta la mia attività giornalistica

L'altro chitarrista dei Green River è Stone Gossard, futuro membro dei Mother Love Bone, Temple of the Dog e Pearl Jam, sempre al fianco del bassista Jeff Ament, Green River inclusi. Mi è sempre piaciuto Stone perché lontano anni luce dagli stereotipi della rock star. Un viso qualunque della porta accanto capace di suonare in modo strepitoso. I suoi progetti paralleli ai Pearl Jam hanno sempre prodotto musica di altissimo livello, a cominciare dai Brad del compianto Shawn Smith (1965-2019). Stone Gossard è per certi versi l'emblema del rock come l'ho sempre sentito. La semplicità al potere. Come On Down fu l'inizio per la Seattle più conosciuta, e oggi, trent'anni fa, andava in scena il mio battesimo delle parole. Guardate la foto in primo piano. Scrissi il verso della canzone (sbagliato) in una di quelle eterne giornate solitarie senza nessun avamposto verso il domani. Appiccicato sul vetro del bagno. Una di quelle notti dove la bussola dei sogni s'incastrava tra sali e scendi ed ermetismi più estremi.

"Lift your eyes to the skies above
Come on in, feel my love
A little bit here,
a little piece there
Pieces of love everywhere... [...]
                             
Sinceramente non ho idea se il video qui riportato da Youtube fosse quello originale, ammesso che ce ne sia mai stato uno, o meno. L'ho visto e mi è piaciuto. L'ambientazione così onirico-psichedelica, tale da riecheggiare i demoni della futura serie I segreti di Twin Peaks di David Lynch, ambientata a North Bend (Wa), poco distante da Seattle.

Ci sono stati anni dove pensavo che la mia vita sarebbe stata sempre e solo scrivere. A dispetto di certi desideri innocenti, dentro di me non mi sentivo adatto a una vita familiare (quanto è bello ricredersi alla grande, ndr). Il 19 luglio 1994 iniziai a scrivere in inglese su fogli grandi a quadrattini colorati e fin da subito la struttura delle strofe dei testi di Nirvana e Pearl Jam mi penetrò talmente dentro che divenne una caratteristica del mio stile, sebbene del tutto estraneo a una qualsiasi affinità musicale. Senza nessuna presunzione, mi sentivo l'erede delle lyrics di Eddie Vedder, Kurt Cobain, Michael Stipe (R.E.M.) e Neil Young. Scrivere ha cambiato tutto nella mia vita. Io sono cambiato scrivendo. Adesso sono anni che non pubblico più nulla e nemmeno ho interesse a farlo. Ho smesso di cercare il mondo. Semplicemente, quella sensazione di amore dissolta nel vuoto, ha trovato la vi(t)a e l'anima nell'esistenza più autentica. 

...PIECE(S) OF LOVE EVERYWHERE...

tremuli passi, esondazione

di dolore a brandelli

senza bandiera... È un "no", non sono saggiamente andato avanti e riesco ancora 

a ricordare troppi giorni

… è sempre stato

un conglomerato tutto di forme e memorie,

quando vedo le ombre

nell'immagine longilinea

le mani gracchiano

in una (p)resa scomposta

che vorrebbe dire, altrove…

sono esattamente dove volevo

essere… sono dove

sono sempre stato… l’agonia della mia noia

ha conosciuto

l’ardore di una porta

galleggiante… anche la similitudine

di un desiderio

scambiato per un rimorso

è naufragato

nell’anomalia di una rivolta

scovata oltre i troppi arrendevoli sé…

andremo avanti

insieme questa volta... Ognuno di quei momenti

recava un gesto di attesa,

ogni ricerca ha trovato una fine

nell’ultimo sguardo

prima di essere sognato

dai sogni… Sono rimasto

al di qua dello specchio

provando a cadere ancora di più,

fili energetici sradicati,

e senza alcun conteggio

né incitamenti ad altro… è

un momento di non-confusione

… piante maneggiano nuove radici... è la profondità

dell'amore

tra le estremità di una lacrima

eterna...

