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giovedì 24 dicembre 2020

Hole, la vendetta di Gold Dust Woman

La rock band Hole nel videoclip di Gold Dust Woman

La luce delle anime dannate è tornata dall'Aldilà per vendicare l'umanità ferita. Tra le candele del natale '96, gracchiano amichevoli ed eternamente profonde le Hole di Gold Dust Woman.

di Luca Ferrari

"Gold dust woman, Take your silver spoon And dig your grave
One last challenge/ Pick your path and I'll pray ...
Wake up in the morning
See your sunlight burning to go down
Lousy lovers pick their graves
But they never cry out loud [...]" inizia così la cover di Gold Dust Woman, delle Hole, direttamente dalla colonna sonora del film The Crow - City of Angels (1996, di Tim Pope).

Reduci dal successo planetario di Live Through This (1995), le Hole si presentano con una novità nella formazione. A fianco della carismatica cantante-chitarrista Courtney Love, il fido chitarrista Eric Erlandson e la batterista Patty Schemel, arriva la ventiquattrenne canadese Melissa Auf der Maur al basso, in sostituzione della collega Kristen Pfaff (1967-1994), morta per overdose pochi giorni dopo il suicidio di Kurt Cobain, marito di Courtney. Il sound della band di Los Angeles prende subito le distanze dall'originale dei Fleetwood Mac, imponendosi con un sound alternative-onirico in un crescente mix di pathos e intensità interiore.

Gold Dust Woman fu una canzone che mi entrò in circolo in un millesimo di secondo. Nonostante il film non valesse nulla del primo e unico The Crow (1994, di Alex Proyas), la canzone delle Hole ha la capacità di catapultarti in un mondo oscuro ma dove la luce è una forza presente dentro di noi. Non credo ci sia stato inverno in cui non abbia ascoltato questa canzone. Quasi fosse una sorta di sorella minore o un'amica di penna. Una persona che magari non vive accanto a te ma puoi comunque sentire i suoi pensieri e debolezze, facendo delle ferite in comune una dichiarazione d'identità al mondo (oscuro) intero.

Natale non è solo Happy Xmas (War is Over) di John Lennon o la dolcissima All I Want fo Christmas is You di Mariah Carey. I miei primi ricordi musicali di un natale diverso e più cosciente, passano per l'amicizia di Gold Dust Woman, quando nel tardo autunno del 1996 svolazzavo solitario su e giù per la laguna, saltando da un'ombra a un pensiero. Senza sosta. In quel sound oscuro e profondo, discese in dimensioni parallele tratteggiano una nuova umanità. Il Corvo 2, storia della vita che rinasce dalla morte, per vendicarsi dell'abuso dell'uomo. Un crimine troppo efferato, padre e figlio brutalmente uccisi. Una vicenda in cui il sound delle Hole gracchiò immrotale come un'invincibile araba fenice al fianco dei più deboli.


LA SFIDA LUMINOSA DELLA MIA LAPIDE


Intossico nelle strade,
non ci sono indicazioni
nell'eternità della salvezza... Di
quale esistenza a prua
stavamo orchestrando? Combattiamo
nel cemento paludoso
mentre il cielo si scrosta
ogni giorno
nel puntellare i passi che ancora
ci mancano per sentirci
al sicuro dentro di noi

Storia di una dimensione
semi-oscura,
il progresso ha lasciato posto
al mio cuore lacerato... Mi
sto avvinghiando
alle mie morti pregresse
e alla fine di questa condanna
itinerante

Credi che i tuoi strali luccicanti
possano ostacolare
la mia prossima cinerea caduta?

Non sono stato in silenzio
così a lungo
solo per sconfessare il vostro alfabeto
tra numeri e superflui alfabeti

… Esisto io, ed esisteremo
anche dopo tutti voi

Non ho volutamente
parlato di ombre fino a questo
istante... Gracchia angelica
un po' di più, poi potrai chiederne
il significato alla metà
del mio spirito
libero dal veleno delle foglie
volate via tutt'attorno a me

lo scheletro che si nasconde
dentro il mio sorriso
adesso si è  seduto di fronte
a voi... le lacrime del mio regno
sono estranee alla vendita

                                                              (Venezia, 24 Dicembre '20)

Gold Dust Woman, by Hole

mercoledì 2 dicembre 2020

Iron Maiden, live The X Factor 1995

Iron Maiden - (da sx) Nico McBrain, Steve Harris, Blaze Bailey, Dave Murray, Genick Gers
Il 2 dicembre 1995 al Palasport di Pordenone, gli Iron Maiden col nuovo cantante Blaze Bailey portarono in tour il nuovo album The X Factor (1995). Un concerto "heavy epico".

di Luca Ferrari

Il rock aveva iniziato a scorrere possente e straripante dentro la mia anima. Adesso era giunto il momento di fare sul serio. Adesso era arrivato il giorno del mio primo grande concerto rock e non potevano essere che loro a "battezzarmi", gli Iron Maiden. Una band sentita vicina fin dalle prime immagini e note. Non ancora diciannovenne, salii in macchina insieme a una mia amica, i cui gentili genitori ci accompagnarono fino in Friuli. Loro a passeggio e a mangiarsi una pizza, noi stretti in coda per almeno un paio d'ore in attesa di entrare. Il 2 dicembre 1995, al Palasport di Pordenone sbarcarono gli Iron Maiden orfani del "fuggitivo" Bruce Dickinson, pronti a conquistare il pubblico con il nuovo cantante, l'ex-Wolfsbane Blaze Bailey

