"Le lacrime sono dei deboli. Bisogna ostentare la forza". Ecco lo schifo di mondo dove facciamo crescere i nostri figli. I give to you my heartshine, piccola creatura. Per info, ascoltare i Mother Love Bone.
Davvero un posto strano il mondo. In rete sembriamo tutti delle creature impegnate e preoccupate anche per le sorti di un leprotto intrappolato nella neve. Quando però si tratta della vita reale, subito a mettere una benda se le emozioni diventano troppo invadenti e soprattutto, visibili. Val bene i sentimenti, ma che non diano una immagine di poca forza perché il mondo ha solo bisogno di forza e ostentazione. E allora avanti, fatemi vedere chi siete. Quando tornerete a casa e saprete comunicare solo con le applicazioni, vi sentirete davvero realizzati?
Non era nei miei programmi scrivere una simile poesia quest'oggi, poi però accadono cose che ti stordiscono. Senti frasi e inizi a dubitare che chi ha in mano il futuro delle prossime generazioni, li sta solo preparando a un mondo pragmatico senza inondare i loro piccolissimi cuori di forza e amore per le proprie emozioni, anche quelle più struggenti. Anche quelle capaci di ferirti e farti crescere. "Noi non siamo altri che i nostri sentimenti", ci ha tramandato Neil Young. Oggi riparto da lui, traendo lacrime d'amore dal rock dei Mother Love Bone e la cavalcata di Heartshine, qui interpretata dai Temple of The Dog e la voce scomparsa di Chris Cornell.
Grazie per l'ispirazione, fraterno Andy Wood... Yeah, yeah, yeah, yeah give to you my heartshine!
Anno 1989, un'epoca che il mondo non dimenticherà mai. Il mondo stava cambiando. Dal 1985 il Segretario dell'Unione Sovietica, Michail Gorbaciov, aveva dato il via a una serie di riforme che presero il nome di "perestrojka". Mancava poco al tracollo di quel mondo aldilà del muro di Berlino e forse anche i decibel di "quel concerto" contribuirono a ispirare quel sentimento di libertà nel cuore delle genti. In pieno clima di distensione tra le due superpotenze Stati Uniti e Unione Sovietica, la Make a Difference Foundation organizzò il Moscow Music Peace Festival (Mosca, 12-13 agosto 1989). Un evento senza precedenti. Di lì a qualche mese, il 9 novembre, sarebbe crollato il muro di Berlino dando inizio a una nuova pagina di Storia.
Lassù intanto, sul palco dello stadio Lenin, si alternarono alcune delle band migliori in circolazione a cominciare dai Cinderella e il loro sofferto blues rock, quindi i locali Gorky Park, i giovani e lanciatissimi Skid Row, forti di un primo omonimo e grandioso album cantato dallo scatenato Sebastian Back. Teste di serie dell'evento, i melodici e commerciali Bon Jovi con il cantante che fece il suo ingresso in divisa dell'Armata Rossa; i selvaggi e possenti Motley Crue, l'ex-frontman dei Black Sabbath, Ozzy Osboune con la sua band solista che vedrà sempre al suo fianco il chitarrista Zakk Wilde, e i tedeschi Scorpions. Ospite speciale, il batterista Jason Bonham, figlio del leggendario John "Bonzo", percussionista dei Led Zeppelin.
Anno 2003. Da sempre più vicino a Pearl Jam &Alice in Chains, la mia parte wild rock è sempre stata alimentata da un'amicizia fraterna. Una di quelle persone che s'incontrano di rado nella vita e che se anche ci si perde, non cambia nulla. Ero volato fin nel nord Europa per rincontrarlo e mentre lui era al lavoro, mi fece vedere quello storico concerto. Non era certo la prima volta che ascoltassi i Cinderella ma il Moscow Peace Music Festival non lo conoscevo proprio e quando vidi nel corso dell'esecuzione di Nobody's Fool quella ragazza, quasi in trance per la bellezza e l'intensità della musica, l'ispirazione ebbe il sopravvento.
La band hair metal formatasi a Philadelphia iniziò la performance con un lungo intro di chitarre, poi la canzone entrò nel vivo. Tom Kiefer cantò con struggente malinconia, gridando con tutti i polmoni la strofa - I scream my heart out - nel cuore della suddetta song, tratta dal primo album della band, Night Songs (1986). Una nuova epoca stava per sbocciare, non solo nel mondo politico ma anche in quello musicale. Lì, in quelle giornate sovietiche il glam rock sparava le sue ultime poderose cartucce, pronti a lasciare il passo alla più ruvida e meno patinata scena musicale di Seattle.
