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martedì 23 maggio 2017

Falcone e Borsellino, Working Class Heroes

Billy Joe (Green Day) nel videoclip di Working Class Hero

Non basta una commemorazione abusata per volere davvero la verità. Cari giudici Falcone e Borsellino, voglio credere che saremo CAPACI di fare qualcosa di più di onorare la Vostra memoria.

di Luca Ferrari

Il 23 maggio 1992 il giudice Giovanni Falcone venne brutalmente ammazzato dalla mafia di Cosa Nostra. Neanche due mesi più tardi sarebbe toccata la stessa tragica sorte al collega Paolo Borsellino. Puntuale anche quest'anno si sprecano elogi delle autorità da tutte le latitudini. Paolo e Giovanni non possono più fare male a nessuno. Non hanno più segreti da condividere. Loro sono morti, e allora si può glorificarli. Diamo pure voce al passato, perché tanto quello non cambia. L'importante è che il presente taccia e non reagisca. Mai

SOLO CAPACI DI ONORARE IL PASSATO

c'è una notte per ciascuno
di noi... noi non lo volevamo sapere
ma ci avevano avvertiti

non racconterò la storia
che loro vi tramanderanno
… non racconterò mai
la fine che vi hanno fatto fare
senza fare della mia braccia
un punto di domanda
al veleno più letale..

sono stati abbandonati
e oggi quegli stessi vi rimpiangono...

gronda il sangue del risveglio,
ma tanto è comunque
lontano... loro sono morti
e dunque adesso possiamo
onorarli... non racconteranno più al mondo
i vostri segreti
e dunque possiamo tramandare contriti
che loro li avevano scoperti...

non me ne faccio niente
dell'immortalità
se poi i miei nipoti saranno schiavi
come lo sono ancora io...

non me ne faccio niente
delle celebrazioni
se poi le ossa delle maschere rosee
smerciano libertà dorate
come il più nobile
dei sentimenti da applaudire

non vi possono più colpire
e allora innalziamo
un altro simulacro... se adesso
fossero in mezzo a noi
sareste ancora così sorridenti?

siamo solo CAPACI
di uccidere, giurare che non accadrà più
e onorare il silenzio... buona agonia,
mio ignobile presente
(Venezia, 23 Maggio '17)

Working Class Hero, by Green Day

i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

Il nuovo corso di Live on Two Hands

la nuova dicitura di Live on Two Hands
Ho creato Live on Two Hands pensando di scrivere di musica ma quel mondo per me è finito con la Seattle degli anni '90. Lascerò allora che la musica ispiri le mie future parole.

di Luca Ferrari

La grande epopea del rock è finita. Oggi restano i ricordi, gli album e migliaia di poesie ancora da scrivere ispirate da quelle canzoni. Ecco a voi, il nuovo corso di Live on Two Hands. Aprii questo blog-magazine pensando che avrei scritto di musica ma complice i tanti impegni e l'ormai scarso interesse verso le nuove proposte di questa espressione artistica, mi ha fatto capire che era tempo di chiudere o cambiare.

Se avrò l'occasione, ne scriverò ancora. Il resto saranno poesie, la mia forma primordiale di scrittura. Poesie che scriverò con sottofondi musicali di cui vi farò partecipe. E comincerò oggi stesso, perché il 23 maggio da quel lontano e tragico 1992 non potrà mai essere un giorno normale per un italiano. Un giorno che sancì che una guerra era in corso (e lo è tutt'ora). Un giorno che brucia ancora nel sangue di ciascuno di noi. Un giorno su cui Live on Two Hands dirà la sua.

venerdì 19 maggio 2017

Chris Cornell, il taccuino del vento

Chris Cornell - due amici al concerto dei Soundgarden
I testi. La musica. La voce. Chris Cornell (1964-2017) se n'è andato. Prendo in mano ogni parola. La tua ispirazione sarà sempre al nostro fianco.

di Luca Ferrari

Chris Cornell, il cantante dei Soundgarden è morto. Si è tolto la vita il 17 maggio 2017 a Detroit. Non c'è nulla da aggiungere. Hanno scritto già in troppi. Non sono qui per dirvi cose che sapete già. Sono qua per fare ciò che ho sempre fatto. Scrivere a modo mio. Li dove è passato Chris direttamente (Soundgarden, Temple of the Dog, Audioslave) e indirettamente (Mother Love Bone, Pearl Jam), c'è un'indelebile ispirazione condita anche da ricordi condivisi, come il live dei Soundgarden a Milano, il 3 giugno 2012.

