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venerdì 14 ottobre 2022

Megadeth, Cryptic Writings Tour '97

Dave Mustaine, voce-chitarra dei Megadeth

Heavy metal puro e sincero. Venticinque anni fa, al Palavobis di Milano, il 14 ottobre 1997, i Megadeth portarono in tour il nuovo album Cryptic Writings e io ero lì. 

di Luca Ferrari

Uno dei miglior concerti cui abbia mai assistito. Venticinque anni fa, assistetti al mio primo concerto dei Megadeth, capitanati dallo strabordante cantante-chitarrista "Mega" Dave Mustaine insieme a Dave Ellefson al basso, il virtuoso delle sei corde Marty Friedman alla chitarra solista e il possente Nick Menza (1964-2016) alla batteria. Come per moltissime altre band che mi garbano tutt'ora, il primo incontro coi Megadeth non fu di autentico amore, poiché colpevoli della sbeffeggiante Go to Hell (strepitosa) indirizzata ai Metallica. Ci misi poco a conoscerli davvero e appassionarmi del loro sound, molto di più dei rivali di Frisco. E ora, avvolgiamo il nastro a quel fatidico 14 ottobre 1997, a Milano, per un imperdibile racconto.

La fiamma del rock iniziava a languire. In quell'autunno impazzava l'insopportabile nenia disco danese di Barbie Girl (Aqua) mentre noi, come una tribù relegata sempre più ai margini della società musicale, credevamo ancora di poter fare qualcosa. Non sono tanti i concerti che ho condiviso, in particolare prima di conoscere la mia dolce metà. A parte gli Iron Maiden, il resto fu sempre in solitaria, con la grandiosa eccezione dei Megadeth. Per loro ci mobilitammo in 4, tutti bardati di nero in partenza da Venezia su rotaia. Di questi ne conoscevo solo uno. Mai potrò dimenticare lo sguardo di una vecchina quasi arrivati a Milano Centrale nel vederci, e subito tranquillizzata dal bonaccione del gruppo che le disse in un eloquente dialetto: "Come sea, siora! Stia tranquilla, xemo bravi fioi". Ed era vero, cuore metallaro ma pezzi di pane dentro. 

Il 1997 fu anno musicalmente molto difficile. A risollevare le sorti del genere, ci pensarono proprio loro, i Megadeth, sfornando l'attesissimo seguito di Youthanasia (1994), il disco che li aveva sdoganati al grande pubblico. Pur essendo meno orecchiabile del predecessore, Cryptic Writings si discostava parecchio anche dai vari Countdown to Extiction (1992) o Rust in Peace (1990), con meno assoli lunghi ma altrettanto affilato. L'album mi piacque fin da subito, in particolare le canzoni Trust, I'll Get Even e A Secret Place, tutte diventate colonne portanti delle mie passeggiate solitarie. Inevitabile che quando circolò la notizia che la band sarebbe venuta in Italia, non mi lasciai sfuggire l'occasione e così iniziò l'avventura. 

Un passo indietro. All'epoca, miei cari youtbers-cheneso-ers o hipster, non c'era internet e se volevi conoscere della musica, avevi due strade percorribili: comprarti riviste e avere amici che ti passassero cd e cassette. Coi Megadeth andò esattamente così. Iniziai da Hidden Treasure e Youthanasia, andando poi a ritroso grazie alla decisiva presenza di un'amica. Logico che quando arrivò Cryptic Writings, che per uno che scrive il titolo era un invito al paradiso, fossi già al corrente del disco e non vedessi l'ora di ascoltarlo. Quando andai al mio primo concerto rock, gli Iron Maiden a Pordenone '95, vidi un ragazzo che rivolgendosi alla mia amica con cui ero venuto, le disse che file di ore e ore le avrebbe fatte solo per i Megadeth. All'epoca li snobbavo, eppure due anni dopo ero lì.