Anno 2019. Sono passati ormai trent'anni da quel memorabile concerto. Il mondo è cambiato. La musica è cambiata. Meglio? Peggio? Non è questa la sede per un'analisi sociopolitica ma una cosa è certa, allora, in quel fatidico 1989 c'era più speranza e forse anche più convinzione che il mondo intero potesse prendere una direzione in linea con le speranze umane. Sono cambiati i politici. Sono cambiati gli artisti. La Storia quotidiana è oramai un miscuglio esasperato di ideologie e auto-celebrazioni. A quell'epoca però, il rock aveva ancora la selvaggia presunzione, e forse anche l'ambizione, di poter ispirare un cambiamento e lì, in Unione Sovietica, al Moscow Music Peace Festival è accaduto per davvero.
SULLE NOTE DI UNA FIABA MOSCOVITA
Introduzione senza barriere... Pseudonimo
principesco e un tratto di nuvole
così lontano dai cieli fino ad allora
solo immaginati... Resa sinceramente spirituale
di trascinante vicinanza emotiva
... Magari anche allora
mi sarei potuto accasciare
nei miei sogni
del domani, aspettando che il frastuono
di quelle voci velenose
ci avesse tutti presi per mano
Dimmi Cenerentola moscovita,
è questo il messaggio volevi catapultare?
Un tavolo, qualche consonante
e due sole iniziali?... Da una parte
dell'invisibile tatuaggio
si leggeva chiaramente
l’oscurità di un dialogo appena
fuoriuscito...
Nella tardiva narrazione umana
lo sconforto fu del tutto annullato
...
Tutti amano la storia di Cenerentola
ma se oggi continuassi a precisare
ciò che un fiore si è adattato a provare
per far riscaldare le ali di una farfalla,
le sole dita che ancora riuscirei
a sollevare
sarebbero quelle dalla forma incondizionata
di un chicco di neve
... dimmi ragazza, adesso sarai
una donna, sei
diventata anche madre? Hai il volto
di chi potrebbe insegnare
in un tiepido nido... forse dopo quel giorno
non hai più saputo accettare
le marce militari, hai portato ancora
il pane in bicicletta
e poi hai cominciato a pensare
di possedere un intero giardino
tutto per te ...Le puntate
hanno lasciato spazio alle stelle,
le risposte alle dettate conclusioni
...
Non dirò a nessuno di averti riconosciuta,
ma tu promettimi
che un giorno mi scriverai...
(guardando Nobody’s fool [Cinderella] live in Moscow Music Peace Festival,
Lanna [SVEZIA], 20 Settembre 2003)
Moscow Music Peace FestvalNobody's Fool performance live by Cinderella
Moscow Music Peace Festival - Tom Kiefer, voce dei Cinderella
Moscow Music Peace Festival - Jeff LaBar, chitarrista dei Cinderella
Il pubblico entusiasta del Moscow Music Peace Festival
La copertina del singolo Il mio nome è mai più
e la drammatica foto di Oscar Alberto Martinez e la figlia Angie Valeria (2 anni), morti annegati
Due corpi annegati. Un padre e una figlia. Vent'anni fa usciva il singolo Il mio nome è mai più cantato da Ligabue, Jovanotti e Piero Pelù. Ancora oggi una parte di mondo lo sta gridando a squarciagola.
Lo so bene. Non servirà a niente. Lo so bene. Nessun carnefice si commuoverà davanti a queste parole e questa canzone. Vent'anni esatti fa, tre artisti italiani: Ligabue, Lorenzo Jovanotti e Piero Pelù, diedero alle stampe il singolo Il mio nome è mai più sotto lo pseudonimo di LigaGiovaPelù, per raccogliere fondi per le vittime della guerra in Kosovo. Vent'anni dopo, il sangue scorre sempre più spietato. Le guerre incombono ma c'è un nuovo conflitto in atto. Persone armate di speranza che cercano di raggiungere nuovi posti per ricominciare, trovando al contrario indifferenza e sempre più spesso la morte.
Vent'anni esatti fa, nel giugno 1999, una parte di mondo gridava unita Il mio nome è mai più. Vent'anni dopo siamo ancora allo stesso punto di partenza. Vent'anni dopo dobbiamo difendere il diritto di esistere dell'essere umano. Vent'anni dopo siamo ancora nell'affannosa e disperata costruzione di un mondo dove la politica si pieghi alle esigenze umane di ogni singolo individuo, e non il contrario. Oggi, giugno 2019, non è più accettabile assistere a tutto questo. Il tempo dell'indignazione è finito per sempre, deve finire. Questo è il tempo in cui o il mondo cambia per davvero, o sarà la fine di tutti noi.