(Venezia, 14.37, 19 Luglio 2024)

Green River - Come On Down

Murazzi, Lido di Venezia © Luca Ferrari

Il cd dell'EP Come On Down (Green River) © Luca Ferrari

lunedì 14 febbraio 2022

Col cuore e i Mudhoney, What Moves The Heart

What Moves The Heart, da "My Brother The Cow" (1995) - Mudhoney

Un amore incondizionato è quello che musicalmente mi ha sempre legato ai Mudhoney, entratimi subito in circolo prima ancora di ascoltare una sola nota. What Moves The Heart... appunto!

di Luca Ferrari

14 febbraio 2022, è San Valentino. Sono alla mia scrivania a lavorare, quand'ecco ripiombarmi dal nulla nella mente una melodia. Semplice e sporca. What Moves The Heart. E non ci potrebbe essere band migliore per Live on Two Hands di codesta, per celebrare la festa per eccellenza degli innamorati, perché i Mudhoney mi piacquero fin dalla prima volta che li vidi, quando ancora non possedevo nessuna sgangherata cassetta. E proprio una MC originale fu quella che comprati dell'album My Brother Cow in qualche negozietto nel lontano 1996. Un disco che ho sempre amato. Un disco nel quale c'era anche la traccia di What Moves the Heart. 

La musica dei Mudhoney l'ho sempre sentita affine alla mia anima: semplice e ruvida. Un garage rock sincero. Poche parole, qualche accordo. Grande presenza. Ho avuto il privilegio di intervistare la band al New Age di Roncade (Tv), e fin dal primo acchito mi confermarono tutto quello che avevo letto e immaginato di loro. Sono cresciuto più con Nirvana e Pearl Jam, ma quando attacca la loro musica, un sorriso s'impossessa del mia anima. Penso a tutte le rovinose cadute della mia esistenza, e allo stesso tempo sento la forza di una identità che insieme anche al loro sound, ho sempre mantenuto fin da quando incontrai il sound di Seattle.

E come ogni amore, spontaneo ed eterno, dopo quasi trent'anni sono ancora ad ascoltare la band nata dalle ceneri dei leggendari Green River (la cui altra metà del gruppo poi confluì nei Mother Love Bone), ripensando a loro e alla loro storia. Così, ripescando un'inedita versione di presentazione del nuovo album My Brother The Cow, ecco il cantante Mark Arm quasi sempre di spalle. Insieme a lui, i solidali chitarrista Steve Turner e il batterista Dan Peters. Al basso c'era ancora Matt Lukin, sostituto dal 2001 da Guy Maddison. E come ogni amore eterno, riascolto ancora una volta What Moves The Heart dei Mudhoney, ripensando a chi che fa ancora e sempre palpitare il mio cuore. 


STORIE DEL MIO CUORE INSIEME A TE

è la mia danza dei fiori che non affondano tra le rocce e gli oceani.. è la mia danza che incespica guardando la luce di quel sole glaciale che ci sarà rivelato insieme solo poche parole, un vecchio grammofono caraibico e qualche miglio che non ha ancora abbastanza alberi e ovest su cui copiare le generalità della nostra prossima meta un confine, e poi un'intenzione ancora… ogni volto lasciato indietro insieme a te, è una storia ora nostra… consanguinei di ciò che vorremo ancora raccontarci insieme Tutto dovrebbe cambiare con l’amore... Tutto cambia con l’amore più vero... Dire qualcosa e ribattere al Tempo… è la vita che intercede… Faccio un passo verso di te… Traccio una linea da dentro di noi.. anche allora ci fu un sorriso e una culla senza conoscere il domani .. parto dalle parole, ricomincio dal nostro risveglio… 

(Venezia, 14 febbraio 2022)

Mudhoney, What Moves The Heart (live Seattle '95)

lunedì 21 ottobre 2019

Mudhoney, un'intervista sincera

Il giornalista Luca Ferrari tra Mark Arm Steve Turner dei Mudhoney
Dieci anni fa, al New Age Club di Roncade, intervistai i Mudhoney. Musicisti autentici e pionieri di quel sound di Seattle che per l'ultima volta rese il rock immortale.

di Luca Ferrari

Dieci anni dopo quell'intervista, ancora oggi ne ricordo l'emozione unica. E come non poteva essere? Per la prima volta in vita mia incontravo qualcuno che aveva davvero lasciato un'impronta artistica dentro di me, i Mudhoney. La band che m'ispirò simpatia fin da quando vidi una foto nel lontano 1994. Loro, i Mudhoney. La band che fu fondamentale per l'esplosione del sound di Seattle. Loro, i Mudhoney, rimasti sempre nelle retrovie della popolarità ma da sempre seguiti da fan fedelissimi che hanno premiato il loro genuino punk rock distorto. Dieci anni fa, il mio taccuino era aperto al New Age di Roncade (Tv) davanti a Mark Arm e Steve Turner, cantante e chitarrista dei Mudhoney.