Difficile oggi non ripensare a quel giorno. Neanche tre settimane dopo sarei partito per la sua Seattle e anche se in città la presenza di quelle band che hanno fatto la Storia non è proprio palpabile, per chi l'ha vissuta dentro, eccome se c'è. Delle mie pubblicazioni, Sfregi (2009, La Versiliana Editrice) è ciò che meglio mi descrive e mi racconta. Un viaggio poetico dal 1994 fino al 2008. Lì in mezzo c'è anche lui, Chris Cornell e le sue indelebili canzoni.

Ancora prima ci furono camminate solitarie senza fine e perfino un strano destino dall'amichevole proseguo. C'è stato tutto. La furia di una posa mai concessa. La delicatezza di un capo dolcemente rimandato. Un ritorno immaginato. Siamo ancora seduti lontani nelle nostre tavole rotonde. Siamo tutti vicini a fare i medesimi pensieri. Siamo tutti sconvolti eppure mai stati così decisi nel credere alle nostre voci. Il passato è in dialogo con le stelle. Il presente imperituro si chiama:

IL TACCUINO DEL VENTO

Hai smesso di piangere
o è solo l'ennesima invasione di parole
dimenticate
sui binari del nostro primo incontro...

non ho mai creduto alle coincidenze
del silenzio/... quello
che ho vissuto dentro il sole
si è sempre rifatto
nelle ombre trascurate dalla più amichevole
pioggia

c'è un potere bambino
a cui affidare le proprie leccornie
di un domani
che ci ha tenuti uniti per così
tanto tempo...

dicano che le scogliere
appartengano ai poeti
e le conchiglie ai sognatori,
... io ci ho sempre visto
un disegno aperto
dentro cui riportare un cestino
pieno di suoni e macchie

non ero sicuro
di quello che mi stava accadendo
dentro
ma è anche insieme a te
che trovai il coraggio
d'ignorare ciò che continuavo a sentire
tutt'intorno a me

spiegazioni necessarie,
ricorrenze sopraggiunte... le
mani chiedono
uno spazio per nascondere
la loro anima... possiamo
comunque alzarci
e riprendere il cammino... possiamo
comunque sentire
il vento gelido del mattino
che si quieta
dopo il tramonto del fuoco
e un'alba
del cui temp(i) sabbioso
ci resta solo l'immortalità...
                                             (Venezia, 19 Maggio '17)

Il video dei Rusty Cage, dei Soundgarden

Sfregi - poesie imbevute di Soundgarden © La Versiliana Editrice
Soundgarden - da sx: Matt Cameron, Ben Shepherd, Chris Cornell e Kim Thayil

domenica 26 marzo 2017

Emozioni... in the middle of YOUR heartbeat

La musica degli Helloween "battezza" Venezia
Il mare è taciturno. Sono confuso ed emozionato. Una nuova luce si fa strada dentro il mio cuore. Risuona In the Middle of a Heartbeat (Helloween). Avanzo ogni giorno verso di te.

di Luca Ferrari

Il sogno più incredibile adesso è la realtà più dolce. Un attimo dopo ha iniziato a risuonare lei, In the Middle of a Heartbeat con il cuore, mai stato così grande. Al microfono della metal band tedesca Helloween, Andi Deris, che ha preso il posto di Michael Kiske. Primo album col nuovo cantante, è Master of the Rings (1994). La prima volta che ho ascoltato questo disco era un mondo lontano dove l'inchiostro graffiava pagine affilate, sfilando l'ennesimo dardo senza curarsi del sanguinoso destino perduto. Oggi è un giorno diverso. Oggi sto ascoltando la dolce-malinconica melodia di In the Middle of a Heartbeat. La canzone risuona nell'amore di una notte appena svezzata dal ruggito più soave. Oggi, in questo preciso istante, placide onde sonoro-lagunari hanno raccolto le mie lacrime carnalmente terrene e le hanno plasmate in un sentimento familiarmente eterno.

