!-- Codice per accettazione cookie - Inizio -->

venerdì 8 novembre 2019

Scorpions, i sogni di Wind Of Change

Klaus Meine, il cantante degli Scorpions, intona Wind of Change
Il 9 novembre 1989 cadeva il muro di Berlino e la Guerra Fredda finì. Una canzone immortalò quel periodo e quel momento storico, Wind of Change dei tedeschi Scorpions.

di Luca Ferrari

Si, il 9 novembre 1989 abbiamo creduto che il mondo potesse davvero cambiare per sempre. Il muro di Berlino era caduto. Est e Ovest finalmente si poterono riabbracciare. Quell'evento toccò milioni di persone di tutto il mondo, incluso Klaus Meine, cantante della metal band tedesca Scorpions, da poco esibitisi insieme a Motley Crue, Bon Jovi, Skid Row, Ozzy Osbourne e Cinderella al Moscow Music Peace Festival. Un evento quest'ultimo inimmaginabile fino a pochi anni prima, esattamente come immaginare il muro di Berlino abbattuto dalla pacifica rivoluzione di un mondo che aveva voglia di proseguire insieme e unito.

Un fischio. Un ricordo vissuto in prima persona aldilà della cortina di ferro. Il mondo stava svoltando e  anche il rock diede il suo contributo a quel vento di libertà e cambiamento. Tratto dall'album Crazy World (1990), Wind of Change inizia la sua melodia-tributo a un'epoca in cui l'uomo ebbe la meglio sul potere. Sfilano le immagini della band dal vivo nel videolcip. Sfilano le immagino del mondo dal vivo. Le prime parole ispirate a un ricordo del cantante che vide un soldato dell'Armata Rossa commuoversi fino alle lacrime nell'ascoltare una loro canzone.

Il videoclip è un susseguirsi di immagini storiche di quel periodo. Dalle rivoluzioni pacifiche nell'est europeo (inclusa la Romania, anche se lì la situazione fu un po' diversa) alla stretta di mano tra il Presidente dell'URSS, Mikhail Gorbaciov e Papa Giovanni Paolo II, passando per i carro armati cinesi di Piazza Tienanmen, rivoluzione poi sedata nel sangue. E in mezzo alle incursioni in terra sovietica degli Scorpions, ovviamente c'è anche lui. Il muro di Berlino. Prima e dopo ma soprattutto dopo, quando finalmente si apre e le persone aldilà e al di qua poterono tornare a guardarsi negli occhi libere.

E poi c'è lui, quell'assolo. L'assolo tra i più grandiosi della storia del rock. Insieme alla chitarra di Kirk Hammet (Metallica) di Master of Puppets e quella di David Gilmour (Pink Floyd) in High Hopes, ci sono anche gli Scorpions con una canzone che fotografò il tramonto di un'epoca e l'inizio di una nuova era. A prodigarsi in questa cavalcata sonora però non fu il chitarrista solista Matias Jabs ma il collega addetto allo strumento ritmico, Rudolf Shenkter, fondatore della band. Impossibile ascoltare queste note senza guardarsi indietro ed essere pervasi da un'ondata di lacrime ed emozioni, per quello che è successo e ciò che deve ancora succedere.

Prima dell'avvento degli smartphone, a ogni canzone d'atmosfera si tirava fuori un accendino quando le luci si spegnevano. Un rito che ancora pochi romantici hanno il coraggio di ripetere. Gli accendini sono protagonisti anche nel corso del videoclip di Wind of Change e ancor di più in conclusione, con una luce a illuminare l'intero Pianeta Terra, come una speranza per tutto il mondo scandita dal quel linguaggio universale di libertà che è la musica rock. In quel 9 novembre 1989 c'era nell'aria qualcosa di unico. Qualcosa che forse nessuno avrebbe mai immaginato di poter assistere e vivere. No, non era un sogno. Era tutto "fottutamente" reale.

Quattro anni dopo quel sogno di ritrovata unità europea sarebbe stato spazzato via da un'esplosione. La distruzione questa volta assunse tutt'altro significato. Il 9 novembre 1993, nello scontro mortale che insanguinava i Balcani, la città di Mostar in Bosnia era presa d'assalto dalle truppe secessioniste croate che fecero saltare lo storico ponte Stari most. Un gesto fortemente emblematico per sancire la divisione forzata di due comunità: quella cristiana da una parte, e quella musulmana dall'altra. Un gesto che ancora oggi nel 2019 trova tragici proseliti politici (Italia inclusa).