Il pre-concerto fu di attesa. Fummo anche avvicinati da tre fanciulle di cui ricordo bene la "capa", talmente esasperante e ossessionata sul fronte musicale (metal, metal e solo metal), da farmi venire voglia di dire apertamente che ascoltavo anche le peggiori oscenità commerciali, solo per darle fastidio. Ok, lo ammetto. Ho provato a cercare in rete la scaletta del concerto ma non l'ho trovata e l'unica, discutibile, non coincide con i miei pensieri. A distanza di 25 anni la mia memoria non può certo fare faville. Quello che sono ancora convinto di aver assistito è una versione subnormale di Peace Sells, interrotta prima della parte finale per suonare Hangar 18, e all'ultima nota della suddetta, ripresa la prima, chiudendo il tutto con il pubblico letteralmente in visibilio (io ero uno fra quelli).

Aldilà delle canzoni, una più massiccia dell'altra, ricordo con estrema nitidezza la sensazione di essere parte di una gang, ma sia chiaro: non quel branco di patetici vigliacchi dei giorni contemporanei che sanno solo aggredire persone singole per il gusto di rubare e mettere in rete pestaggi, dimostrando non si sa bene quale forza. Il metal è sempre stato un genere molto esclusivo e come disse lo stesso James Hetfield (Metallica), il più ottuso. Io e altri tre tizi incrociammo le nostre strade dinnanzi all'heavy metal sincero dei Megadeth e a fine concerto mi portai a casa anche una meravigliosa t-shirt che ho indossato fino a quando non si consumò del tutto, prestando a uno sconosciuto anche le poche lire che gli mancavano per un analogo acquisto. 

Rispetto al concerto romano dei Pearl Jam (12.11.96), dove fummo letteralmente abbandonati al nostro destino, la città di Milano si dimostrò avanti, facendo iniziare e terminare il live a un orario tale che tutti potessero prendere la metropolitana e quanto meno arrivare alla stazione. Così facemmo, infilandoci poi da un McDonald's nei paraggi. Qui, memore della fresca esperienza anglo-culinaria dell'Ocean Catch (ottimo) di Londra, puntai sul pesce, commettendo però un errore madornale. Un cibo di cui mi resterà la nausea per giorni e giorni, e come vedete lo ricordo con estrema chiarezza. Le ore passavano e noi pazienti, attendevamo di partire senza fare nulla di particolare. Parliamo del concerto, un po' di noi e spesso usciamo dal locale per fumare qualche sigaretta (era freddino).

Decidiamo di aspettare il primo treno diretto per Venezia, evitando l'opzione del cambio a Verona nel cuore della notte. Quando saliamo, il convoglio è stracolmo e siamo tutti stanchissimi. Senza remore, ci distendiamo a dormire per terra nei lunghi corridoi fino a quando, proprio nella città scaligera, il treno si svuota e di forza occupiamo uno scompartimento. Eh sì, a quel tempo gl'Intercity avevano queste "stanzette". Uno del gruppo però, ha la brillante idea di levarsi gli anfibi lasciando emergere aromi inenarrabili e obbligandoci ad aprire il finestrino (all'epoca si poteva, ndr) per goderci il vento gelido della notte. Il viaggio proseguì poi con tutti noi in orizzontale addormentati, dopo aver aperto le due file di poltrone da 3 ciascuna.

Torniamo tutti (credo) al Lido di Venezia, l'isola del festival del cinema. Salutati i compagni di avventura, i pensieri bussano subito vigorosi dopo questa parentesi metal. La stragrande maggioranza dei miei più cari amici viveva ormai a Londra e io sentivo che una prima grande fase della mia vita si era ormai conclusa. In effetti dall'autunno 1997 all'autunno 1998 sarà un periodo di transizione molto complesso ed estremamente doloroso, fisico incluso, che inevitabilmente iniziò a cedere sotto il peso dei troppi pensieri. In parallelo il rock era sul viale del tramonto, a livello di popolarità intendo, pronto ormai per essere messo in naftalina.