SINFONIA NEONATALE DI SUSSURRI 

tremo a spiegarmi... regolo
le sensazioni di qualche cielo
senza generalità
né sottosuoli da riempire
con imprese altrui...
dalla notte alla notte,
non parlerei
d'infinito questa volta
ma di costante alba
fieri dell'assenza dei vocaboli
... forse sono ancora
al centro di quella strada
e di sicuro
da quel giorno e molti altri prima
ho lasciato
che il mondo facesse a brandelli
ciò che ho avuto dentro... ma,
ma come non potrei pensare
che in questo istante
non abbia avuto sentimentalmente ragione?...ma
da questo momento in poi
come potrei pensare
a un sentimento differente?
Le storie sulle impronte della neve
sono mondi
che un giorno scoprirai... la storia
di quante miglia
ci siano volute
perché potessi già ripensare
a te, adesso
è un destino impersonificato
nel singolo respiro quotidiano..
... e anche
senza mettere di mezzo
tabelline, scale mobili
o qualche altra disavventura
d'impostazione, eccomi... ho
le braccia interamente
aperte... potrò anche dormire solo
molte altre notti... sotto
quella finestra
ho piantato le fondamenta
della mia nuova anima...
                                      (ascoltando In The Middle of a Heartbeat by Helloween 
                                       Venezia, 26 Marzo 2017)

In the Middle of A Heartbeat, by Helloween

giovedì 7 maggio 2015

New Age Club, il ritorno dei Mudhoney

Mudhoney in arivo in Italia
Venerdì 15 maggio il genuino garage rock dei Mudhoney sarà on stage al New Age Club di Roncade (Tv), prima tappa delle tre date italiane.

di Luca Ferrari

Ghigni eternamente sarcastici. Suoni garage. Infusi di punk e sonorità psycho-blues. Una voce inconfondibile. Una band, come le celebri colleghe di Seattle, allergica alle mode. Per la terza volta in pochi anni i Mudhoney suonano live in Italia a cominciare dallo storico New Age Club di Roncade (Tv), teatro di un'indimenticabile performance nell'autunno 2009.

Nati dalle ceneri dei Green River (la cui altra metà confluì nei Mother Love Bone prima e Pearl Jam poi), i Mudhoney hanno pubblicato nove album nel corso della loro carriera, tornando inoltre a partire dal 2002 a incidere per quella storica etichetta, la Sub Pop, che non solo li lanciò agli esordì ma contribuì in modo indelebile a far conoscere il sound di Seattle esploso verso la fine degli anni Ottanta.

Membri della band, com 'è tipico di quei gruppo amici prima ancora che colleghi di stage, praticamente sempre gli stessi. A partire dagli esordi fino a oggi, il microfono e la seconda chitarra sono sempre stati occupati da Mark Arm, la chitarra solista da Steve Turner e la batteria da Dan Peters. Il posto al basso lasciato vacante da Matt Lukin nel 2001 è stato preso da Guy Maddison.

Touch Me I'm Sick, Hate the Police, Sweet Young Thing (Ain't Sweet No More), Burn It Clean, You Got It (Keep It Outta My Face), la cover SonicYouthiana Halloween, Suck You Dry, Blinding Sun, Judgement Rage Retribution And Thyme, Today is a Good Day, Where is the Future, The Lukcy Ones, sono alcune delle tante canzoni che puntuali i Mudhoney propongono e il pubblico, non solo chi i Nighties li ha vissuti dal vivo, risponde scandendo e agitandosi.

L'ultimo lavoro si chiama Vanishing Point (2013), fatto di 10 canzoni. “Un album ricco si del fervore del passato (indelebile dentro le proprie corde e ugole, ndr) ma allo stesso tempo un disco in cui la band racconta la propria esperienza/esistenza tra saggezza e humour. Un album che è una specie di bomba rock ‘n’ roll moderna di cui tutti abbiamo bisogno”.

I rockers di Seattle suoneranno dal vivo venerdì 15 maggio al New Age Club di Roncade (Biglietto in prevendita: 20 + 3 d.p euro biglietto in serata: 25 euro), sabato 16 maggio al Bronson di Madonna dell’Albero (Ra) e domenica 17 maggio al Bloom di Mezzago (Mb), per poi proseguire il tour europeo in Svizzera, Francia, Germania, Inghilterra, Scozia, Turchia, Serbia, Grecia, Islanda e quindi far ritorno negli States per altre date.

