Il 25 giugno 2012 ero in partenza per Seattle. Un viaggio sognato da anni, e con due acquisti da fare: i cd dei Temple of the Dog e dei Mother Love Bone. Hello, Seattle!
Ci sono storie che non finiscono mai. Ci sono storie nate per bruciarsi e risplendere nel momento che diventano reali. La mia storia con la città e il sound di Seattle la potrei riassumere così. Ho aspettato a lungo ma alla fine tutto divenne realtà e nel modo più incredibile. Tanti anni or sono avevo fatto una promessa. Non solo avrei raggiunto la città epicentro delle band più significative per la mia vita, ma solo in quel viaggio mi sarei finalmente comprato due cd particolari: il solo e unico album dei Mother Love Bone, Apple (1990), e l'omonimo (1991) dei Temple of the Dog, il side project firmato dai neonati Pearl Jam insieme ai Soundgarden, in memoria del compianto Andy Wood (1966-1990), carismatico leader dei MLB per l'appunto.
10 canzoni, un album intero scritto per un amico dai suoi amici. Si comincia con l'eloquente Say Hello 2 Heaven (6:22). Si prosegue con la lunga e ipnotica Reach Down (11:11) dove Chris Cornell, se mai ce ne fosse ancora bisogno, fa sfoggio delle sue incredibili doti canore. Si raggiunge l'apoteosi con Hunger Strike (4:03), l'unica canzone cantata a due voci Cornell/Vedder. Si avanza con un il rock possente di Pushin' Forward Back (3:44) e via via le altre tra melodie, rock e tanta poesia umana: Call Me a Dog (5:02), Times of Trouble (5:41), Wooden Jesus (4:09), Your Saviour (4:02), Four Walled World (6:53) e chiude All Night Thing (3:52).
In quel viaggio però, la musica fu solo sussurrata. In realtà, feci molto di più e meglio, incarnando negli amici raggiunti in terra americana quel mondo di semplicità così poeticamente scandito dai versi di quelle band. Il viaggio dei Temple of The Dog iniziò su di una cassetta duplicata da una conoscenza capellona. I nomi delle canzoni scritte a mano e al massimo l'immaginazione nel sognare quella città dominata dallo Space Needle. Quando comprai il disco, ricordo molto bene l'emozione. Una scarica così potente da farmi pensare a iniziare un'avventura musicale di scrittura proprio lì, a Seattle. Un viaggio, quello nel Nordovest americano, che mi portò anche ad Aberdeen, città natale di Kurt Cobain. Ciao, è il saluto più semplice che ci sia. Che si tratti di un amico o del paradiso, avremo sicuramente una strada da proseguire insieme. Hello, Seattle. Oggi e per sempre.
Questa è una dichiarazione umana allo stato grezzo e non clonabile. Ho guardato il cielo da basso ripensando a quanto ancora significhi per noi Hunger Strike dei Temple of the Dog.
A sud delle nuvole, al centro del proprio sé. Emozioni dirette di abbandono e scatta la risposta. Non sarei onesto se dicessi che ci sono sempre stato. Fumare una sigaretta non è mai stato un gesto né un atteggiamento. Non potrò mai dimenticare quella sempre (im)paziente luna piena e chissà quante imperdonabili emozioni lasciate morire senza un degno presente. Oggi è diverso. Oggi sono sceso in strada. Non ho potuto far apparire il buio né l'oceano. Forse ho trascurato un diverbio ed è stata la mia nuova fortuna. Oggi ho la convinzione che tutte queste parole siano solo...
Torna amico mio. Torna, Chris Cornell. Dal palco del Firenze Rock il cantante dei Pearl Jam, Eddie Vedder, in tour solista, ha dedicato Black all'amico appena scomparso. Lacrime, poesia e tanta immortalità.