Take me to the magic of the moment on a glory night, where the children of tomorrow dream away in the wind of change/ ... Finisce così l'immortale Wind of Change degli Scorpions. Forse in quel 1989 non ero propriamente un bambino ma un ragazzino lo ero, e dunque mi sento chiamato in causa in questa canzone. Anch'io come tanti miei coetanei ho sognato un futuro migliore ma ormai sognare non basta più. Tocca a loro, a quei Children of Tomorrow dare concreta speranza perché il vento del cambiamento coinvolga e unisca il mondo interno.


SIAMO NOI QUEI CHILDREN OF TOMORROW

Ci siamo guardati da lontano.
Una strada in comune,
poteva essere abbastanza per le nostre
lettere intercettate?... Guardai
oltre la sabbia dei fari
e quando fu il giorno di ricominciare,
in troppi si affrettarono a predire
che nessuno
ci avrebbe più diviso...

Quante generazioni hanno lasciato morire
sui nuovi confini? Non voglio
arrogarmi il diritto di fare
del presente una diaspora realistica
con meno speranza
ma è esattamente
quello che stiamo subendo...

E quel giorno ci guardammo negli occhi
ancora increduli
del silenzio dei fucili... Ma quel giorno
ci guardammo in esaltante salti
nel definitivo silenzio
dell'isolamento... Ma quel giorno
fummo benedetti da una gloria
che nessuno si sarebbe mai sognato
di sfilarci dalle nostre mani... Ma
quel giorno
abbiamo davvero provato a fare
a meno del sangue
o il giorno dopo abbiamo solo ricominciato
a chiamare con altri nomi
chi non si rifletteva in noi? ...

Sono emozionato... impaurito... Mi sento
un po' disperso e poco soddisfatto di ciò
che non abbiamo compiuto... Mi dareste ancora un giorno
di quel bambino? Mi dareste
ancora una vita
per quei bambini?… Adesso voglio quei giorni
e me li prendo...
(Venezia, 8 Novembre 2019)


Wind of Change, videoclip by Scorpions
Wind of Change, videoclip by Scorpions - l'epopea del Muro di Berlino
Wind of Change, videoclip by Scorpions - l'epopea del Muro di Berlino
Wind of Change, videoclip by Scorpions - i carro armati a piazza Tienanmen (Cina) 
Wind of Change, videoclip by Scorpions - la nave petrolifera che riversò nell'oceano tonnellate di petrolio
Wind of Change, videoclip by Scorpions - gli accendini per illuminare l'oscurità durante le canzoni d'atmosfera
Wind of Change, videoclip by Scorpions - il bassista Francis Buchholz
Wind of Change, videoclip by Scorpions - la rock band tedesca durante il Moscow Music Peace Festival
Wind of Change, videoclip by Scorpions - il chitarrista Rudolf Schenker
Wind of Change, videoclip by Scorpions - il crollo del muro di Berlino
Wind of Change, videoclip by Scorpions - si rompe il muro di Berlino
Wind of Change, videoclip by Scorpions - il chitarrista Rudolf Shenker con sfondo del muro di Berlino
Wind of Change, videoclip by Scorpions - un accendino illumina il Pianeta Terra

lunedì 21 ottobre 2019

Mudhoney, un'intervista sincera

Il giornalista Luca Ferrari tra Mark Arm Steve Turner dei Mudhoney
Dieci anni fa, al New Age Club di Roncade, intervistai i Mudhoney. Musicisti autentici e pionieri di quel sound di Seattle che per l'ultima volta rese il rock immortale.

di Luca Ferrari

Dieci anni dopo quell'intervista, ancora oggi ne ricordo l'emozione unica. E come non poteva essere? Per la prima volta in vita mia incontravo qualcuno che aveva davvero lasciato un'impronta artistica dentro di me, i Mudhoney. La band che m'ispirò simpatia fin da quando vidi una foto nel lontano 1994. Loro, i Mudhoney. La band che fu fondamentale per l'esplosione del sound di Seattle. Loro, i Mudhoney, rimasti sempre nelle retrovie della popolarità ma da sempre seguiti da fan fedelissimi che hanno premiato il loro genuino punk rock distorto. Dieci anni fa, il mio taccuino era aperto al New Age di Roncade (Tv) davanti a Mark Arm e Steve Turner, cantante e chitarrista dei Mudhoney.

Prima ancora del leggendario Superfuzz BigMuff (1990), alle mie orecchie arrivò Piece of Cake (1992) dove troneggiavano le varie Suck You Dry, No End in Sight e Blinding Sun. Eppure per il sottoscritto, la per-certi-versi-anonima When in Rome mi entrò nel cuore, ancor prima che nell'anima. Istintivamente mi rappresentò quello che era il sound dei Mudhoney, una musica sincera e fraterna. E così, quando chiesi ai due musicisti se ci fosse una canzone che a loro in particolare piacesse suonare, dopo la suddetta premessa che raccontai anche a loro, Mark Arm sorridente mi disse: When in Rome. Non era vero e lo sapevamo tutti, ma fu davvero gentile a dirmelo.