 Mudhoney live in cima allo Space Needle (Seattle)

Mudhoney - (da sx) Dan Peters, Steve Turner, Mark Arm e Guy Maddison

mercoledì 1 aprile 2015

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venerdì 19 dicembre 2014

Vitalogy, il mio testamento dei Pearl Jam

testo ricopiato e (sx) la copertina di Vitalogy (Pearl Jam)
Consapevolezza, verità e cicatrici. Nella notte del 23 dicembre 1994 ascoltai per la prima volta Vitalogy, il terzo album della rock band americana Pearl Jam.

di Luca Ferrari

Precipitare, si. Perché non rimaneva altro da fare. È così che doveva essere. Sentendo gli spigoli di qualsiasi domanda togliere la vita a tutte quelle maschere capaci di rendere ogni porta una voce taciuta e vigliaccamente abbandonata. Non più. Non sarebbe più accaduto. Il passeggero chiedeva continuità. C'erano stati prima In Utero e l'Unplugged postumo dei Nirvana. Adesso era il momento di una nuova e definitiva rottura. Di tutto. Con tutto. Adesso era il momento di scrivere un impensabile presente. Da quel giorno iniziai ad ascoltare Vitalogy (1994), il terzo album dei Pearl Jam.

Erano entrati nella mia vita. Non da molto, ma stavano già facendo breccia e parecchio.  Più che Once o Alive,  le canzoni Jeremy, Garden e Black erano sempre più presenti nei mix di cassette dominate all'epoca da Nirvana, Iron Maiden e Guns ‘n’ Roses. Adesso era arrivato il momento di comperarsi “in quasi diretta” il loro nuovo album. Il terzo, Vitalogy (1994). Il primo dell'era post-Cobain e con Seattle già nello specchietto retrovisore dei trend giovanili orientati verso il Brit pop.

Faceva freddo ed io arrivai in campo S. Barnaba per il mio primo acquisto “PearlJammiano” in cd. Passato rapidamente da compact a cassetta, iniziai l'ascolto. Non ci capii nulla. Dovetti riascoltarlo. La notte intanto si avvicinava. I sogni furono esiliati. La minaccia di muri o palizzate venne immediatamente spazzata via con la furia di un addio senza nome. Il sonno fu dolorosamente inumidito da un'ondata di carta già troppo a suo agio con l'oscurità. Vomitare tutta la verità, non mi restava altro da fare. Ma per quanto sarei potuto andare avanti così? Non avrei immaginato di poterlo (saper) fare così a lungo.

Eccomi, sono solo. In compagnia di una premonizione su memoria che rimarrà stampata dentro. La strada ormai l'ho abbandonata. Sono alla deriva cibandomi del sale ingurgitato. Non ho pensieri di alcuna fede. Mi restano maledizioni. Non ho nulla a che vedere con qualsiasi forma di destino. Sto solo finalmente prendendo confidenza con le mie cicatrici. Ecco si, stavo finalmente prendendo confidenza con le mie cicatrici.

Non ero  mai stato a mio agio con i fiori dei giardini e annesse recinzioni. Adesso, banalmente, avrò per tutti una ragione per avvicinarmici senza epidermide né scarpe . Le grinfie dell'obbedienza mi avevano rallentato il cammino. L’aborto di certe emozioni aveva lasciato le mie mani a recidere-ridere-regredire dalla schiavitù. L'abito del proprio sangue non lacrima mai senza prima essere sbocciato. Non ha importanza se oggi dormirò con la coperta. Domani comunque ne dovrò fare a meno.

Altari disertati. Colorazioni scambiate per supporti alla nostalgia. Anche se avessi voluto capire per cosa ero nato, adesso non avrei più potuto sedermi. E tutti ancora a guardare dall'altra parte. E tutti ancora a fingere di somigliarsi l'un l'altro/a. Mi sono appena arreso e voi avete tutti vinto, ma com'è che non riuscite più a rinfacciarmelo? Ho ancora un po' di tempo per ambire alla vicinanza di qualcuno o forse passerò in rassegna le foto del soffitto fino a lasciarmi attraversare dagli stessi vestiti dell'oggi.