Prima ancora del leggendario Superfuzz BigMuff (1990), alle mie orecchie arrivò Piece of Cake (1992) dove troneggiavano le varie Suck You Dry, No End in Sight e Blinding Sun. Eppure per il sottoscritto, la per-certi-versi-anonima When in Rome mi entrò nel cuore, ancor prima che nell'anima. Istintivamente mi rappresentò quello che era il sound dei Mudhoney, una musica sincera e fraterna. E così, quando chiesi ai due musicisti se ci fosse una canzone che a loro in particolare piacesse suonare, dopo la suddetta premessa che raccontai anche a loro, Mark Arm sorridente mi disse: When in Rome. Non era vero e lo sapevamo tutti, ma fu davvero gentile a dirmelo.

Mark e Steve erano quelle persone semplici che avevo sempre immaginato. Super-ammirati da Kurt Cobain dei Nirvana, la band nacque dalle ceneri dei grandiosi Green River, la cui altra metà della band, tali Stone Gossard e Jeff Ament, avrebbero fondato prima i Mother Love Bone e dopo la tragica scomparsa del loro cantante Andy Wood, una band di nome Pearl Jam. Resto una mezz'oretta con loro, ribadisco ancora una volta, emozionato come mai mi è capitato in 17 anni di attività giornalistica. Lo storico bassista Matt Lukin non c'è più, sostituto dall'egregio Guy Maddison. Alla batteria invece c'è sempre Dan Peters.

(Now it's all burned down) Who can you trust?/  (Now it's all burned down) How come you're still alive? (Now it's all burned down) Where can you sleep tonight? suonano in Mudoney in When in Rome: Ora che tutto è ridotto in cenere, di chi ci possiamo fidare? Ora che tutto è ridotto in cenere, come possiamo essere ancora vivi? Ora che tutto è ridotto in cenere, dove dormiremo stanotte? Una tragica profezia che a giudicare dal mondo contemporaneo, assume tinte inquietanti di cosa è già una realtà per centinaia di migliaia di persone, e presto toccherà anche al resto del pianeta.

Roncade, New Age Club. 21 ottobre 2009. Sto intervistando la rock band americana Mudhoney per l'allora rivista cartacea La Vetrina di Venezia. Gli faccio ancora qualche domanda, poi è ora del soundcheck e dunque non resta che vederli dal vivo. Non sono più dei giovanotti ma suonano come meglio non potrebbero con Mark che furoreggia alternandosi tra solo microfono e voce + sei corde. Dagli storici cavalli di battaglia (Touche me I'm sick, Hate the Police, You Got It (Keep It Outta My Face) fino ai pezzi più recenti. Per la cronaca, non eseguono When in Rome ma dentro di me, eccome se l'hanno fatto e vi dirò di più. Insieme a loro c'ero pure io sul palco.


A OLTRANZA D'INNATA DIREZIONE
  
Parole d’idioma comune... gentilezza
senza principi né finalismi
… nessun’ancora al contrario
né corridoi premeditati

Nella fortunata ricaduta della rabbia,
si banchetta
tra innocenze di accadimenti odierni

la passione che nasce da un sentimento
è esattamente
quello che c'è scritto e per ora
non c’è nulla spiegare

Difendersi da un nuovo momento,
quale stupore?
Con una mano attaccata
a una parte della nostra fune di ripiego,
che cosa può ringhiare
ancora il sole?

Non voglio essere
mal consigliato né essere d’intralcio
… A che temperatura
posso diventare essenziale
per proseguire
su questo cammino?

Il giudizio dell’intransigenza
non ha recinti
né autentiche vicissitudini
da barattare

non ho mai creduto
di potermi contraddire
quando urlo di catarsi 
e domani umanamente biunivoci

…eseguo quello che penso
con salutare
isolamento per chi non è mai stato.
Eseguo quello che siamo dentro...

(Roncade [VE], 21 Ottobre '09)

Mudhoney live New Age 2009

New Age Club - Mark Arm e Steve Turner dei Mudhoney© Luca Ferrari 

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