Mark e Steve erano quelle persone semplici che avevo sempre immaginato. Super-ammirati da Kurt Cobain dei Nirvana, la band nacque dalle ceneri dei grandiosi Green River, la cui altra metà della band, tali Stone Gossard e Jeff Ament, avrebbero fondato prima i Mother Love Bone e dopo la tragica scomparsa del loro cantante Andy Wood, una band di nome Pearl Jam. Resto una mezz'oretta con loro, ribadisco ancora una volta, emozionato come mai mi è capitato in 17 anni di attività giornalistica. Lo storico bassista Matt Lukin non c'è più, sostituto dall'egregio Guy Maddison. Alla batteria invece c'è sempre Dan Peters.

(Now it's all burned down) Who can you trust?/  (Now it's all burned down) How come you're still alive? (Now it's all burned down) Where can you sleep tonight? suonano in Mudoney in When in Rome: Ora che tutto è ridotto in cenere, di chi ci possiamo fidare? Ora che tutto è ridotto in cenere, come possiamo essere ancora vivi? Ora che tutto è ridotto in cenere, dove dormiremo stanotte? Una tragica profezia che a giudicare dal mondo contemporaneo, assume tinte inquietanti di cosa è già una realtà per centinaia di migliaia di persone, e presto toccherà anche al resto del pianeta.

Roncade, New Age Club. 21 ottobre 2009. Sto intervistando la rock band americana Mudhoney per l'allora rivista cartacea La Vetrina di Venezia. Gli faccio ancora qualche domanda, poi è ora del soundcheck e dunque non resta che vederli dal vivo. Non sono più dei giovanotti ma suonano come meglio non potrebbero con Mark che furoreggia alternandosi tra solo microfono e voce + sei corde. Dagli storici cavalli di battaglia (Touche me I'm sick, Hate the Police, You Got It (Keep It Outta My Face) fino ai pezzi più recenti. Per la cronaca, non eseguono When in Rome ma dentro di me, eccome se l'hanno fatto e vi dirò di più. Insieme a loro c'ero pure io sul palco.


A OLTRANZA D'INNATA DIREZIONE
  
Parole d’idioma comune... gentilezza
senza principi né finalismi
… nessun’ancora al contrario
né corridoi premeditati

Nella fortunata ricaduta della rabbia,
si banchetta
tra innocenze di accadimenti odierni

la passione che nasce da un sentimento
è esattamente
quello che c'è scritto e per ora
non c’è nulla spiegare

Difendersi da un nuovo momento,
quale stupore?
Con una mano attaccata
a una parte della nostra fune di ripiego,
che cosa può ringhiare
ancora il sole?

Non voglio essere
mal consigliato né essere d’intralcio
… A che temperatura
posso diventare essenziale
per proseguire
su questo cammino?

Il giudizio dell’intransigenza
non ha recinti
né autentiche vicissitudini
da barattare

non ho mai creduto
di potermi contraddire
quando urlo di catarsi 
e domani umanamente biunivoci

…eseguo quello che penso
con salutare
isolamento per chi non è mai stato.
Eseguo quello che siamo dentro...

(Roncade [VE], 21 Ottobre '09)

Mudhoney live New Age 2009

New Age Club - Mark Arm e Steve Turner dei Mudhoney© Luca Ferrari 

giovedì 10 ottobre 2019

Miss Sarajevo... Miss Kobane

Il singolo di Miss Sarajevo (The Passengers)/ la devastazione della Siria
L'orrore si ripete. Civili in fuga dalla guerra. Quando arriverà quel tempo intonato da  Bono Pavarotti? Ci proviamo a dare ancora speranza all'umanità con Miss Sarajevo?

di Luca Ferrari

Eccoli, di nuovo. I mastini della guerra contro la popolazione civile. Oggi tocca ai valorosi kurdi in terra Siriana. Un popolo senza una nazione. Un popolo che ha avuto il coraggio e la forza di sconfiggere una massa di assassini spacciati per una fantomatica nazione di stampo religioso, e oggi sono abbandonati nel nome dell'economia. La Turchia è una nazione forte. I kurdi non contano nulla. Tutti a girarsi dall'altra parte, così com'è sempre stato verrebbe da dire in "CivilWariana" memoria (dicasi Guns 'n' Roses).

Brucia la terra siriana mentre le pedine della geopolitica prendono tempo incuranti del sangue già iniziato a sgorgare. E non è stato lo stesso negli ultimi anni nell'ignorato Yemen? E non è stato lo stesso nel Ruanda del genocidio e ancora prima nei Balcani, cuore multietnico d'Europa? La storia si ripete sempre nella sua tragicità. Ma perché sorprendersi? Da tempo ormai soffiano correnti contro il diverso. Una melma di odio e razzismo che punta solo a guardare il proprio misero orticello, facendo dell'umanità una creatura da stuprare senza pietà.