Sono le 23.20 quando esangue arrivo a Immortality. A casa c'è silenzio. Tutti dormono. Nessun rumore più. Nessun domani da camminatore autorizzato. Tutto è dentro e lì ci resterà. Le ruote invisibili nascoste dietro le stelle avanzano ancora per qualche minuto nell’idea irrealistico-amichevole di piccoli orli salvifici. Il fango è incredulo, e per vedere scarabocchi bruciacchiati senza più tenaglie ci sarà ancora aspettare. Ma attendere cosa? Se avessi voluto dire al mondo qualcosa, adesso sarebbe troppo tardi per tirarsi indietro.

Whipping (Vitalogy - Pearl Jam)

il booklet di Vitalogy (Pearl Jam)
parte di Vitalogy ricopiato a penna
il booklet di Vitalogy (Pearl Jam)

domenica 23 novembre 2014

Metallica, dolorosamente sentimentale

James Hetfield, cantante-chitarrista dei Metallica
Schizza ammutolito l'inchiostro in una decadente notte di natale, inspirando lo scivoloso baluardo dei Metallica. A quel tempo era tutto ancora poeticamente troppo difficile.

di Luca Ferrari

La maglietta di Ride the Lightning comprata al mercatino di Bologna. L’intero cd di …And Justice For All ascoltato in stereo in giardino. Il concerto di San Diego condiviso in vhs con due amici. Il vagabondare solitario insieme a Mama said. La rabbia umana post Turn the Page. Le lacrime immediate sulle lyrics di Fade to Black lette in treno regionale Venezia-Padova con una signora che mi guardò allibita. La ricerca libertina in Wherever I May Roam. Ricordo dopo ricordo, è un’emersione veloce. Incessante. Reminiscenze conficcate nella musica dei Metallica. C’è qualcosa di più.

Anno 1995. Una vita (quella personale) era violentemente cambiata. Un amico si era da poco trasferito a Londra e ora era tornato per la prima volta dall’Inghilterra, arrivando direttamente dal Monsters of Rock con ancora indosso la t-shirt nera comprata al Donington Park, sede del festival i cui headliner quell'anno erano proprio i quattro di Frisco. Fu l’inizio vero. Dirompente. Memorabile. Il suo racconto mi spalancò le porte della loro musica.

Il presente intanto era cambiato in modo sempre più tetro. Dentro di me non c’era più posto per l’infanzia e le sue docili certezze (o presunte tali). Alla vigilia di natale, subito dopo mezzanotte, MTV parte con lo speciale sul Monster of Rock di pochi mesi prima. Vedo per la prima volta i Four Horsemen più o meno in diretta. James Hetfield non ha la solita chioma ma una lunga coda biondastra con i fianchi della testa rasati. Jason Newsted ha i capelli corti. Vanessa Warwick intervista Lars Ulrich. Dei tre spezzoni di canzoni mostrate ricordo con esattezza Harvester of Sorrow.

Resto ancora alzato, lontano dalla mia famiglia. Lontano da tutto. A distanza di non-sicurezza da qualsiasi affogante sentimento. Guardo quell’Inghilterra così lontana dai miei fragili 19 anni. Mi addormento senza alcuna fiducia nei sogni con ancora indosso un’adrenalina figlia di pochi minuti “metallicanti”, unico momentaneo baluardo contro un vuoto disarmante. Stringo il walkman. Non c'è la neve. È la notte di natale? Non più. Mi sento davvero solo nel mondo. È tutto troppo profondo. È tutto troppo dolorosamente sentimentale.

Harvester of Sorrow, live Metallica - Donington '95

un vecchio poster dei Metallica, da sx: James Hetfield, Jason Newsted e Kirk Hammet
...ascoltando i Metallica in solitudine sotto la pioggia davanti al mare d'autunno

venerdì 22 agosto 2014

Neil Young e il concerto mancato

il rocker canadese Neil Young
Da quasi vent'anni ascolto il rocker canadese Neil Young ma ancora oggi non sono riuscito ad assistere a un suo concerto dal vivo.

di Luca Ferrari

Viandante blues delle sette note. Poeta solitario dall'ispirazione sociale. Voce melodico-gracchiante. Chitarra distorta. Acustica. Classica. Elettrica. Neil Young, canadese classe '45 di Toronto. Scorpione di novembre. Ancora in giro per il mondo a suonare. Infaticabile armonica in locomozione d'alba. Neil Young, il rocker dalle generazioni infinite. Neil Young, l'ultimo dei grandi musicisti che sto ancora aspettando di vedere dal vivo.