ABBRACCIATI A TESTA IN GIÙ SENZA PIÙ VITA
Non ho mani abbastanza
larghe
per farci respirare tutti insieme…
Non ho pensieri così
lungimiranti
da imporre agli altri
la vostra vicinanza… Siamo
tutti
facilmente e troppo sinceri
ma chissà, mai altrettanto forti
Oggi non cadono bombe
ma voi morirete comunque…
Ciao
come ti chiami?
È di tua figlia quel
corpicino inerme
accanto all’assenza di
respiro?
Sai, sono un papà anch’io
e io di voi non potrò più
dimenticarmi
Adesso loro parlano,
adesso stanno alzando
la loro voce… Adesso
qualcuno ha perfino detto
che non avreste nemmeno
dovuto
tentare di bussare
alla mia porta… Ogni
giorno mi legittimano
a impugnare una pistola
contro
di voi… Adesso
le scale oleose dell’esistenza
è tutto ciò che ci viene
concesso
in attesa della fine più atroce
Avanzano i predoni delle
vite,
sono acclamati
e non scenderanno dal
palco
… Oggi gli eroi
non devono più esistere,
oggi c’è bisogno
di ciascuno di noi… Questa
sera
guarderò ancora la foto
della vostra morte
e poi penserò alla mia
vita… Faccio
a meno delle mie lacrime,
questa è la mia sagoma
e niente mi trapasserà…
Verrò per te,
verrò per tutti voi.
(Venezia, 27 Giugno ’19)
Il mio nome è mai più, di LigaGiovaPelù
La tragica notizia dell'annegamento di un padre e una figlia, dal quotidiano La Repubblica
Prima di Mudhoney, Nirvana e Pearl Jam, la Seattle del rock è soprattutto Mother Love Bone. Sette anni fa io ci stavo andando e fu così che iniziai ad accordare nuovi sogni condivisi.
Sette anni esatti fa, il 25 giugno, a quest'ora del giorno mi stavo imbarcando all'aeroporto Marco Polo di Venezia destinazione Seattle. Un viaggio sognato da una via intera. Un viaggio che come ho sempre sottolineato fin dal mio ritorno, non è stato lontanamente ciò che avevo immaginato. Un viaggio che è stato il trionfo dei rapporti umani sulla solitudine del passato. Un viaggio che ha concluso uno di quei cerchi della vita lasciando finestre spalancate, portoni e ancor di più, mani e braccia unite. Io sono andato a Seattle con un'idea e da lì sono tornato con nuove convinzioni e la sensazione (certezza) che la vita, talvolta, sappia essere più profonda delle ombre.
In principio dunque ci fu la musica, e per il sottoscritto nessuno come i Mother Love Bone ha da sempre rappresentato al meglio la città di Seattle, e non a caso lo sfondo di questo blog è dedicato a loro. Più di Mudhoney, Nirvana e Pearl Jam. Forse perché c'erano loro prima di tutti, a eccezione di Mark Arm & soci. E non è un caso che quando stavo tornando col traghetto a Seattle dopo un giro in mezzo alla natura, passando anche per quell'Aberdeen natia di Kurt Cobain, lì, nelle cuffie stessi ascoltando proprio loro. Heartshine, Man of Golden Words, Stargazer, Crown of Thorns, la decadente-riottosa Gentle Groove e ovviamente lei, Stardog Champion, la prima canzone dei Mother Love Bone che ascoltai.
E non fu un caso che i miei primi e intensi sussulti nel documentario Pearl Jam Twenty (2012, di Cameron Crowe) li ebbi quando partirono le note di This Is Shangrila, facendo apparire la smaliziata "star" Andy Wood e subito dopo il volto sorridente di uno Stone Gossard ancora dannatamente ragazzino. Ecco, quelli erano i Mother Love Bone insieme agli altri tre membri del gruppo: il bassista Jeff Ament, il chitarrista solista Bruce Fairweather e il batterista Greg Gilmore. Quella era la fiaba dolce-metropolitana di uno spiritato gruppo di artisti che voleva lasciare un segno nel mondo e ci riuscì con la propria musica, un tragico destino e un'eredità umana ancora viva nella "smeraldina" semplicità della loro città natale.