Ho passato sullo scanner gli articoli di giornale incollati su di una delle mie tante e vecchie agende. Non ho voluto rileggere nulla. Qui parliamo di emozioni ancora vivide dentro di me. Inizia lo show. Non fu una giornata particolarmente fredda ma gli ottobre primaverili di questi ultimi anni durante i Nighties erano un'utopia. Mentre si aspettava, cercavamo qualche faccia magari conosciuta. Niente telefoni. Niente di niente. Si aspettava cantando e parlando. Nulla di più. Poi ecco qualcuno come noi, proveniente dal Lido di Venezia. Un amico che già parlava di voler vedere i Megadeth. Un ritrovarsi lontano rimandando all'indomani la condivisione del dopo-concerto.

Ci siamo. Inizia lo show. Aprono le danze i fedelissimi e possenti scozzesi The Almighty di Ricky Warwick, spesso in tour con i Maiden. Indimenticabile le espressioni del gasatissimo bassista Floyd London. Fino a quel momento eravamo tutti seduti in platea. Ricordo un po' la mia sorpresa al riguardo. Dopo il break, ecco le luci spegnersi. Come un esercito, pacifico e metal, d'improvviso tutti si tirarono subito in piedi alla prima nota di Sign of the Cross, direttamente dal nuovo album The X Factor, perfetta per iniziare un live. E non appena la musica salì di tono, la ressa fu talmente potente che dovremmo spostarci sugli spalti, godendoci il concerto comunque alla grande.

Non posso citare con esattezza le canzoni che suonarono. Per la scaletta ci sono gli articoli qui incollati e internet. Falling Down e Lord of the Flies del nuovo album, di sicuro, e le ricordo bene. Dei pezzi storici Run to the Hills, di cui anni prima mi ero comperato una t-shirt senza quasi conoscerli, e poi Hallowed be Thy Name, e la poetica Fear of the Dark, dall'omonimo album (1992). Un minicerchio della mia vita personale è racchiuso in quest'ultimo disco. Non solo fu il primo album rock che ascoltai ma la mia compagna di concerto con cui scandimmo le canzoni dei Maiden a Pordenone, la conobbi al tempo in cui indossava una maglia a manica lunga con la copertina (splendida) di quello strepitoso disco.

Una squadra perfetta quella degli Iron Maiden. Un Blaze Bailey galvanizzato cui i metal fan più esigenti gli riconobbero carisma ed eccellenti qualità canore. Al suo fianco, i due chitarristi Dave Murray (solista) e Janick Gers, infaticabili esecutori di riff e corse su e giù per il palco. Alla batteria, come sempre Nicko McBrain. E il direttore d'orchestra, ovviamente lui, il fondatore della band: Steve Harris. Fu il primo che vidi apparire sul palco. Ricordo con estrema nitidezza che pensai subito: "My god, è quello delle riviste di musica" (in riferimento a una copertina sul mensile HARD! dove era in prima pagina insieme al cantante dei Guns 'n' Roses). La musica degli Iron Maiden l'ho sempre sentita amichevole e sincera.

Le mani alzate. Il romanticismo degli accendini. Il mostruoso Eddie. Gli applausi scroscianti. E d'improvviso da quel pubblico visto nei videoclip in televisione, adesso c'eravamo anche noi. E poi il ritorno in due tappe poiché all'epoca non c'erano più ferryboat per raggiungere le nostre case. E anche quello fu parte autentica del concerto. Nel ripensare, riascoltare. Parlarne. Immaginare anche il futuro, se li avremmo ancora ascoltati (e visti) a distanza di anni. Lasciammo la macchina, e poi via di passeggiata fino a piazza San Marco (non esattamente due passi) per prendere il vaporetto. Niente app per controllare orari. Solo il passo svelto con la speranza di non dover aspettare troppo ma ehi, avevamo appena visto gli Iron Maiden. Che cosa si poteva chiedere di più in quel momento?

Il rock aveva cambiato la mia vita per sempre. Con la sola eccezione del corale Beach Bum Rock Festival di Jesolo (4-6 luglio) vissuto pochi mesi prima, il live degli Iron Maiden a Pordenone il 2 dicembre 1995 fu il mio primo grande concerto. Fu un'emozione indescrivibile. Mi sentivo a mio agio lì nel mezzo e allo stesso tempo stranito durante la performance, chiedendomi continuamente come si potesse assistere a un simile spettacolo e tornare poi alla vita comune come se niente fosse ma quello era il tempo delle domande infinite. Quello era il tempo di un'epica tutta da scrivere e del dolore umano più autentico, sviscerato da atroci ferite del passato che il rock mi aiutò a prendere definitiva coscienza. Adesso ci camminavo dentro e da allora non mi sarei più fermato.


DICHIARAZIONE LIVE DEL MIO SANGUE SGOMINATO


Frastuono esteso 

in un'alba  di emancipazione ribelle 

e ordinata... Carovana

senza incomprensioni emotive... Presi 

il mio tempo, sono consapevolmente libero

di far combaciare il mio sangue...