Dopo quella prima volta, tornerò a vedere i Megadeth in altre due occasioni: come special guest del reunion tour degli Iron Maiden con i rientranti Bruce Dickinson e Adrian Smith nel 1999 ancora a Milano (concerto vinto gratis grazie a un concorso di una rivista musicale), quindi esattamente dieci anni dopo nel 2009, sempre nel capoluogo lombardo, insieme a Testament e Judas Priest, ma queste sono altre metal-stories di cui vi parlerò in altri articoli. Adesso voglio concedermi qualche minuto di Megadeth sonoro ad alto volume, ripensando a quel giorno, e mescolandolo alle sensazioni del momento qualche step di attualità poetico-umana. Prenderò in mano qualche vecchia agenda facendo sprigionare ogni virgulto di confusa ispirazione, poi mi alzerò e continuerò sulla mia strada...

IL MIELE DI PANDORA

strade arpionate

nel digiuno agguerrito

di una megalomania fraterna

ed evocativa... nessun respingimento, i

responsabili si fanno avanti

in mezzo a pensieri necrotizzati...

che cosa è stato ritrovato

di così sentenzioso

da rendere l’amore in cui credevamo

una mostruosa creatura

senza nemmeno più la notte

verso cui retrocedere?...

sono sempre stato alla ricerca

di parole che mi potessero salvare

… stavo solo

cercando le parole perfette

che nascondessero

il paradiso

in una qualche tregua delle mie lacrime

mimesi di se stessi, sono stati chiamati a raccolta...

non si ricorderanno

di nessuno di voi e non hanno mai

avuto intenzione di farlo

… è il tepore della solitudine lasciata raffreddare sul grasso degli arbusti

dentro cui ci siamo incamminati… 

siete venuti qui tutti 

insieme? Avete ancora

intenzione di farlo? Non

avete riconosciuto

il mio segnale distintivo…

tutto quello che s(oc)corre

è il mio cuore furioso

per e contro di voi… ogni onesta longitudine

delle mie affermazioni agnostiche

si eleva… protegge

senza preghiere... avanza (Venezia, 14 Ottobre 2022)


Trust, by Megadeth

La maglia dei Megadeth direttamente dal concerto © Luca Ferrari
Il biglietto di andata Venezia-Milano per il concerto dei Megadeth © Luca Ferrari
Milano, la cena post concerto dei Megadeth © Luca Ferrari

domenica 2 ottobre 2022

D'You Know What - Oasis - Mean?

Oasis Do You Know What I Mean?

Quando arriva il vento freddo dell'autunno, la prima canzone a venirmi in mente è la Bristish-plumbea D'You Know I Mean? degli Oasis.

di Luca Ferrari

Un elicottero in volo o forse più di uno (sto andando a memoria senza andare a rivederlo... per ora!). Zone di periferia inglese e persone in fuga, o comunque di corsa. Fumogeni. Il ciclone del Brit Pop non mi ha mai travolto né particolarmente interessato (troppo fedele al sound di Seattle per cambiare così, all'improvviso). Impossibile non conoscerli, certo, ma di qui ad ascoltarli con attenzione, proprio no. A farmi cambiare idea ci pensò una delle band simbolo, gli Oasis, nell'album più difficile della loro carriera. Be Here Now (1997), quello in cui avevano gli occhi del mondo addosso dopo i successi di "Definitely Maybe" e "(What's the Story) Morning Glory". A trainare verso il mio gradimento, una ballata rock lenta e distorta, Do You Know What I Mean?.

Morale, ciò che facevano i fratelli Liam e Noel Gallegher era affar loro ma a quel tempo MTV esisteva ancora e la guardavo, così quel video, volente o no(e)lente, mi arrivò. L'atmosfera si sposava molto con i miei pensieri. Il giovane cantante Liam era proteso in avanti com'era tipico della sua postura davanti al microfono e la canzone non era così melodica né accattivante come le varie Roll with it o Wonderwall, successi planetari della band di Manchester, anzi. Il sound aveva un ché di distorsione che iniziò a farmi apprezzare gli Oasis, o comunque considerarli. E in effetti negli anni a venire, altre canzoni entrarono nel mio parterre di protette: Little by Little, Don't Let it Out, Lyla, la strepitosa The Importance of being Idle con l'attore gallese Rhys Ifans nel video. 