Torna nell'anima la struggente Miss Sarajevo. La voce poetica di Bono (U2) accompagnato dalla fida chitarra di The Edge. La direzione strumentale di Michael Kamen. Le parole dolorose del tenore Luciano Pavarotti. Insieme furono The Passengers per quella Bosnia brutalizzata dal nazionalismo serbo-croato e dall'indifferenza della Comunità Internazionale. Ogni volta che vedo il mio giardino invaso dai bambini a giocare, una parte della mia memoria ripensa a quella guerra. Era così anche per loro, poi iniziò un incubo fatto di sangue e morte.

Oggi è il turno dei Kurdi e la città di Kobane chiedere aiuto. Un aiuto fin'ora inascoltato. Inizio a guardare queste nuove immagini di sangue e mi chiedo: e se accadesse anche qui? Penso a tutte le ragioni per cui ci sentiamo divisi e differenti. Penso a tutte le logiche che decidono chi può vivere in pace. E nell'amore, non so più sperare... cantava un mesto Pavarotti in Miss Sarajevo. Sono passati più di vent'anni da allora e siamo di nuovo punto a capo. Dinnanzi all'ennesimo bagno di sangue umano, come si fa davvero a credere nell'amore? Spiegatemelo voi.


NELLA NUOVA APOCALISSE DI DISUMANITÀ
  
Il tempo si è fermato,
non sento più il suo cuore
accanto a me… La vita
si fa breccia
tra le maree sporcate
di oleosa nerastra umanità

siamo alle solite,
siamo a una nuova apocalisse

Mi hanno teso una mano
e io ho risposto
con un coltello… Mi hanno
chiesto di smettere
e io ho scavato altre buche

A che tempo del mondo
siamo arrivati? … Mare e terra
vomitano cadaveri

Mi sento ancora e già sconfitto
mentre immagino
nuove parole… provo
il silenzio
e l'amnistia delle stelle… Il fischio
della morte
non mi riguarda per oggi, e allora
perché non è così anche per loro?

Adesso è finito
il tempo di sognare
nuovi sorrisi… Adesso
anche per loro
è arrivato l’obbligo
di scomparire… Adesso
anche per loro
è giunto l’ordine
di soffrire… E adesso
siamo ancora arrivati 
a quel - I cannot hope in love anymore
And I cannot wait for love 
anymore - … ancora una volta ci implorano
di non lasciarli morire...

Miss Sarajevo, live by The Passengers

Venezia, giardino con giochi per bambini © Luca Ferrari 

martedì 1 ottobre 2019

Mother Love Bone, I give to you my heartshine

Mother Love Bone © Metallus.it
"Le lacrime sono dei deboli. Bisogna ostentare la forza". Ecco lo schifo di mondo dove facciamo crescere i nostri figli. I give to you my heartshine, piccola creatura. Per info, ascoltare i Mother Love Bone.

di Luca Ferrari

Davvero un posto strano il mondo. In rete sembriamo tutti delle creature impegnate e preoccupate anche per le sorti di un leprotto intrappolato nella neve. Quando però si tratta della vita reale, subito a mettere una benda se le emozioni diventano troppo invadenti e soprattutto, visibili. Val bene i sentimenti, ma che non diano una immagine di poca forza perché il mondo ha solo bisogno di forza e ostentazione. E allora avanti, fatemi vedere chi siete. Quando tornerete a casa e saprete comunicare solo con le applicazioni, vi sentirete davvero realizzati?

Non era nei miei programmi scrivere una simile poesia quest'oggi, poi però accadono cose che ti stordiscono. Senti frasi e inizi a dubitare che chi ha in mano il futuro delle prossime generazioni, li sta solo preparando a un mondo pragmatico senza inondare i loro piccolissimi cuori di forza e amore per le proprie emozioni, anche quelle più struggenti. Anche quelle capaci di ferirti e farti crescere. "Noi non siamo altri che i nostri sentimenti", ci ha tramandato Neil Young. Oggi riparto da lui, traendo lacrime d'amore dal rock dei Mother Love Bone e la cavalcata di Heartshine, qui interpretata dai Temple of The Dog e la voce scomparsa di Chris Cornell.

Grazie per l'ispirazione, fraterno Andy Wood... Yeah, yeah, yeah, yeah give to you my heartshine!


QUELL’IRRIDUCBILE SPLENDORE DEL TUO CUORE


Come procede il mondo,
avete commentato abbastanza per oggi
e le finte lacrime
che state versando,
non sono le stesse che state negando
ai vostri figli di mostrare?