Stardog Champion è un sali e scendi di rock allo stato brado, impreziosito da un assolo di chitarre dove il rock sembra davvero risorgere in una nuove veste ruvido-melodica dopo i lustrini e il machismo esasperato degli anni Ottanta. I Mother Love Bone però avevano molte affinità col glam rock, anche se più nell'aspetto che non nel sound, decisamente più figlio dei Led Zeppelin e di sicuro più imparentato con i futuri album dei Soundgarden che non con gli accordi di Poison o Twisted Sisters. Stardog Champion non è solo una canzone, è l'illusione diventata realtà. Riemersa dalle paludi senza ritorno, e pronta a essere intonata verso ogni spazzo di fosco azzurro.
Adesso non starò qui a raccontarvi la storia di questa band o del tragico epilogo del suo talentuoso cantante (1966-1990). Sono qui per condividere una storia. La mia storia insieme ai Mother Love Bone. Quello che mi hanno ispirato. Quello che abbiamo provato insieme . E quando, all'apice di una caduta senza fine, vedevo quei ragazzini danzare con sullo sfondo l'oceano e lo Space Needle di Seattle verso le battute finali del videoclip di Stardog Champion e l'inizio del coro fanciullesco, le ferite si squarciavano convinte che mai ci sarei arrivato. Allo stesso tempo, però qualcosa non smise mai di lottare furiosamente per non dissolversi. Quel qualcosa che sopravvisse fino a portarmi in una città i cui musicisti hanno segnato per sempre la storia della mia vita.
L’ALBA È PIÙ VICINA
AL SOLE
Laica preghiera di cristallo, non è solo una questione di sentimenti respinti... Questo sono sempre stato io e non volevo che sprofondare diversamente... A chi tocca dare la propria ingloriosa versione? Tocca a te nasconderti senza poter alzare la mano per primo... Nei lacci nascosti dentro i pugni abbandonati non ci sono mai state mele capaci di indurmi a costruire una strada di casa... Chi di loro si sarebbe immaginato un simile sforzo? Mi riprendo gli spiriti lasciati inorriditi tra quadratini senza profezie né distorsioni di rappresaglia Ho pensato di dire che anche i desideri abbiano la loro storia di persecuzioni e tavole rotonde, e io adesso lo sto sostenendo. Sento che potrei avere qualche nuovo aneddoto da tramandare... Non avrei mai voluto tornare, ma il mondo non è cosa per chi era abituato a vivere senza domani... O almeno questo era il mio pensiero... Torsoli riemersi dalle piogge primordiali... Oggi non edificherò consolazioni. Aspetterò quelle antiche e solitarie luci del mattino andare oltre il proprio oceano di tentacoli, farò nuove amicizie e passerò un'intera giornata a danzare fino a quando non avrò davvero voglia di continuare a sorridere... Scenderò in cantina e mi siederò davanti all'uscio di una nuova abitazione… Farò tutto questo insieme a voi, mi metterò a piangere e poi lo rifarò ancora...
Nel variegato panorama dei primi anni '90, i Faith No More crearono uno stile inconfondibile e irripetibile. Per informazioni, chiedere al terzo album The Real Thing e la grandiosa Epic.
Prima un'esplosione musicale, poi il cantato hippoppato anni luce prima dell'esplosione del numetal. Can you feel it, see it, hear it today?/ If you can't, then it doesn't matter anyway/ You will never understand it, cause it happens too fast/ And it feels so good, it's like walking on glass. Era il 1989 e "Mr. Bungle" Mike Patton, nuovo cantante della band crossover Faith No More dopo l'addio di Chuck Mosley, si presenta così al pubblico musicale e a quello televisivo di MTV. Il video va che è una bellezza. La band originaria di San Francisco, stessa patria dei Metallica con cui anni dopo divideranno un mega-tour insieme ai Guns 'n' Roses, s'impongono sotto ogni punto di vista.
The Real Thing, l'album da cui è tratta Epic, alla pari di altri capolavori dell'epoca come Appetite for Distruction (GnR), e i successivi Nevermind (1991, Nirvana), Automatic for the People (1992, R.E.M.) è semplicemente perfetto. Una varietà musicale incredibile, anche nel minutaggio delle canzoni, sfondando addirittura gli 8 minuti con la canzone omonima del disco. Patton si destreggia come un veterano. Bordin macina accordi metal. La base ritmica scrive nuove strade. Chicca, la cover strumentale di War Pigs, dei Black Sabbath. Un segno nel destino, visto che anni dopo Mike Bordin si siederà (anche) dietro i tamburi dell'attività solista di Ozzy Osbourne. Underwater Love ed Edge of the World, paiono scritte per darsi la buona notte con le cuffiette.