Adesso è il momento di riprendere il cammino sulle note di D'You Know I Mean? degli Oasis. E anche se su Youtube è presente una versione rimasterizzata, io riparto da quella meno visivamente impeccabile, ma più veritiera.

LA TEMPESTA ASCOLTA LA COMPRENSIONE

stato di richiesta... un desiderio

in attesa di comprendere

il perché dell’assenza

delle tende

dinnanzi alle esplosioni... le mine nel bambino del mio respiro potrebbero indicare una fine, ma oggi non è quella giornata

l’aggressività del mondo

è un fulmine

dove la terra è incastrata

e il mare

è incapace di riversare

le sue lacrime vuoi ancora tenermi d’occhio o un giorno pensi di poter liberare i demoni da sotto il il mio letto


ho appena saputo che tutte le luci a intermittenza saranno sostituite da migrazioni artificiali…

non c’è ancora abbastanza polvere da sparo

nei pugni che ho seppellito

nella gola

di ogni lacrima dichiarata

dispersa


non resterò incompiuto,

non resterò a svolazzare

sopra i resti

delle certezze infrante

senza che la strada

non si faccia d’improvviso

troppo tumultuosa

(Venezia, 2 Ottobre ‘22)

Do You Know What I Mean, by Oasis

Oasis Do You Know What I Mean?
Noel Gallagher (Oasis) Do You Know What I Mean? 
Oasis Do You Know What I Mean?
Liam Gallagher (Oasis) Do You Know What I Mean? 

venerdì 23 settembre 2022

Mariah Carey, London and Me

Mariah Carey e la cover di Butterfly (1997) - Luca Ferrari (London '97)
Per la prima volta a Londra, nel pieno della mio amore per il rock, a ispirare dolcezza nel mio scombussolato cammino, c'era lei: Mariah Carey e il suo nuovo album Butterfly (1997).

di Luca Ferrari

Il mio primo viaggio oltremanica. Un "chiodo" di ordinanza. Un'inseparabile camicia a quadrettoni (anche) per celebrare l'acquisto a Piccadilly Circus del doppio CD live The Year of the Horse di Neil Young & Crazy Horse. Una maglia a manica lunga viola con riprodotta la copertina dell'EP Sweet Dreams dei Marilyn Manson. Una spilla comprata da un ambulante per la strada in difesa degli animali randagi. In mezzo a tutto questo marasma anti-nichilista e dolori insormontabili di una vita alla deriva, c'era lei: Mariah Carey, la dolcezza più semplicemente naturale del pop. Nel mio marasma rockettaro al cospetto della City inglese, lì sbarcato subito dopo aver assistito alla proiezione del documentario Year of the Horse di Jim Jarmush alla Mostra del Cinema di Venezia, c'era l'incantevole Mariah Carey.

Una voce delicata, così poeticamente lontana dalle mie troppe cicatrici di ventenne. Era appena uscito il suo nuovo album, Butterfly (1997) di cui già circolava il video del primo singolo, Honey, e Londra era piena di suoi manifesti. La capitale inglese all'epoca era una meta per tutti coloro fossero in fuga o cercassero una vita senza troppi formalismi. Io ci andai solamente una decina di giorni a trovare degli amici che si erano trasferiti ma quel mondo non mi sedusse per niente. Non lo avevo ancora focalizzato ma i grandi centri non facevano proprio per me, non a caso, appena potevo me ne andavo da solo nelle più miti campagne fuori città. Nello sguardo e nelle parole di Mariah Carey vedevo tutto quello che mancava nella mia vita: una speranza raccontata da una carezza (sonora).