Piccola creatura, devi essere forte
e non mostrare mai tu chi sia… Piccola
creatura, io ti ho messo
al mondo
e non mi devi far sfigurare…

Quando sei pronto
a essere forte per amare?
Quanto sei deciso
a rivelare il tuo cuore?
… Chiunque incontrerai
sulla tua strada
che metta in ridicolo
le tue lacrime, tu
lo saprai affrontare davvero
fino al giorno dopo e oltre

Volete le emozioni
e poi siete le prime
a spingerli negli angoli
quando la luce
diventa troppo amorevole

Vi siete già fatti vedere dal mondo
mentre esprimete cordoglio
per l’estinzione di chi ha già smesso
di sopravvivere?
Qui siamo ancora in tanti
a essere a un passo dalla fine,
e allora perché nessuno
ci sta rivolgendo la parola?
Lo sgorgare delle nostre emozioni
è troppo
per i loro apparati… Tracceremo
un segmento anche per questo,
e poi una retta… Il tuo cuore, 
continuerà a splendere
(Venezia, 1 Ottobre ’19) 

Heartshine (live), cover by Temple of the Dog

giovedì 1 agosto 2019

Moscow Music Peace Festival, rock è libertà

Tom Kierfer, cantante dei Cinderella al Moscow Music Peace Festival
Rock è sinonimo di libertà. È ciò che accadde in Unione Sovietica nell'agosto 1989 durante l'immortale live del Moscow Music Peace Festival.

di Luca Ferrari

Anno 1989, un'epoca che il mondo non dimenticherà mai. Il mondo stava cambiando. Dal 1985 il Segretario dell'Unione Sovietica, Michail Gorbaciov, aveva dato il via a una serie di riforme che presero il nome di "perestrojka". Mancava poco al tracollo di quel mondo aldilà del muro di Berlino e forse anche i decibel di "quel concerto" contribuirono a ispirare quel sentimento di libertà nel cuore delle genti. In pieno clima di distensione tra le due superpotenze Stati Uniti e Unione Sovietica, la Make a Difference Foundation organizzò il Moscow Music Peace Festival (Mosca, 12-13 agosto 1989). Un evento senza precedenti. Di lì a qualche mese, il 9 novembre, sarebbe crollato il muro di Berlino dando inizio a una nuova pagina di Storia.

Lassù intanto, sul palco dello stadio Lenin, si alternarono alcune delle band migliori in circolazione a cominciare dai Cinderella e il loro sofferto blues rock, quindi i locali Gorky Park, i giovani e lanciatissimi Skid Row, forti di un primo omonimo e grandioso album cantato dallo scatenato Sebastian Back. Teste di serie dell'evento, i melodici e commerciali Bon Jovi con il cantante che fece il suo ingresso in divisa dell'Armata Rossa; i selvaggi e possenti Motley Crue, l'ex-frontman dei Black Sabbath, Ozzy Osboune con la sua band solista che vedrà sempre al suo fianco il chitarrista Zakk Wilde, e i tedeschi Scorpions. Ospite speciale, il batterista Jason Bonham, figlio del leggendario John "Bonzo",  percussionista dei Led Zeppelin.

Anno 2003. Da sempre più vicino a Pearl Jam & Alice in Chains, la mia parte wild rock è sempre stata alimentata da un'amicizia fraterna. Una di quelle persone che s'incontrano di rado nella vita e che se anche ci si perde, non cambia nulla. Ero volato fin nel nord Europa per rincontrarlo e mentre lui era al lavoro, mi fece vedere quello storico concerto. Non era certo la prima volta che ascoltassi i Cinderella ma il Moscow Peace Music Festival non lo conoscevo proprio e quando vidi nel corso dell'esecuzione di Nobody's Fool quella ragazza, quasi in trance per la bellezza e l'intensità della musica, l'ispirazione ebbe il sopravvento.

La band hair metal formatasi a Philadelphia iniziò la performance con un lungo intro di chitarre, poi la canzone entrò nel vivo. Tom Kiefer cantò con struggente malinconia, gridando con tutti i polmoni la strofa - I scream my heart out - nel cuore della suddetta song, tratta dal primo album della band, Night Songs (1986). Una nuova epoca stava per sbocciare, non solo nel mondo politico ma anche in quello musicale. Lì, in quelle giornate sovietiche il glam rock sparava le sue ultime poderose cartucce, pronti a lasciare il passo alla più ruvida e meno patinata scena musicale di Seattle.