Tengo strette la mie paure,

ne ho ancora una moltitudine

e le grida adesso

sono caverne senza nuvole né silenziatori


Sulla mia piccola strada

c'era ancora qualche strascico di fede,

nessuna insenatura affilata

e qualche pagina umida

dei giorni rimasti... sulla

mia testa l'esplosione

un flusso continuo... Non

sono ancora pronto

per raccontarvi così tanto

di me stesso... Sono sempre 

più confidente

a togliere ogni rampone dalle montagne

e chiarirmi con la mia dipendenza

di libertà... Sono in ascesa spropositata

contro chi mi ha sepolto vivo


Schizzano saette

da uno sguardo all'altro... Siamo

tutti arrivati

nello stesso macro-secondo... Lo

spettacolo domani

sarà già un altro crocevia

e avrò di nuovo chiuso

la mia porta... A quali risposte

potrò appellarmi

per evitare lo scontro quotidiano?

Quello fu l'inizio

della mia strada... Quella

fu la regola

a un'esternazione disciolta... L'isolamento

di una cascata

è la nostra isola di purezza... Il sangue

non è più un tesoro di cui (ir)ridere,

adesso 

stavo cominciando a dire chi fossi...

(Venezia, 2 Dicembre '20)


Iron MaidenMan on the Edge

L'articolo degli Iron Maiden prima del concerto a Pordenone © Luca Ferrari
Il biglietto del concerto degli Iron Maiden © Luca Ferrari
L'articolo sul concerto a  Pordenone degli Iron Maiden © Luca Ferrari

lunedì 23 novembre 2020

U2, la notte di Bono contro Chirac

U2 - Adam Clayton e The Edge dietro a Bono sul palco degli MTV Europe Music Awards
Parigi, 23 novembre 1995. Dopo aver trionfato come miglior band (U2) agli MTV Europe Music Awards, il cantante Bono ebbe parole al vetriolo contro il Presidente Chirac 

di Luca Ferrari

What a city, what a night, what a crowd, what a bomb, what a mistake, what a wanker you have for a President. What you want do it about, tell me, what you wanna do?!?!?!, disse un infervorato Bono dal palco del Le Zénith di Parigi, prendendo a muso duro il Presidente della Francia, Jacques Chirac, reo di aver autorizzato esperimenti nucleari sull'atollo di Mururoa pochi mesi prima. Lui era lì, insieme ai compagni U2 il bassista Adam Clayton, il batterista Larry Mullen e il chitarrista The Edge, freschi vincitori come Best Group agli MTV Europe Music Awards '95, trainati dallo strepitoso singolo Hold me, Thrill Me, Kiss Me, Kill Me (OST Batman Forever).

Un piccolo salto indietro. Nei miei riottosi 19 anni quelle parole furono strepitose e ancora oggi, a rivederle venticinque anni dopo, mi scopro trascinato dal carisma sopra le righe del cantante irlandese. Già un paio di mesi prima, mi ero unito a manifestare sotto l'Ambasciata di Francia, a Venezia, sulla fondamenta delle Zattere. Una protesta proprio per contestare i test nucleari e che vide subito dopo, anche uno show live della band cult napoletana 99 Posse (ma su questo aneddoto potrei anche sbagliarmi, ndr). Un antipasto che avrebbe poi trovato nella voce del sempre politico Bono Vox, una denuncia applauditissima dal pubblico francese, e gran parte del mondo.

Novembre 1995. In quell'edizione presentata dallo stilista Jean-Paul Gaultier e segnata dalla performance live di Zombie dei rocker irlandesi The Cranberries, in gara per lo scettro di Miglior Gruppo c'erano Bon Jovi, Green Day, U2R.E.M. e Blur. Il premio fu consegnato dai cantanti Nina Hangen e Zucchero. Sulla via del palco, Bono era già bello carico. Prima un balletto con The Edge, poi un applauso ai suoi tre compagni di band (e vita). La band di Dublino non aveva fatto uscire un nuovo album né erano andati in tour, cosa rimarcata anche dal cantante in principio. "Deve esserci un trucco" scherzava placido. Ma eccolo poi d'improvviso salire di tono con quella storica cavalcata politica.


È QUELLO CHE INTENDO FARE


Sono stato sveglio tutta la mattina

solo per materializzare

che cosa stavate adempiendo...


Passerò tutta la notte

a togliere la lama a ogni singolo coltello

e poi uscirò in strada,

farò la coda tutte le pagine

di quella muffa che ancora affolla

le finestre chiuse, infine

mi prenderò un attimo per tenere

gli occhi aperti


La voce grossa,

il senso del tracciamento...

Leve su leve, con grattacieli

a chiosare sull'argilla

delle piramidi... I nuovi Maestri

hanno autorizzato

il mondo a inginocchiarsi solo al passato,

li abbiamo ascoltati

ma non ci hanno ancora distrutti


Mi son chiesto

che cosa avrei dovuto fare...

Mi son chiesto

che ho fatto da allora fino

a questo istante...