Nel mio vagare per le fermate della tube, ricordo ancora i suoi grandi manifesti. Scattai un paio di foto dove si vedeva anche la mia sagoma nel riflesso. Quel primo viaggio in Inghilterra per certi versi chiuse la prima grande epoca riottosa della mia vita, e ciò che accadde nel successivo anno e mezzo non sarebbe stata proprio una passeggiata. L'esposizione al rock aumentò a dismisura e sempre più dolorosamente profonda fino a livelli davvero incontenibili, lasciandomi alle spalle voragini di solitudine e risposte deragliate. Ogni tanto però, questa giovane e incantevole donna dalla voce incredibile, sbucava tra Sex Pistols e Mudhoney, come sussurrandomi che a fianco dei troppi arpioni conficcati dentro l'anima, un giorno un germoglio d'amore si sarebbe trasformato in un fiore forte e delicato. 


REALTÀ & SOGNI, UNA SOLA PROFONDITÀ

Colore dopo colore, per annerire le buche  delle mie  mani… sopra il cielo

di un respiro inesplorato,

è volato l’esito di un esilio incosciente… la

dimensione era la scelta,

la vita si stava dileguando

a intemperanze

e riflessi bagni di rugiada

... quello era solo un altro momento dell’inevitabile sacrificio

votato al silenzio


…ci saranno le panchine anche qui?

Sono stato svaligiato

da lettere scambiate per indirizzi

senza meta


A che ora è il randevù

con l’oceano? Non sono alla ricerca

di suppliche, anche le mie guance

hanno misconosciuto

gli zigomi del domani… Posso

ancora aspettarti

sotto l’arco di una frastagliata pioggia restia


le decisioni di generali,

i marciapiedi sconnessi

sotto il peso di una risata immobile

disattesa nell’avvenire

di un incontro sempre rimandato


aggrappato a qualche vetta

già dissolta, il luccichio… separazione,

e rilettura delle nuvole… il fumo intrappolato negli ultimi lampioni

di campagna… 


eccoci… come se ci fossimo presi 

per mano, lasciando all’addio

l’eredità più delicata

dell'amore universale…

(Venezia, 24 Settembre ‘22)


Honey, by Mariah Carey

I biglietti originali del viaggio a Londra e Mariah Carey di Honey (1997)
Una bellissima Mariah Carey nel video Honey
Dolcezza e sensualità: Mariah Carey nel videoclip di Always Be My Baby
Mariah Carey nel videoclip di Fantasy
L'eleganza fatta donna... Mariah Carey

domenica 18 settembre 2022

Singles, la musica di Seattle

Il cd della colonna sonora del film Singles

Il 18 settembre 1992 uscì nelle sale americane il film Singles, dove il regista Cameron Crowe  immortalò la nascente scena musicale di Seattle. Tra le canzoni della strepitosa colonna sonora, il mio cuore ha sempre prediletto l'acustica Battle of Evermore (The Lovemongers).

di Luca Ferrari

Quel film l'ho visto in televisione, ho comperato la vhs originale e il cd della colonna sonora, che chiamarla "strepitosa" è dire poco. Sto parlando di Singles - L'amore è un gioco (di Cameron Crowe), sbarcato nelle sale americane il 18 settembre 1992. Un film in apparenza incentrato sulle vicende lavorative-amorose in stile Friends, ma in realtà incentrato sulla scena musicale di Seattle, ormai prossima all'esplosione. Eppure nonostante la presenta di pesi massimi quali Alice in ChainsPearl Jam, Mudhoney, Soundgarden e Mother Love Bone, la canzone che da sempre mi è rimasta scolpita nel cuore è Battle of Evermore, suonata dai The Lovemongers, side project delle sorelle Ann e Nacy Wilson, degli Heart, band formatasi anch'essa a Seattle verso la fine degli anni '60. 