Anno 2019. Sono passati ormai trent'anni da quel memorabile concerto. Il mondo è cambiato. La musica è cambiata. Meglio? Peggio? Non è questa la sede per un'analisi sociopolitica ma una cosa è certa, allora, in quel fatidico 1989 c'era più speranza e forse anche più convinzione che il mondo intero potesse prendere una direzione in linea con le speranze umane. Sono cambiati i politici. Sono cambiati gli artisti. La Storia quotidiana è oramai un miscuglio esasperato di ideologie e auto-celebrazioni. A quell'epoca però, il rock aveva ancora la selvaggia presunzione, e forse anche l'ambizione, di poter ispirare un cambiamento e lì, in Unione Sovietica, al Moscow Music Peace Festival è accaduto per davvero.


SULLE NOTE DI UNA FIABA MOSCOVITA

Introduzione senza barriere... Pseudonimo
principesco e un tratto di nuvole
così lontano dai cieli fino ad allora
solo immaginati... Resa sinceramente spirituale
di trascinante vicinanza emotiva

... Magari anche allora
mi sarei potuto accasciare
nei miei sogni
del domani, aspettando che il frastuono
di quelle voci velenose
ci avesse tutti presi per mano

Dimmi Cenerentola moscovita,
è questo il messaggio volevi catapultare?
Un tavolo, qualche consonante
e due sole iniziali?... Da una parte
dell'invisibile tatuaggio
si leggeva chiaramente
l’oscurità di un dialogo appena
fuoriuscito...

Nella tardiva narrazione umana
lo sconforto fu del tutto annullato
...
Tutti amano la storia di Cenerentola
ma se oggi continuassi a precisare
ciò che un fiore si è adattato a provare
per far riscaldare le ali di una farfalla,
le sole dita che ancora riuscirei
a sollevare
sarebbero quelle dalla forma incondizionata
di un chicco di neve

... dimmi ragazza, adesso sarai
 una donna, sei
diventata anche madre? Hai il volto
di chi potrebbe insegnare
in un tiepido nido... forse dopo quel giorno
non hai più saputo accettare
le marce militari, hai portato ancora
il pane in bicicletta
e poi hai cominciato a pensare
di possedere un intero giardino
tutto per te ...Le puntate
hanno lasciato spazio alle stelle,
le risposte alle dettate conclusioni
...
Non dirò a nessuno di averti riconosciuta,
ma tu promettimi
che un giorno mi scriverai...
(guardando Nobody’s fool [Cinderella] live in Moscow Music Peace Festival,
Lanna [SVEZIA], 20 Settembre 2003)

Moscow Music Peace FestvalNobody's Fool performance live by Cinderella

Moscow Music Peace Festival - Tom Kiefer, voce dei Cinderella
Moscow Music Peace Festival - Jeff LaBar, chitarrista dei Cinderella
Il pubblico entusiasta del Moscow Music Peace Festival
Una giovane fan del Moscow Music Peace Festival

giovedì 27 giugno 2019

Il mio nome è mai più (vita)

La copertina del singolo Il mio nome è mai più
e la drammatica foto di Oscar Alberto Martinez e la figlia Angie Valeria (2 anni), morti annegati
Due corpi annegati. Un padre e una figlia. Vent'anni fa usciva il singolo Il mio nome è mai più cantato da Ligabue, Jovanotti e Piero Pelù. Ancora oggi una parte di mondo lo sta gridando a squarciagola.

di Luca Ferrari

Lo so bene. Non servirà a niente. Lo so bene. Nessun carnefice si commuoverà davanti a queste parole e questa canzone. Vent'anni esatti fa, tre artisti italiani: Ligabue, Lorenzo Jovanotti e Piero Pelù, diedero alle stampe il singolo Il mio nome è mai più sotto lo pseudonimo di LigaGiovaPelù, per raccogliere fondi per le vittime della guerra in Kosovo. Vent'anni dopo, il sangue scorre sempre più spietato. Le guerre incombono ma c'è un nuovo conflitto in atto. Persone armate di speranza che cercano di raggiungere nuovi posti per ricominciare, trovando al contrario indifferenza e sempre più spesso la morte.

In ogni angolo del mondo l'umanità si scontra con logiche di propaganda elettorale, sputando sulla vita umana come se non contasse nulla. Ecco, dov'è il progresso in questo senso? Da una parte c'è un'indomita Capitana che in barba ai divieti fascisti dello stato italiano entra nelle acque territoriali nostrane per salvare la vita a esseri umani. Dall'altra, c'è il dramma di un papà ancora abbracciato alla sua figlioletta di due anni, entrambi annegati (così come molte altre persone) nel Rio Grande mentre cercavano di raggiungere il Texas. Ma ai posti di comando tutto questo non interessa. Per i gendarmi del potere, la colpa delle vittime stesse che hanno voluto forzare dei divieti.