Mi sono lasciato cadere

e non ho provato nessun dolore

nel prendere confidenza

con ciò che abbiamo permesso

ci infliggessero... Non ho fatto

ancora nulla fino a un istante

fa... Perché non siamo

ancora là fuori... è perché

siamo esattamente lì fuori

che sulle nostre mani

non si sono conficcate le catene

del loro cappuccio bendato


Sono pieno di folgori,

non ho lasciato molto

a questo mondo... Ai demoni in ascolto,

aspetto una lettera insieme 

ai vostri migliori reclami

                                                (Venezia, 23 Novembre '20)


MTV Awards 1995, il discorso di Bono (U2)

venerdì 6 novembre 2020

Gli assurdamente grandiosi The Presidents of the United States of America

The Presidents of the United States of America nel video di Lump
In attesa di conoscere il nome del 46° inquilino della Casa Bianca, mi sparo Lump dei mitici The Presidents of the United States of America. Una band assurda e grandiosa. 

di Luca Ferrari

Scatenati, rockettari di prim'ordine, impossibile da etichettarli in uno stile preciso. The Presidents of the United States of America sono una di quelle band più uniche che rare, appartenenti a quel non-genere che ha visto esprimersi in questa dimensione anche altri gruppi come Primus o Radiohead. Canzoni scoppiettanti e video azzeccatissimi, a cominciare da Peach, tratto all'album di debutto che porta il loro stesso nome (1995), dove i tre musicisti Chris Ballew (lead vocals, basso), Dave Dederer (chitarra, backing vocals) e Jason Finn (batteria, backing vocals) si trovavano ad affrontare dei temibili ninja. 

Ma ciò che dei The Presidents of the United States of America mi ha sempre colpito fu la loro provenienza (appartenza), la città di Seattle, e parliamo di una band il cui primo album uscì a metà degli anni Novanta. Seattle, la culla di band del calibro di Nirvana, Soundgarden, Mudhoney, Alice in Chains e Pearl Jam. E proprio contro il cantante di questi ultimi, Eddie Vedder, i PUSA a ragione si scagliarono, accusandolo di fare il paladino della loro città, salvo poi di aver tifato nelle finali di basket NBA'96  i Chicago Bulls di Michael Jordan e Rodman (di cui era amico), invece che per i Seattle SuperSonics di Gary Payton e Shawn Kemp, cui al contrario il trio aveva scritto la canzone Supersonics per celebrare l'evento.

In quel primo grandioso album, che vedeva anche una strepitosa e originale cover di Kick Out the Jams dei leggendari MC5, a trascinare un pubblico variegato, c'era anche Lump. Un sound energico che vedeva i tre The Presidents of the United States of America suonare su una chiatta a Elliot Bay, nel Puget Sound, davanti alla loro amata Seattle di cui si riconosce chiaramente lo skyline, Space Needle incluso a fine video. Ecco, mentre il presidente uscente Donald Trump continua a piagnucolare accusando chiunque di brogli e lo sfidante democratico Joe Biden attende la vittoria, io mi sparo a massimo volume Lump dei The Presidents of the United States of America, Immaginando di riuscire a invitarli a Venezia e suonare Lump a bordo di una caorlina lungo il Canal Grande. 


VE LO SPARO, MI SPARTISCO

spiegatemi la differenza
tra un bombardiere
e un lanciarazzi, oggi
vorrei sedermi accanto a voi
senza sapere
chi siete per davvero

Che senso ha
ascoltare i vostri dettati
quando ci sono persone
che non conoscerete mai?
Chi se ne frega
dei vostri sorrisi quando per vincere
dovrete promettere
che tanta gente morirà?

Vorrei avere una palude
e un universo... vorrei potermi
spostare solo sull'acqua
senza dovervi mao stringere
la mano... Vorrei stare
in silenzio e sapere che qualcosa
domani sarà differente

Prestami il tuo potere
e non farò i tuoi stessi danni,
fammi provare la tua boria
e me ne starò in divano
per tutta la durata del tempo
in cui sarò osannato

ho vinto io, ha vinto lui...
lui è stato sleale, io sono un fasullo
di fede... Lanciami
il tuo aldilà, ho voglia
di crogiolarmi nella disputa
di chi sarà l'ennesimo despota
della nostra contraffazione

sono pronto, e sono ispirato
sono irato, sono sul plateatico giusto
fatemi spazio
adesso tocca a me... fatevi da parte
mi sono appena caricato
(Venezia, 6 novembre '20)

 
Presidents of the USA, Lump

domenica 1 novembre 2020

All Saints, la vita Under the Bridge

All Saints (da sx) Shazany Lewis, Natalie Appleton, Melanie Blatt, Nicole Appleton 
Niente rock a Ognissanti, ma la cover dell'immortale Under the Bridge dei Red Hot Chili Peppers, interpretata dall'intensa dolcezza pop delle All Saints.


In quegli ultimi bagliori degli anni Novanta il rock era in piena agonia. Il nuovo corso dominante  parlava il sound del brit pop targato Oasis, Blur e Radiohead. In parallelo nel frattempo, sempre dalla terra di Sua Maestà, si erano fatte largo in modo devastante cinque ragazze di nome Spice Girls. Presto l'avrebbe raggiunte ai vertici delle classifiche il quartetto delle All Saints, girl band formata da Shaznay Lewis, Melanie Blatt (londinesi) e le sorelle canadesi Natalie e Nicole Appleton. Meno esplosive delle cinque colleghe ma ugualmente efficaci nelle melodie ed esportatrici di una dolcezza musicale a tratti sensuale, senza mai scadere in facilonerie.  