Non ero preparato a sentire Black cantata dal solo Eddie Vedder. Non ero ancora pronto per sentirla dedicare al compianto Chris Cornell. No, al concerto solista di Edward Louis Stevenson III al Firenze Rocks 2017 mi aspettavo più canzoni non scritte insieme ai suoi Pearl Jam. E no, non ero ancora pronto per cantare abbracciato a una grande amica una canzone che ha segnato pagine e pagine nelle vite di ciascuno. Adesso però sono pronto per scrivere questo:
SOTTO LO STESSO CIELO DI QUALCUN'ALTRO
Non posso farne a meno,
le onde sono lontane
e non voglio più chiedermi
quando le potrò ancora condividere
… a cosa serve
tutto questo sangue
che abbiamo versato
se poi non vogliamo che nessuno
ci faccia domande? Mi darò
ai fogli vuoti per fare il calco
del tramonto e magari un giorno
mi ricompenserò
per avere fatto di certi silenzi
il più grande atto di fede
verso chi è sempre stato lontano... qui
non ci sono barche
senza remi... qui non ci sono
fatue fiammelle
soggiogate dalle spirali
del passato... qui ci siamo noi,
e lo diciamo ancora... e perché
non dovrei spostare
la mia testa verso la scure
che vuole imitarmi?
E perché ogni mio pensiero
si dovrebbe fare intervallo
per indicazioni... ho
sempre sentito
di poterlo fare, ho sempre saputo
che lo avrei potuto dire... c'è
spazio anche per le tue mani,
c'è posto anche per il tuo domani
e anche se ci aggiungerai
l'ennesima domanda senza arbitrio,
prenderò la guerra
e la trasformerò in fuoco... toccherò
il mare e mi riprenderò
il cielo... perderò volutamente qualcosa
fino a quando tutti gli angeli
avranno svuotato la sala,
poi riprenderemo il viaggio
e ci presenteremo all'inizio
di qualche foto senza colori
e allora le nuvole agevoleranno
il tuo passaggio... e allora condenseremo
il divenire nel presente
che si narra...ancora...e ancora
(feat. Desiree Sigurtà, Firenze, 24 Giugno '17)
Black, performance live a Firenze Rocks di Eddie Vedder
Chris Cornell, il cantante dei Soundgarden è morto. Si è tolto la vita il 17 maggio 2017 a Detroit. Non c'è nulla da aggiungere. Hanno scritto già in troppi. Non sono qui per dirvi cose che sapete già. Sono qua per fare ciò che ho sempre fatto. Scrivere a modo mio. Li dove è passato Chris direttamente (Soundgarden, Temple of the Dog, Audioslave) e indirettamente (Mother Love Bone, Pearl Jam), c'è un'indelebile ispirazione condita anche da ricordi condivisi, come il live dei Soundgarden a Milano, il 3 giugno 2012.
Difficile oggi non ripensare a quel giorno. Neanche tre settimane dopo sarei partito per la sua Seattlee anche se in città la presenza di quelle band che hanno fatto la Storia non è proprio palpabile, per chi l'ha vissuta dentro, eccome se c'è. Delle mie pubblicazioni, Sfregi (2009, La Versiliana Editrice) è ciò che meglio mi descrive e mi racconta. Un viaggio poetico dal 1994 fino al 2008. Lì in mezzo c'è anche lui, Chris Cornell e le sue indelebili canzoni.
Ancora prima ci furono camminate solitarie senza fine e perfino un strano destino dall'amichevole proseguo. C'è stato tutto. La furia di una posa mai concessa. La delicatezza di un capo dolcemente rimandato. Un ritorno immaginato. Siamo ancora seduti lontani nelle nostre tavole rotonde. Siamo tutti vicini a fare i medesimi pensieri. Siamo tutti sconvolti eppure mai stati così decisi nel credere alle nostre voci. Il passato è in dialogo con le stelle. Il presente imperituro si chiama:
IL TACCUINO DEL VENTO
Hai smesso di piangere
o è solo l'ennesima invasione di parole
dimenticate
sui binari del nostro primo incontro...