Era l'estate del 1995 quando in un esausto luglio senza futuro feci la sua conoscenza. Su quell'unica rivista musicale che allora degnassi della mia lettura, Hard!, venne recensito l'album Mirror Ball. Un disco questo cantato e suonato dal musicista canadese insieme a una band che da un anno esatto avevo cominciato ad ascoltare con una certa intensità, i Pearl Jam. Per i miei allora ingenui diciannove anni fu naturale dirmi: “Ehi, se – questo tizio – suona con i PJ, deve essere un grande”. Così mi comprai l'album ed fu l'inizio di questa storia.

Passano pochi mesi e nei mix di cassette che realizzo con cadenza stagionale o meno, la presenza di Young guadagna sempre più minuti. Nel 1996 scopro due dei suoi album solisti, Harvest (1972) e Harvest Moon (1992). È  infatuazione totale. Pochi mesi dopo mi compro appena uscito Broken Arrow (1996), suonato con i Crazy Horse. Atmosfera solitaria e poetica. Fin dal primo ascolto sembra di viaggiare a cavallo verso l'ignoto insieme ai nativi americani. Non cerco altro. Scrivere per conto mio con qualche minimo bagliore nell'oscurità. La chitarra di Neil è tutto questo, ed è insieme a me. Il 12 novembre 1996 sono a Roma per la prima volta ad assistere a un concerto dei Pearl Jam dal vivo. La band chiude lo show con la “neilyounghiana” Rockin' in a Free World.

Nuovo poderoso sussulto nel febbraio 1997 quando con minime conoscenze cinematografiche mi avvio in solitaria a vedere Dead man, di Jim Jarmusch. Il nome del regista non mi dice nulla. Il fatto che ci sia Jonny “mani di forbice” Depp non è sinonimo di nulla. La sola ragione per cui m'immergo nell'atmosfera poetico-onirico della suddetta pellicola è lui, Neil Young. Tutta la colonna sonora infatti è affidata alla sua anima graffiante. Esco dalla proiezione quasi scioccato. A oggi, dopo migliaia di lungometraggi, cinema e festival consumati, Dead man è ancora uno dei migliori prodotti del grande schermo cui abbia mai prestato occhio e sentimenti.

Il tempo ormai è maturo per andare a un suo concerto e inizio a tenere d'occhio i suoi "spostamenti". In quello stesso anno pareva sarebbe venuto ma poi il tour venne annullato a causa di un incidente domestico. Passa qualche mese e la coppia Neil & Jim fa tappa a Venezia, alla Mostra del Cinema. A ridosso del mio primo viaggio a Londra, Jim Jarmusch presenta il documentario The Year of the Horse, in occasione del trentennale della carriera del musicista canadese. Interviste datate 1967 e live contemporanei insieme ai Crazy Horse. Una seconda scarica possente di adrenalina che culminerà nella capitale inglese con l'acquisto del doppio cd live dall'omonimo titolo del documentario.

Il 1998 è un anno a dir poco sfiancante. Solo nel dicembre qualcosa si rimargina e quando l'ultimo dell'anno mi avvio con poche briciole di speranza a celebrare una nuova era tra dubbi e ribellioni interiori, in un triplice acquisto musicale c'è anche lui, ancora insieme ai Crazy Horse, con l'album Ragged Glory (1990). Nell'iniziale "Country Home" ritrovo scarpe e strade.

Nel 2000 esce il mio primo libro di poesie, Il magazzino dei mondi (Edizioni Passaporto). Aldilà di quanto celato, vi sono solo due espliciti riferimenti musicali, primo dei quali al rocker canadese. Nella terza poesia, Tracce di raccolti psichedelici, scritta il 3 dicembre 1998 in treno: “Sogno ancora di cantare di fronte a delle pecore, le tue spalle diventeranno quattro… anzi sei… Potrei diventare un eroe, diventerei più famoso di Neil Young, ma il cielo… il cielo non mi concede nuvole per restare…e azzurro per crederti”.