Iniziarono in punta di piedi. Never Ever, primo singolo dell'album All Saints (1997), è una ballata quasi sussurrata. L'anno successivo ci avrebbero pensato due nuovi video, sempre tratti da canzoni del medesimo album, a mostrare di più le doti del quartetto, con due cover. L'intramontabile Lady Marmalade e l'immortale Under the Bridge, dei Red Hot Chili Peppers. Ricordo ancora la prima volta che la vidi. Lì per lì pensai a una banale omonimia, poi mi ricapitò e captai qualcosa di familiare. Le parole erano quelle. Dentro di me pensai a un atto di pura blasfemia. Quella era una canzone intoccabile, che cosa ci avrebbe potuto fare un girl band se non snaturarla del tutto? Pensiero legittimo. Dopo tutto in molti ancora inorridiscono per le cover (strepitose) che Marilyn Manson realizzò di Sweet Dreams (Eurythmics) e Personal Jesus (Depeche Mode).

Under the Bridge è una canzone di abbandono e rinascita. Un testamento senza fine della band californiana che concludeva con le toccanti parole "Under the Bridge downtown I give my life away - Sotto il ponte laggiù ho gettato via la mia vita". Nel videoclip delle All Saints le quattro ragazze camminano scalze in un grattacielo diroccato, in uno degli ultimi piani con al centro una gigantesca voragine che renderebbe impossibile la vita quotidiana. Ci penzolano dentro. Una malinconia emergente tra sguardi di forte intensità e un calore deciso a tenere in vita l'esistenza. Quattro ragazze con le loro fragilità ed energia guardano da lontano un mondo frenetico. Quattro giovani donne s'interrogano. Rispetto ai RHCP loro erano agli inizi, ma oggi ci potrebbero raccontare qualcosa di più dei rispettivi percorsi di vita. Per me è sufficiente per ricominciare a scrivere... 


LIBERTÀ DI PROVARE NUOVE EMOZIONI


Abbiamo in comune

qualche conchiglia ammarata

sopra il ventre dei fulmini... le forme

più anarchiche e morbide

delle nuvole

stanno rigettando quei facili ponti

dove il mondo

si è potuto stranire senza reclami...


Nel temp(i)o dei miei sogni

si confrontavano

le strade... Un tempo le mie corse

mimetizzate

erano tutto ciò che avessi

da riassumere

in un megafono e una cerbottana


Con gli occhi a penzoloni sulle dita

ho recapitato

erosioni e ripensamenti... dove siamo ritornati?

Quando assunsi la (ri)forma

dei miei pensieri

eravamo ormai troppo lontani

perché potessimo

restare stretti per mano

senza che la notte insistesse a comprendere

la dolcezza in fase di condivisione


Da questo momento in poi

non me ne sono più andato

In quel momento non ci sfioravamo

nemmeno, e sul cielo

non c'era nulla che potesse

significare una creazione congiunta

di stelle e prosecuzioni mantenute...

L'espressione facinorosa

di una scatola di nuovi ricordi

è diventata l'origine incontrollata

di nuovi sentimenti... la terra

ancora tinge i miei capelli,

ma per questo

ci sarà tempo per raccontarcelo

l'un l'altre...

                                                                (Venezia, 1 Novembre '20)


All Saints, Under the Bridge

Shaznay Lewis (All Saints) nel videoclip di Under the Bridge
Melanie Blatt (All Saints) nel videoclip di Under the Bridge
Natalie Appleton (All Saints) nel videoclip di Under the Bridge
Nicole Appleton (All Saints) nel videoclip di Under the Bridge
Le All Saints nel videoclip di Under the Bridge - 
(da sx) sorelle Nicole e Natalie AppletonShaznay Lewis e Melanie Blatt
Le All Saints nel videoclip di Under the Bridge
Nicole Appleton (All Saints) nel videoclip di Under the Bridge

sabato 31 ottobre 2020

Queen has Bohemian Rhapsody put aside for me

I Queen di Bohemian Rhapsody

Il 31 ottobre 1975 i Queen pubblicarono il singolo Bohemian Rhapsody. Allontanandosi dai canoni classici del rock, la band inglese creò qualcosa di unico e strabiliante. 

di Luca Ferrari

Oh, mama mia, mama mia  (Mama mia, let me go.)
Beelzebub has a devil put aside for me, f
or me,  for meeeeeeeeeee...

Alzi la mano chi almeno una volta nella vita non l'ha cantata, suonata o semplicemente "accompagnata" ondeggiando testa e capelli. Se davvero esiste qualcuno, non gli credo ma se davvero così fosse, vada a farsi curare. Un ritornello epico quello di Bohemian Rhapsody, dall'album A Night at the Opera (1975), di una band altrettanto leggendaria: i Queen di Freddy Mercury (voce, piano), Brian May (chitarra), John Deacon (basso) e Roger Taylor (batteria). Il nuovo corso di Live on Two Hands prevede sempre una poesia prima del video, è vero. Non questa volta. Adesso ho solo una gran voglia di riascoltarmi per l'ennesima volta Bohemian Rhapsody. E credo anche (tutti) voi.