Se si esclude l'inspiegabile presenza degli Smashing Pumpkins e il tributo a Jimi Hendrix, originario proprrio di Seattle, il resto è un tributo alle band della città del Nordovest, con la sola eccezione dei Nirvana.
  1. Would? — Alice in Chains 
  2. Breath Pearl Jam  
  3. SeasonsChris Cornell 
  4. Dyslexic HeartPaul Westerberg 
  5. Battle of EvermoreThe Lovemongers 
  6. Chloe Dancer / Crown of ThornsMother Love Bon
  7. Birth RitualSoundgarden 
  8. State of Love and TrustPearl Jam 
  9. Overblown Mudhoney 
  10. Waiting for SomebodyPaul Westerberg 
  11. May This Be LoveJimi Hendrix 
  12. Nearly Lost You Screaming Trees 
  13. Drown Smashing Pumpkins
Nei primi anni Novanta non esistevano le email né gli smartphone con la messaggistica istantanea. Per comunicare con le persone non c'erano che tre strade possibili: incontrarle, telefonarle da casa o in una cabina, scrivere una lettera. Per uno come il sottoscritto, la terza era la più consona e fu così che nel lontano 1995 iniziò una corrispondenza epistolare con una ragazza dagli stessi gusti musicali (dicasi amica di penna). Una persona che si rivelò una grandissima amica. Un'amica con cui, quando fantasticavamo a distanza su un ipotetico viaggio comune a Seattle, io nella mia anima ci vedevo sempre così, a suonare Battle of Evermore dei The Lovemongers. Lei voce-chitarra, io chitarra solista, terminando poi la performance con un abbraccio fratello-sorella.

Ancora oggi, ascoltare quella canzone mi riporta in un'epoca lontana fatta di parole, sogni e poesia. Quel mondo dopo tutto, è sempre continuato... 


STATO D’INCHIOSTO E IMMORTALITÀ 

io e te, ero solo io…

da parte, lanciandosi nella pagina chiusa

di una stella  senza fronde cui sorridere

Qualche lettera finita

In anticipo… ogni soglia,

un'estenuante presenza celeste

arpionata nella terra esposta


il ticchettio della fuga

non avrebbe sopportato

la vista dei grattacieli,

un giorno al massimo

mi avrebbero trovato addormentato

sotto una statua

di pan di albicocca e carrube


ho corso in mezzo all’acqua,

ho rischiato di annegare

non lo dico perché tu mi compatisca,

un giorno conoscerai

tutta la mia storia… Mi manca

ancora una bilancia e qualche respiro

… alla fine

sono arrivato dove mi sono sempre

visto… 


le marce imperiali

non si sono mai davvero interrotte,

non sono 

l’interlocutore ideale

quanto si tratta

di assumere una pozione diversa

da quello che ancora penso…


il suono sonoro

di uno spazio aperto, è l’oceano

che abbiamo sempre

intonato… quel mondo era lì

e lo siamo ancora, 

la semplicità di un ringraziamento

l’alfa che non ha mai cercato

un finale

(Bled [Slovenia], 18 Settembre ‘22)


Battle of Evermore, by The Lovemongers (OST Singles)

giovedì 8 settembre 2022

God save Sex Pistols

Johnny Rotten e Steve Jones (Sex Pistols)

"Non c'è futuro nel sogno inglese", ringhiavano i Sex Pistols a metà degli anni Settanta in God Save the Queen. La punk band inglese oggi torna protagonista con la miniserie "Pistols".

di Luca Ferrari

Ricordo ancora un pomeriggio d'estate senza nulla all'orizzonte. Una terrazzina minuscola affacciata su una strada alberata. Un amico mi passa un librettino tascabile musicale. Protagonisti di quel volumetto, i Sex Pistols. Li conoscevo da poco e a parte la epocale Anarchy in the UK, ascoltata anche durante un furioso pogo alla prima edizione del Beach Bum Rock Festival di Jesolo (4-6 luglio 1995), poco altro sapevo dei punkers inglesi. Ci misi poco a ritrovarmi nella loro vita scomposta, e quasi trent'anni dopo, l'8 settembre 2022, ecco sbarcare su Disney+ la serie Pistols diretta da Danny Boyle, incentrata sul libro del chitarrista della band, Steve Jones.