non ho mai creduto alle coincidenze
del silenzio/... quello
che ho vissuto dentro il sole
si è sempre rifatto
nelle ombre trascurate dalla più amichevole
pioggia
c'è un potere bambino
a cui affidare le proprie leccornie
di un domani
che ci ha tenuti uniti per così
tanto tempo...
dicano che le scogliere
appartengano ai poeti
e le conchiglie ai sognatori,
... io ci ho sempre visto
un disegno aperto
dentro cui riportare un cestino
pieno di suoni e macchie
non ero sicuro
di quello che mi stava accadendo
dentro
ma è anche insieme a te
che trovai il coraggio
d'ignorare ciò che continuavo a sentire
tutt'intorno a me
spiegazioni necessarie,
ricorrenze sopraggiunte... le
mani chiedono
uno spazio per nascondere
la loro anima... possiamo
comunque alzarci
e riprendere il cammino... possiamo
comunque sentire
il vento gelido del mattino
che si quieta
dopo il tramonto del fuoco
e un'alba
del cui temp(i) sabbioso
ci resta solo l'immortalità...
(Venezia, 19 Maggio '17)
“Ormai non posso più semplicemente associare questa canzone degli Audioslave al video o alla mera faccia di Chris (Cornell, ndr) quando esplode nell'urlo prima del ritornello finale” racconta la milanese Desirée, “Cochise è una tovaglia bianca per terra. Qualche birra. La gente che rincontrerai. Cochise sono due amici che hanno appena avuto la stessa idea”.
Dalle ceneri di due delle più significative band degli ultimi trent’anni, Soundgarden e Rage Against the Machine, a inizio Terzo Millennio nacquero gli Audioslave. Il nuovo gruppo era formato dagli ex-RATM Tom Morello (chitarra), Tim Commerford (basso) e Brad Wilk (batteria), con l’aggiunta del cantante made in Seattle, Chris Cornell.
Un’unione impensabile per certi versi (stile). Rap-rock politico da una parte. Rock distorto-melodico dall'altra. E i commenti infatti erano unanimi: “Qualunque cosa faranno o sarà un flop o un capolavoro”. L’attesa per conoscere il valore di questo atipico sodalizio artistico finì il 14 ottobre 2002 quando venne pubblicato Cochise, il primo singolo (con videoclip) del debut album Audioslave (Epic Records), prodotto da Rick Rubin. Il titolo della canzone si richiamava al celebre capo dei Chokonen, tribù di Apache Chiricahu, il valoroso guerriero Cochise.
“Cochise è mettere le cuffie. Immaginare quel cazzutissimo video all’americana mentre partono le ultime scintille in cielo” settaccia Desirèe tra i suoi primi ricordi, “Fare headbagging mentre gli altri ti guardano strano perché non c’è musica da Wayne's World (1992) nell'aria”.
Le prime battute di Cochise sembrano introdurre alla perfezione l’inizio di una sfida, mentre tutto il proseguo potrebbe essere l’azione vera e propria tra attacchi, sangue, cadute e la vittoria finale. Confesso mi sorprende non sia mai stata utilizzata per colonne sonore per supereroi Marvel o le varie Katniss (Hunger Games).
Dopo un intro “controllato”, la musica esce dai blocchi bruciando in modo devastante. All’esplosiva chitarra si aggiungono le prime tracce di “badmotorfingeriana” memoria: “Well I been watchin’/ While you been coughin/ I've been drinking life While you been nauseous/ And so I drink to health/ While you kill yourself/ And I got just one thing/ That I can offer”.
Trad. “…Bene, sono stato a guardare/ mentre tu hai tossito/ ho bevuto la vita/ mentre tu sei stato più furbo/ e così bevo alla salute mentre tu ti uccidi/ e ho giusto solo una cosa/ da offrire”. L’impossibile era diventato realtà. La sezione ritmica dei Rage Against the Machine e la voce melodico-rabbiosa di Chris Cornell insieme.