Nothing really matters, 
Nothing really matters, to me...

Queen, Bohemian Rhapsody

mercoledì 28 ottobre 2020

Pearl Jam, l'ispirazione eterna di Daughter

Eddie Vedder (Pearl Jam) durante un'esibizione live di Daughter

La traccia di Daugther ancora mi insegue. Sono passati trent'anni dal primo concerto dei Pearl Jam ma qualcosa da dire insieme alla loro musica, ancora ce l'ho. E se poi ci si mette l'amore. 

di Luca Ferrari

Kurt Cobain ed Eddie Vedder hanno segnato il mio modo di scrivere poesie, o meglio testi come li ho sempre chiamati. Ma se il risultato finale è sempre stato il frutto di una composizione forsennata molto più simile alle "corde" del cantante-chitarrista di Aberdeen, fondatore dei Nirvana, la mera forma esteriore delle parole ha molto e naturalmente assimilato dai testi dei Pearl Jam. Non ho mai voluto riscrivere qualcosa, se non a forma di dedica per qualcuno di specifico, e le rare volte che ho sentito la voglia di scrivere qualcosa immaginando un sottofondo, la canzone che mi è sempre venuta in mente è stata Daughter, terza track del 2° album della band di Seattle, Vs (1993). Il perché, non ne ho idea.

Vs è un album fantastico, considerato (a ragione) il loro disco migliore. Non ha i capolavori di Ten, ma la qualità di ogni singola canzone è al di sopra del 9, cosa che il primo album dei Pearl Jam non possiede. Vs fu l'album della conferma. Vs fu l'album della dichiarazione spirituale della band, all'epoca ancora saldamente nelle mani di Stone Gossard & Jeff Ament, che non avrebbe cavalcato nessun facile successo. Oltre alle canzoni, la più grande eredità (insegnamento) che i Pearl Jam hanno impresso fin dagli esordi a fan e detrattori, fu proprio questo: una visione controcorrente e di elevatissima onestà intellettuale, degni eredi dei vari Neil Young, Bruce SpringsteenR.E.M.

Il 22 ottobre scorso i Pearl jam hanno celebrato 30 anni di carriera. Sono passati trent'anni infatti da quel primo epico concerto all'Off Ramp Cafe di Seattle, quando ancora si esibivano col nome di Mookie Blaylock. Non so se questo abbia influito. Non ho ascoltato dal vivo la performance quando l'hanno trasmessa però forse la loro ispirazione è tornata a serpeggiarmi dentro e con la complicità della vita quotidiana, riecco Daughter iniziare l'arpeggio in una sessione che mi ricorda tanto il mio primo contatto coi PJ, quando suonario dal vivo "Rearview Mirror" (sempre dall'ambum Vs). Adesso sono pronto. Non resta che impugnare qualche pensiero. Lasciarlo lievitare al riparo dalle distanze gelate di certe cadute, e ritrovare infine la via del calore più familiarmente umano. 


LIEVITO D'OMBRE E LETTURE


Possiamo dirci pronti

o è solo la risatina del timer

a farci interpellare

senza essere del tutto sopiti... Sono

stato sotto casa, e poi

ancora vicino alla fine del mondo,

nemmeno mi ricordo

dove sarei voluto andare... forse

semplicemente

non sapevo da dove partire


Qual è la forma delle ombre

a cui ti sei ispirata fin da (all)ora?

...

E lei non ha scelto un giorno casuale

per iniziare a parlargli

di suo padre... E c'era un tempo

dove le bruciature delle sue mani

erano maldestri tentativi

di star loro vicino... Ha dovuto

dimenticare in fretta favole

e rimpianti eppure c'è ancora una terra

e un fazzoletto che sventola...

Nella distanza ispezionata

tra il suo cuore e i sentimenti,

le differenze

hanno temperato steccati dove le lumache

si sfidano a sbirciare esiti e baratti


Ho provato a scaldarmi

con qualche scaglia avanzata dei miei sogni

caduti in disgrazia,

erano solo fenomeni senza vendi(ca)tori,

un circo senza oceano né prigioni

cui confrontarsi... Briciole

di storia... Innalzamento

della propria riserva emotiva... è

stata una figlia,

e adesso è una madre.

...

La sua vita è già una storia

richiamata a divenire per sempre...

(Venezia, 28 Ottobre '20)


Pearl Jam, live Daughter '94

Jefff Ament ed Eddie Vedder durante un'esibizione live di Daughter (Pearl Jam)

mercoledì 7 ottobre 2020

Jump, la danza rock dei Van Halen

Eddie Van Halen nel videclip di Jump
Dopo un infinito giro ad Hyde Park, in un locale rock a Camden Down, tra Aerosmith e Iron Maiden, attacca anche lei, Jump dei Van Halen. RIP funambolico Eddie (1955-2020).