"Don't be told what you wantDon't be told what you needThere's no futureNo futureNo future for you
...
God save the queenWe mean it manThere's no futureIn England's dreaming"


Il punk mi ha sempre affascinato, specialmente se visto come momento di rottura. Collegare i Sex Pistols a una blanda esasperazione anarchica, oltre che sbagliato, per il sottoscritto non lo sono mai stati. Gli ideali di pace e amore degli anni '60 si erano rivoltati contro se stessi, e ora la strada del macchinoso consumismo & perbenismo era sempre più protagonista. Il mondo giovanile era in ebollizione e questa band, prima e forse anche meglio di tutti, incarnò uno spirito nato e bruciato in neanche due anni. Un album capolavoro, Never Mind the Bollocks, e canzoni che ancora oggi sanno incendiare l'anima a cominciare da God Save the Queen...e tanti cari f*****o alla società e a tutto il Regno Unito. 

SOSPIRARE (s)FIGURATO
hai mai contato

le esequie dentro 

le mie dita… Io

mi sono sempre confuso

con le cartoline

che nessuno ritaglia più

non sai chi sono 

banalmente

perché non ho chiesto

il tuo nome

sai dove sono stato

solo perché

non ho mai voluto

difendere una carezza

dal fienile

delle zanzariere aggiustate

domani mi (o)di(e)rete

dove devo andare

avete preso la mia casa,

che cosa vi è rimasto

da mettere nelle scarpe?

dal gracidare

da più lontano delle stelle,

un nuovo Orwell

ha preferito mettersi il rossetto

e giocare

con l’amnesia dell’infanzia

sono stupito

e attardato nel silenzioso riconoscimento epidermico

… non avrei voluto

cadere, ma sto ancora

ridendo… Vi dirò

quello che penso e 

e sarà solo una delle

tante indifese volte (Venezia, 8 Settembre ‘22)

God Save the Queen, by Sex Pistols

God Save the Queen - Sex Pistols

lunedì 15 agosto 2022

Porno for Pyros, Hard Charger

Perry Farrell (Porno for Pyros) in Hard Charger

I Porno for Pyros del geniaccio Perry Farrell sfornano Hard Charger, primo travolgente singolo della colona sonora film "Private Parts" (1997), biopic sul deejay Howard Stern.

di Luca Ferrari

Ci sono canzoni che colleghiamo a una stagione in particolare. Se non c'è mattinata d'inverno dove non potrei non ascoltare Rusty Cage dei Soundgarden o una serata solitaria conclusa sotto le stelle a farmi crogiolare da Hunger Strike dei Temple of the Dog, sono anni ormai che d'estate mi torna sempre una insana e incredibile voglia di ascoltare Hard Charger dei Porno for Pyros, la band che Parry Farrell fondò insieme al sodale batterista Andy Perkins, dopo aver sciolto i leggendari Jane's Addiction

Ad accompagnarli nel travolgente videoclip, un altro fuoriuscito dalla suddetta band, il chitarrista Dave Navarro, all'epoca militante nei Red Hot Chili Peppers, e Flea, il funambolico bassista dei RHCP. Una formazione a dir poco fantasmagorica e capace d'incantare per sound e carisma. Una performance per un film e un personaggio molto controverso, con un risultato a dir poco esplosivo. E se il videoclip del video non vi basta, date un occhio anche al doppio live Hard Charger + Mountain Song, celebre song dei Jane's Addiction, in occasione di uno speciale su Howard Stern. 

PRIMA DEI MIRACOLI 

Ecco un’altra giornata
impermeabile alle leggende,

schizzano i perché
dei tradimenti... dalle stelle,
una corte serrata gli ombrelli
...il loro rifiuto
ha fatto infuriare i puma
ammassati nei tanti  fasulli
pozzi "sanPatriziani"...
Hai mai incontrato qualcuno
che ha benedetto il tuo cammino
senza volere nulla in cambio?