Vent'anni esatti fa, nel giugno 1999, una parte di mondo gridava unita Il mio nome è mai più. Vent'anni dopo siamo ancora allo stesso punto di partenza. Vent'anni dopo dobbiamo difendere il diritto di esistere dell'essere umano. Vent'anni dopo siamo ancora nell'affannosa e disperata costruzione di un mondo dove la politica si pieghi alle esigenze umane di ogni singolo individuo, e non il contrario. Oggi, giugno 2019, non è più accettabile assistere a tutto questo. Il tempo dell'indignazione è finito per sempre, deve finire. Questo è il tempo in cui o il mondo cambia per davvero, o sarà la fine di tutti noi.


ABBRACCIATI A TESTA IN GIÙ SENZA PIÙ VITA  
  
Non ho mani abbastanza larghe
per farci respirare tutti insieme…
Non ho pensieri così lungimiranti
da imporre agli altri
la vostra vicinanza… Siamo tutti
facilmente e troppo sinceri
ma chissà, mai altrettanto forti

Oggi non cadono bombe
ma voi morirete comunque… Ciao
come ti chiami?
È di tua figlia quel corpicino inerme
accanto all’assenza di respiro?
Sai, sono un papà anch’io
e io di voi non potrò più dimenticarmi

Adesso loro parlano,
adesso stanno alzando
la loro voce… Adesso
qualcuno ha perfino detto
che non avreste nemmeno dovuto
tentare di bussare
alla mia porta… Ogni giorno mi legittimano
a impugnare una pistola contro
di voi… Adesso
le scale oleose dell’esistenza
è tutto ciò che ci viene concesso
in attesa della fine più atroce

Avanzano i predoni delle vite,
sono acclamati
e non scenderanno dal palco
… Oggi gli eroi
non devono più esistere,
oggi c’è bisogno
di ciascuno di noi… Questa sera
guarderò ancora la foto
della vostra morte
e poi penserò alla mia vita… Faccio
a meno delle mie lacrime,
questa è la mia sagoma
e niente mi trapasserà… Verrò per te,
verrò per tutti voi.
(Venezia, 27 Giugno ’19)

Il mio nome è mai più, di LigaGiovaPelù

La tragica notizia dell'annegamento di un padre e una figlia, dal quotidiano La Repubblica

martedì 25 giugno 2019

Mother Love Bone, le star(dog) di Seattle

Mother Love Bone (da sx): B. Fairweather, G. Gilmore, A. Wood, J. Ament e S. Gossard © godssard
Prima di Mudhoney, Nirvana e Pearl Jam, la Seattle del rock è soprattutto Mother Love Bone. Sette anni fa io ci stavo andando e fu così che iniziai ad accordare nuovi sogni condivisi.

di Luca Ferrari

Sette anni esatti fa, il 25 giugno, a quest'ora del giorno mi stavo imbarcando all'aeroporto Marco Polo di Venezia destinazione Seattle. Un viaggio sognato da una via intera. Un viaggio che come ho sempre sottolineato fin dal mio ritorno, non è stato lontanamente ciò che avevo immaginato. Un viaggio che è stato il trionfo dei rapporti umani sulla solitudine del passato. Un viaggio che ha concluso uno di quei cerchi della vita lasciando finestre spalancate, portoni e ancor di più, mani e braccia unite. Io sono andato a Seattle con un'idea e da lì sono tornato con nuove convinzioni e la sensazione (certezza) che la vita, talvolta, sappia essere più profonda delle ombre.

Il primo pezzo di Live on Two Hands è una foto scattata proprio in quel viaggio, a Seattle. Il secondo, sempre da lì, ma questa volta è più un articolo dedicato a "tutti loro". Dedicato a tutte quelle band formatesi nel Nordovest americano che hanno alimentato la mia esistenza culturale. In quel viaggio verso Seattle c'erano tanti demoni che cercavano la propria collocazione. In quel viaggio misi insieme pezzi di mondi che molti anni prima nemmeno immaginavo avrebbero potuto coesistere. In quel viaggio a Seattle, il sangue sgorgato da un passato ancora oggi difficile da accettare, trovò nella felicità della condivisione un nuovo linguaggio e un'indelebile traccia per il domani.

In principio dunque ci fu la musica, e per il sottoscritto nessuno come i Mother Love Bone ha da sempre rappresentato al meglio la città di Seattle, e non a caso lo sfondo di questo blog è dedicato a loro. Più di Mudhoney, Nirvana e Pearl Jam. Forse perché c'erano loro prima di tutti, a eccezione di Mark Arm & soci. E non è un caso che quando stavo tornando col traghetto a Seattle dopo un giro in mezzo alla natura, passando anche per quell'Aberdeen natia di Kurt Cobain, lì, nelle cuffie stessi ascoltando proprio loro. Heartshine, Man of Golden WordsStargazerCrown of Thorns, la decadente-riottosa Gentle Groove e ovviamente lei, Stardog Champion, la prima canzone dei Mother Love Bone che ascoltai.