Il chitarrista Eddie Van Halen si è spento all'età di 65 anni. Non sono cresciuto con la musica rock della sua band fondata insieme al fratello Alex (batterista). Mai stato fan dei Van Halen e personalmente ho sempre preferito l'entusiasmo di Sammy Hagar all'esuberanza di David Lee Roth. Iniziai ad apprezzarli in tardissima età, e ancora oggi le canzoni che più mi piace ascoltare sono Fire in the Hole, da quell'unica parentesi che vide al microfono l'ex-Extreme Gary Cherone, e Human Beings, ultimo brano con Hagar alla voce, curiosamente entrambe appartenenti a colonne sonore, rispettivamente di "Arma Letale 4" e "Twister".

La notizia della morte di Eddie Van Halen mi ha inevitabilmente riportato alla memoria quella che è la canzone universalmente più nota della rock band, Jump (1984), nella formazione originale con Michael Anthony al basso e l'estroso "Diamond" Dave all'asta del microfono volteggiante. E nei miei ricordi più  immortali c'è anche proprio una danza scatenata e scomposta a Londra, in un locale disco-rock di Camden Town, insieme ad amici unici, e al ritmo di quella epica canzone. Parliamo di settembre 1997. Parliamo di una vita che non c'è più se non rintracciabile nelle melodie e i riff di personaggi unici e impareggiabili come Eddie Van Halen. Ho ripreso un po' di quelle parole e le ho amalgamate con ciò che sono ora. Fa buon viaggio Eddie.

IL FUOCO DIVAMPA NEL GIRONE DEI CORRIDORI

La dimensione del sogno,
colore vaccinato
nella domanda locativa
più ingenuamente oltrepassata... Oltre
la solitudine
in un indirizzo fatto di solo timore

Tutta questa dolcezza
a cui sto pensando
non è poi da eliminare.
Sto imparando dal cambio di direzione
ma vedo solo qualcosa di blu,
che siano i limiti del mare?

Non si può dipingere di nero
un cerchio già colorato
senza prima aver chiarito 
cosa scruta l’orizzonte... Un tempo 
scrivevo di realtà, sogni e ancora 
realtà

… (riscontro di vite e doppiaggio nel gocciolio senza tremolio)...

In overdose di assenza di parole
domani
mi diranno quanti passi
ho fatto senza averne chiesto
conferma... Guardare
l'arcobaleno
è l'espressione facciale
più semplice del mondo,
le stecche
rimaste schiacciate
in una stiva trascurata
sono scalinate accessibili
facilmente invisibili alla mia rendita
più personalmente emotiva... Il buio
ha cancellato
gran parte delle preghiere
scoraggiate... Il buio
ha calpestato la luna
meno irrisolta... Penserò
ancora a voi senza nostalgia
ma quel tempo
resterà sempre e solo nostro... Penserò
ancora a te agli esordi
e avrò ancora voglia di scrivere
più veloce...
                                            (Londra, Settembre 1997 – Venezia, Ottobre 2020) 

Van Halen, Jump

sabato 15 agosto 2020

Animal(I), l'umanità si ribelli

Poesia - a dx il cantante dei Pearl Jam, Eddie Vedder, durante uno show a Vancouver
Da Breath ad Animal, la musica dei Pearl Jam ispira. Se la band di Seattle vivesse in Italia, canterebbe dei migranti come già ne parlò sul palco nostrano il cantante Eddie Vedder.

di Luca Ferrari

Vi insultano. Vi deridono. Vi ridicolizzano. Vi augurano perfino di morire. Ecco una bella fetta di italiani che così scaricano le proprie frustrazioni di falliti umani contro i cosiddetti migranti. Per loro sono tutti uguali. Tutti viziati con l'orologio di marca che vengono in Italia a rubare. Il problema di verso questa feccia è che nessuno gli risponde abbastanza. Il problema di questo fetido liquame su due piedi, è che ancora non hanno capito con chi hanno a che fare. Perché chi si professa pacifista, non è come forse voi credete. Perché chi si professa pacifista, non resterà in silenzio mentre la tintarella dell'odio si propaga a macchia sui remi spezzati della vera fratellanza.

Nei primi due album dei Pearl Jam, Ten (1992) e Vs (1993), il sentimento della rabbia miscelato a poesia e sentimento, tocca apici nella lunga carriere della band di Seattle. Al momento dunque di buttare già queste nuove righe, nella mia mente sono cominciate a passare in rassegna tutte quelle canzoni. Fin dai loro primissimi esordi i Pearl Jam dimostrarono di non sposare certo il mainstream ma di possedere un'onestà intellettuale che quasi trent'anni dopo, ancora perdura. Se oggi fossero qui in Italia, di sicuro scriverebbero canzoni in difesa dei diritti dei migranti e non a caso lo stesso cantante Eddie Vedder, durante il tour passato proferì parole dal palco al riguardo. Parole alle quali si sentì in dovere di rispondere piccata la cantante Rita Pavone, alla quale poi, furono in molti a replicarle, tra gli altri, il giornalista Luca Dini, spiegandole chi siano i Pearl Jam sulle pagine di Vanity Fair.