Un giorno farò vedere
a qualcuno i miei bersagli...
... prim’ancora dei miracoli
scriverò una lista
di bagagli…me la porterò
sempre dietro
insieme a qualche pietra
di quella baia

La scelta 
è davvero difficile…
ma cos’è che i poeti hanno voluto dirci?
Se mettessi
nella stessa stanza un tuono
e un sacchetto di terra, 
che cosa succederebbe
alle costellazioni che ancora non so
riconoscere?

Magari adesso mi direte
che siamo tutti inventori
e chiunque può permettersi
di alleviare le strade
…mentre ci pensate,
io sognerò ancora 
di passare
qualche tempo in una dimensione
condivisa

Anche se ci fossimo conosciuti
dopo secoli
nei fondali oceanici, il suo estro geniale
non avrebbe molto da aggiungere
a queste righe,

Potrebbero volerci
ancora molto tempo…Potrebbe darsi
che le clessidre
abbiano esaurito le loro scelte
                                          (Venezia, Luglio 2001-Agosto 2022)

Porno for Pyros, Hard Charger

mercoledì 10 agosto 2022

The Stars you are, The Cranberries

Stars - la cantante dei Cranberries, Dolores O' Riordan
Nell'autunno di vent'anni fa, a Roma, comprai il greatest hits dei Cranberries, "Stars - The Best of 1992-2002)"... ed ecco che l'oscurità si fece più luminosa che mai.

di Luca Ferrari

Ho sempre amato guardare il cielo, specie se con le nuvole o notturno con le stelle. Da quando Stars dei Cranberries sbarcò nel mio udito, in un atipico autunno romano, non ho mai trovato una canzone che potesse accompagnarmi meglio nelle serate volutamente passate con lo sguardo all'insù, a cominciare dal fatidico 10 agosto e la notte delle stelle cadenti. Creatori di un rock sempre molto sofferto e allo stesso tempo dolce, passarono pochi mesi, e quella canzone, Stars, riuscì anche ad ascoltarla dal vivo, a Firenze, dove nel frattempo mi ero trasferito. Un concerto dove Dolores O' Riordan (1971-2018), ci regalò un'intensa performance, e al cui pensiero, la sua dipartita è ancora più dolorosa.

Insieme a New New York, Stars era l'unica canzone nuova nell'album della rock band irlandese. Non ero mai stato un loro fan assiduo, ma ci sono dischi che alle volte escono nel momento giusto della tua vita. In un'epoca dove Youtube non esisteva e la musica si downlodava poco, comprarsi il CD era ancora la strada ideale per ascoltare musica. Quell'album inoltre, segnò la neonata amicizia con due ragazze della città eterna, e mi caricò di tante e opposte emozioni. Bastò un ascolto e Stars e i The Cranberries divennero parte vibrante della mia vita. Non scriverò nulla di nuovo oggi.  La parola all'ispirazione originale, direttamente da quel primo ascolto nell'ottobre 2002...

"I love you just the way you are"

Ho scelto quella promessa

perché voglio raccontarti un’altra storia.

…il colore di queste ombre

era vecchio e poco pigmentato.

… Il colore di queste ombre

era il percolare nella fiamma.

tra ciottoli smussati

e il peso delle genti

...

I giorni della vita sofferente

erano una rudimentale famiglia

votata dai pensieri… come 

migliore immagine,

le stelle più attente

si sono prese il loro tempo,

riuscendo a restare concentrate

anche durante 

l’esplosione di una strada

che scendeva dolcemente

tra la terra, il mare e ancora la terra

bagnata… non ho mai creduto

agli esiti di nessuna battaglia,

adesso l’istinto dei credo

è tornato libero di promettere

... è il loro momento

e le stelle hanno avuto ragione,

…siamo ovunque,

anche se non ci vedo

in questo preciso istante.

oh, adesso potrei

costituirmi senza la tempesta,

aspettando fedele l'oscurità

...

non troverai dissotterrata,

adesso le stelle si sentono 

finalmente libere di promettere

e di stare accanto a te.

(Roma, 5 Ottobre 2002)

Stars by The Cranberries

Stars, by The Cranberries

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