C'era un tempo dove molte canzoni venivano tragicamente associate a ricordi pesanti. Epic, grandiosa canzone dei Faith No More, fu una di queste. Risucchiata in una delle peggiori annate della mia esistenza ed emblema di una vita incapace di decollare ma rimanendo sempre invischiata in una melma commestibile solo all'apatia mentale. Di epico in quel momento non c'era nulla. Anche se il calendario dovette aspettare solo un anno per farle cambiare volto, fu una vera eternità ma la riscossa fu grandiosa e così accadde che in una trasferta solitaria alla scoperta dell'arte di Firenze, una grandiosa versione live di Epicmi accompagnò nei miei primi passi fuori dalla stazione di Santa Maria Novella.
Fu un nuovo inizio e da quel momento i Faith No More divennero simbolo di novità nella mia vita, associando dunque la loro grandiosa musica anche allo scorrere del presente. Da allora non sono più tornato indietro e quando la voce di Mike Patton accompagnata dal rock heavy metal di Jim Martin (che indossa una maglia in memoria del bassista dei Metallica, Cliff Burton. deceduto nel 1986 in un incidente), le tastiere di Roddy Bottum, il basso di Bill Gould e l'esplosiva batteria di Mike Bordin, è pura adrenalina. Giusto l'altro ieri, verso la mia fine del mio rock-jogging settimanale, ecco arrivare lei, Epic dei Faith No More. Una sferzata di adrenalina possente. It's magic, it's tragic, it's a loss, it's a win... Si, esattamente. Ancora una volta, It's magic, it's tragic, it's a loss, it's a win ma questa volta lo afferro, cavolo se ci riuscirò. Fanculo se ci riuscirò, insieme al rock unico dei Faith No More.
QUESTIONI DI FEDE
Latrati paludosi,
questa è la mia marcia…
questo
è il mio cammino,
non c’è notte
e non farò altre
considerazioni
su uno dei tanti
mezzogiorni
dai duelli raggrinziti
Chi ho davanti a me?
Chi c’è alla fine di questo
pediluvio lessicale?
… Ignoro cosa sia il mondo
perché nessuno me lo ha
mai
raccontato
è facile far galleggiare
le parole col sole
quando l’immediato passato
è un cruciverba dimenticato
senza neppure
una stazione cui addossare le colpe
della propria apatia
Ho ancora le mani
conficcate
in liquidi oleosi… Ho
ancora
i canini allineati
ad alveari di passaggio… Sento
ancora una deriva
incontrollata e sarei
troppo ottimista
se mi facessi raffigurare
con un’impresa
nel mio prossimo dettato..-
Non posso rispondere
a tutte le tue uniche
domande
per la mia passata
eternità… devo andarmene
via
anche oggi,
prendi pure l’indecisione
che vuoi della mia
sincerità,
seducila fino a darle un nome
e anche se non lo saprai mai,
quel domani di un dito
nel cuore
è esattamente qui e ora
(Venezia, 29 Maggio ’19)
Epic, music video by Faith No More
Epic, music video by Faith No More
Epic, music video by Faith No More
Epic, le mani e la chitarra di Jim Martin (Faith No More)
The Avenger (2008, Souljourners) è l'emblema musicale del cult generazionale e maledetto, The Crow (1994, di Alex Proyas), ancor più della grandiosa colonna sonora del film.
Vittime, non lo siamo tutti? domandava un indemoniato Eric Draven (Brandon Lee). Ricordo ancora il trailer in quel dannato 1994. Lo spettro dell'attore protagonista, figlio del celebre Bruce, anch'esso morto sul set, sembrava essersi reincarnarsi nel recente suicidio del cantante-chitarrista dei Nirvana, Kurt Cobain. E lui, Eric Draven, tornava in vita come una sorta di vendicatore biblico cui era stata concessa l'immortalità mediante un corvo col compito di fare piazza pulita di tutti gli assassini suoi e dell'amata promessa sposa, Shelly.
Potrà sembrare assurdo ma non è una canzone della colonna sonora ad aver immortalato questo film nella mia memoria. Né il capolavoro Burn dei Cure né la tragica Big Empty degli Stone Temple Pilots o l'evocativa It Can't Rain All The Time di Jane Siberry. La band in questione è l'indie rock Souljourners e la canzone è The Avenger (2008)., scoperta attraverso un contatto d'oltreoceano, che mi piacque fin da subito, e il cui video mi avvicinò ulteriormente all'anima martoriata di quell'Eric, vittima innocente e spietato vendicatore suo malgrado.