Nel corso del documentario Pearl Jam Twenty del regista premio Oscar, Cameron Crowe, dopo poco più di 25 minuti, quando il cantante Eddie Vedder sta cominciando a prendere confidenza sul palco, durante l'esibizione di Breath a un concerto al Town Pump di Vancouver, in Canada, gli agenti della sicurezza portano fuori  un ragazzo ubriaco in malo modo. Vedder assistette alla scena dal palco e non gradì ma non si limitò a pensare. Non rimase in silenzio. Uscì dal guscio e attaccò. Poco prima di scrivere la seguente poesia, mi tornò in mente proprio questa scena e forse sarà il caso che in futuro io e molti di voi facciamo lo stesso.

Ascolto e riascolto le note arrabbiate di Animal, dal secondo album Vs. (1993) dei Pearl Jam. Poche semplici ed esplosive parole sostenute da un impianto sonoro pronto a esplodere. Storia di abusi e resistenza. Sono diventato padre da qualche anno e il mondo che vedo dinnanzi a mio figlio è sempre più impestato da odio ed estremismi votati alla prevaricazione. Leggo, mio malgrado, commenti in rete senza rispetto e pieni di tronfio razzismo nei confronti di persone che non hanno né nome né etnia, solo un generico "migranti". Possono cadere i muri, aprirsi i cancelli della morte o scatenarsi un virus letale, l'essere umano non è cambiato per niente. È tempo allora di rispondere. È tempo allora di combattere davvero contro questa barbara deriva , perché i nostri e i loro figli un giorno ci chiederanno perché li abbiamo lasciati morire.


Vs L'ARMATA DELLE SPONDE MORTE

Spingi l'odio, conficca
il tuo buon umore,
voi siete i sobillatori... i signorotti... i manganelli... le clausole... il gas nervino
Voi ci godete a venire a dircelo,
Lo fate in modo esemplare
Lo state facendo
con la schiuma e la fede più intransigente

Ci sono quelli
con i numeri sul braccio,
ci sono quelli
che galleggiano in fondo sul mare

Ci sono quelli che salvano
le formiche,
ci sono quelli che se ne vanno
calpestando anche le ultime briciole
di ciò che non gli appartiene

Il mondo oggi brucerà
e la colpa è di chi non ha nulla.
Il mondo oggi
ci cadrà ancora sopra i piedi,
... La vostra montatura
è bene al riparo tra le croci mistificate
dalle forme più diversificate
a prendere respiro

Un giorno
non ci sarà più il sangue
a proteggervi... Ci
siete riusciti. Ci siete
davvero riusciti. Adesso
l'idea che anche voi soffriate
non mi spaventa proprio più.

Un giorno toccherà
anche ai vostri figli
e su quella riva ci saremo
soltanto noi

Un giorno toccherà anche a voi
e tutt'attorno
ci saremo solo e soltanto loro.
(Venezia, 15 Agosto '20)

Animal, live by Pearl Jam

domenica 2 agosto 2020

Frankie hi nrg, la memoria di Fight da faida

Fight da faida (Frankie Hi NRG)

Memoria fine a se stessa o per cambiare il mondo? A quarant'anni dalla strage di Bologna (2 giugno 1980) ascolto Fight da faida di Frankie hi nrg e sono sconsolatamente arrabbiato.

di Luca Ferrari

2 giugno 1980. La strage di Bologna. Perché ricordare? Questa mattina l'Ateneo Veneto, la più antica istituzione culturale di Venezia in attività, ha pubblicato un post per ricordare uno dei fatti più tragici del Dopoguerra. Memoria. L'Italia è inzuppata di memoria. Ogni anno si assistono alle rievocazioni del peggio che ci sia capitato. Tutte vicende che non hanno ancora trovato i veri responsabili. L'Italia è divisa anche su questo. C'è chi non sa e ripete gli slogan più affini alla propria ignoranza. C'è chi soffia su personaggi e chi ricorda le nostre ferite. “[…] È la vigilia di una rivoluzione terminale decisiva radicale distruttiva […] Alpi, Salento un solo movimento Pugni sul sistema pretendiamo un cambiamento […]” incita il rappe Frankie NRG nell'immortale riottosa Fight Da Faida.


"PUGNI SUL SISTEMA, PRETENDIAMO UN CAMBIAMENTO"


il tunnel dell’orrore è qui,

la storia

e le sue mancate rivoluzioni

ha inscenato

la nascita degli ideali

… bandiere di fagotti

e millantatori,

crisantemi bruciati

sull’altare delle più rosee

promesse di estinzione


ma come fate voi

giovani a credere ancora in questo

Paese? Loro

non saranno mai riconoscibili

e tutto continuerà 

a essere taciuto


non vi farò baciare

le mie mani,

non camminerò

divertendomi

ad alimentare quelle macchie

che cancellano

il sangue… quando

vi colpiremo,

avrò passato anni

a restare in silenzio… credete

che sia davvero io?

Ho imparato la lezione

da chi non vi ha mai cercato...

Ho imparato

a gridare sulle montagne

quando gli speroni

sono troll senza orizzonte


l’ecatombe quotidiana

saluta le stragi della porta accanto

e il disappunto,

a che livello ha toccato?

Ricomincerò

ogni giorno da lontano… Mi

farò forte

anche quando non ci sarà più nessuno,

e il vostro inferno è il primo della lista

(Venezia, 2 Agosto 2020)


Fight da Faida, di Frankie Hi Nrg Mc

Il post su Facebook dell'Ateneo Veneto

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