In un’epoca dove ormai la volgarità e l’omologazione avevano già sodomizzato a morte MTV, il video di Cochise insieme ai contemporanei I Am Mine (Pearl Jam) e You Know You’re Right (postumo dei Nirvana) furono un’impensabile e adrenalinica sorpresa. Una poderosa scossa di terremoto rock in un 2002 sempre più schiavo di scadenti video hip-pop e gangsta.
…il livello sale, le cicatrici si contendono l’accesso al cielo/… la salvezza è una questione divina o un’azione da rivolgere a noi stessi?… Fingo di fare una domanda perché l’opinione degli altri non ha mai tenuto conto di dove eravamo prima che le ombre ci avessero apertamente sfidato…
In perfetto stile Canzoni tra le righe, per la suddetta ragazza intervistata, Cochise nel tempo è passata da mera (grandiosa) canzone degli Audioslave a un preciso ricordo con uno scenario non così diverso da quello della spettacolare ambientazione del video musicale.
“Non posso più associare questa canzone semplicemente al video, quando Tom e gli altri entrano dentro l'ascensore e la scossa di assestamento del motore che parte per la salita segna l'inizio della canzone” dice Desiree.
E via con la seconda strofa. “Well I'm not a martyr/ I'm not a prophet/ And I won't preach to you/ But heres a caution/ You better understand/ That I won't hold your hand/ But if it helps you mend/ Then I won't stop it – Bene, non sono un martire/ non sono un profeta/ e non sarò io a farti la predica/ ma c'è una clausola/ capisci meglio/ che non vorrò fermarti la mano/ ma se chiederà aiuto, tu fallo/ poi non la vorrò fermare”
“Non posso più solo associare questa canzone alla faccia di Chris quando esplode con quell'urlo (che nel video dura molto di più che nel pezzo su cd, o almeno la mia versione dura pochissimo), con le vene che gli pulsano tra fronte e collo” continua Desirèe.
La terza strofa (di cui sopra Desy ne descrive la corrispondente scena nel videoclip) pare fatta per far rifiatare la band, ma è solo una mera illusione. “Drown if you want/ And I'll see you in the bottom / Where you crawl/ On my skin/ And put the blame on me/ So you don't feel a thing” – trad. “Vai se vuoi/ ed io ti guarderò fino in fondo/ dove striscerai/ sulla mia pelle/ e mi darai la colpa/ così tu non sentirai nulla”
“Poi un giorno Cochise non fu più solo il singolo di debutto degli Audioslave per noi orfani di RATM e Soundgarden (all’epoca). Non fu più solo l'abbraccio tra tutti i quattro componenti della band a fine canzone, che ora se ci penso, cazzo, sembra quasi la copertina di Ten (primo album dei Pearl Jam, ndr)” sottolinea Desirèe.
rock the Audioslave
Ma che cos’è allora Cochise per te, Desiree Sigurtà?
“Cochise è diventata una sera di luglio a Venezia. Alla festa del Redentore, davanti all'Arsenale. Dove quasi non si vedeva nulla tanto il bacino era intasato di barche, e un vaporetto ostruiva pure la visuale. Cochise è una tovaglia bianca per terra, qualche birra, la gente che sai un giorno rincontrerai”.
...forse ho meno sassi sotto le scarpe di quanto pensi, ma non c’è mano che non abbia patito la carenza d’innocenza/… i passi odierni che ci tengono a distanza oggi sono scivoli colorati che le stelle rappresentano nel loro sognare di essere donne e uomini…
“La canzone Cochise degli Audioslave sono due amici (di cui uno vestito con un’improbabile camicia-tovaglia) che si guardano negli occhi e hanno la stessa fottutissima idea” conclude Desiree, “quando partono gli ultimi fuochi d'artificio, parte anche Cochise”… Go on and save yourself, And take it out on me yea - Vai e salva te stesso tira fuori da me la volontà.