E non fu un caso che i miei primi e intensi sussulti nel documentario Pearl Jam Twenty (2012, di Cameron Crowe) li ebbi quando partirono le note di This Is Shangrila, facendo apparire la smaliziata "star" Andy Wood e subito dopo il volto sorridente di uno Stone Gossard ancora dannatamente ragazzino. Ecco, quelli erano i Mother Love Bone insieme agli altri tre membri del gruppo: il bassista Jeff Ament, il chitarrista solista Bruce Fairweather e il batterista Greg Gilmore. Quella era la fiaba dolce-metropolitana di uno spiritato gruppo di artisti che voleva lasciare un segno nel mondo e ci riuscì con la propria musica, un tragico destino e un'eredità umana ancora viva nella "smeraldina" semplicità della loro città natale.

Stardog Champion è un sali e scendi di rock allo stato brado, impreziosito da un assolo di chitarre dove il rock sembra davvero risorgere in una nuove veste ruvido-melodica dopo i lustrini e il machismo esasperato degli anni Ottanta. I Mother Love Bone però avevano molte affinità col glam rock, anche se più nell'aspetto che non nel sound, decisamente più figlio dei Led Zeppelin e di sicuro più imparentato con i futuri album dei Soundgarden che non con gli accordi di Poison o Twisted Sisters. Stardog Champion non è solo una canzone, è l'illusione diventata realtà. Riemersa dalle paludi senza ritorno, e pronta a essere intonata verso ogni spazzo di fosco azzurro.

Adesso non starò qui a raccontarvi la storia di questa band o del tragico epilogo del suo talentuoso cantante (1966-1990). Sono qui per condividere una storia. La mia storia insieme ai Mother Love Bone. Quello che mi hanno ispirato. Quello che abbiamo provato insieme . E quando, all'apice di una caduta senza fine, vedevo quei ragazzini danzare con sullo sfondo l'oceano e lo Space Needle di Seattle verso le battute finali del videoclip di Stardog Champion e l'inizio del coro fanciullesco, le ferite si squarciavano convinte che mai ci sarei arrivato. Allo stesso tempo, però qualcosa non smise mai di lottare furiosamente per non dissolversi. Quel qualcosa che sopravvisse fino a portarmi in una città i cui musicisti hanno segnato per sempre la storia della mia vita.


L’ALBA È PIÙ VICINA AL SOLE

Laica preghiera di cristallo, non è solo

una questione di sentimenti
respinti... Questo sono sempre stato io 
e non volevo che sprofondare 
diversamente... A chi tocca 
dare la propria ingloriosa versione? Tocca 
a te nasconderti
senza poter alzare la mano per primo...  

Nei lacci nascosti 
dentro i pugni abbandonati
non ci sono mai state mele 
capaci di indurmi a costruire una strada
di casa... Chi di loro si sarebbe immaginato
un simile sforzo? 
Mi riprendo gli spiriti 
lasciati inorriditi 
tra quadratini senza profezie 
né distorsioni di rappresaglia

Ho pensato di dire 
che anche i desideri abbiano la loro storia
di persecuzioni e tavole rotonde,
e io adesso lo sto sostenendo.
Sento che potrei avere qualche nuovo aneddoto 
da tramandare... 

Non avrei mai voluto tornare, 
ma il mondo non è cosa per chi era abituato 
a vivere senza domani... O almeno
questo era il mio pensiero...  

Torsoli riemersi  

dalle piogge primordiali... Oggi 
non edificherò consolazioni.
Aspetterò quelle antiche e solitarie luci 
del mattino andare oltre
il proprio oceano di tentacoli,
farò nuove amicizie 
e passerò un'intera giornata 
a danzare 
fino a quando non avrò davvero voglia 
di continuare a sorridere... Scenderò 
in cantina e mi siederò davanti 
all'uscio di una nuova abitazione… Farò tutto questo 
insieme a voi, 
mi metterò a piangere 
e poi lo rifarò ancora...  
                                                                                        (Venezia, 25 Giugno 2019)

Stardog Champion,
by Mother Love Bone


Ascoltando il rock dei Mother Love Bone davanti alla "loro" Seattle © Luca Ferrari
Ragazzini danzano sullo sfondo di Seattle (a dx lo Space Needle)
nel videoclip della canzone Stardog Champion dei Mother Love Bone
Seattle, murales in memoria del cantante Andy Wood e i Mother Love Bone © angy_bi

Cerca nel blog

Post più popolari