Gli anni passano. Macino concerti (e nel frattempo anche articoli musicali), ma con lui ancora niente. Neil Young continua a produrre e suonare ma non ci si riesce proprio a incrociare. All'Heinken Jammin Festival veneziano del 2010 ritrovo i Pearl Jam e ancora una volta chiudono lo show con "Rockin' in a Free World". La stessa canzone poi sarà eseguita come penultima nel recente show triestino. Una piccola consolazione. Almeno in tre occasioni ho sentito una sua canzone. Però non mi basta.

Piccolo passo indietro. Nel 2012 varco l'oceano per andare a trovare degli amici a Seattle, a poca distanza dal Canada. Quella terra (sognata molto prima di incontrare la musica di NY) la raggiungo in autobus attraversando il confine. Il walkman ormai non ce l'ho più, sostituito da un blando mp3. Per quel viaggio Neil non può non essere con me. Gli ultimi sprazzi statunitensi sostituiti poi da quelli canadesi della British Columbia vengono salutati dalla sua musica. E la penna si sottomette criptica ma felice:

“connotati  in bianco e nero
da celebrazione anonima/ …vale un appunto, è 
così dannatamente facile ricordare/... gli spartiti
sono tornati in mano ai suonatori/,
le fermate senza una mappa
sono le strade che ho interrotto
con il racconto incappucciato
della mia storia/ … le facce segnate dalla solitudine
di un momento
non sono più state capaci
di usare le proprie mani
per fare le trecce al proprio albero di natale”

                                 (bus Seattle/Vancouver, listening Neil Young, 11.50, 28 Giugno ’12)

L'instancabile Neil continua a fare show ma mai con me davanti. L'attesa (maledizione) sembrava finita l'anno passato. Nell'estate 2013 a Lucca ero pronto per fare la sua conoscenza. La precarietà però mi sferra un micidiale montante. Perdo il lavoro due settimane prima del concerto e l'entusiasmo finisce sotto zero. No, non posso accettare di vederlo in questo stato. Tutto è già pesante. Rinunciare anche al suo live getta benzina su di un fuoco in un crescendo di perdita e totale abbandono.

Arriva il 2014. Un solo concerto di Neil coi Crazy Horse in Italia, a Barolo (Cn). Troppo lontano per il sottoscritto, per di più senza mezzi per arrivarci e troppi sodi per rendere il tutto possibile. Incasso un'altra delusione. Mentre l'indomani vedo il servizio in televisione inerente al suddetto show, penso tra me se mai ritornerà in Europa, promettendomi se necessario di andare questa volta anche all'estero. O chissà, meglio ancora, se mai dovessi io far ritorno in Canada, nella parte orientale questa volta, assistere a un live nella sua terra d'origine. Almeno una volta nella mia vita voglio provare l'emozione di ascoltare Neil Young e la sua musica dal vivo.

Downtown (Mirror ball), by Neil Young feat. Pearl Jam

il rocker canadese Neil Young
Neil Young ed Eddie Vedder (Pearl Jam)
HARD!, luglio 1995 - la recensione dell'album Mirror Ball
la locandina del film Dead Man, e Neil Young
il musicista Neil Young

martedì 15 luglio 2014

Elisa, e scopro cos'è l'anima

Elisa in concert © Zed Live
L'anima è avvisata, venerdì 25 luglio Elisa in concert alla VII edizione dell'Hydrogen Festival. Special guest, Francesco Renga.

di Luca Ferrari

“Un bacio è come il vento/ Quando arriva piano però muove tutto quanto/ E un'anima forte che sa stare sola/ Quando ti cerca è soltanto perché lei ti vuole ancora/ E se ti cerca è soltanto perché/ L'Anima osa/... È  lei che si perde/ Poi si ritrova”. Dalla profondità della sua anima rock-poetica, la cantautrice friulana Elisa è pronta per una nuova performance live in terra veneta.

Da Monfalcone ai palchi di tutta Italia, Europa e Nord America. Dagli esordi interamente in lingua anglosassone (Pipes and Flower, 1997), passando per la vittoria al Festival di San Remo nel 2001 con Luce (tramonti a nord-est), fino all'affermazione come una delle artiste più solide e genuine del panorama nazionale. Venerdì 25 luglio 2014, l'artista si esibirà presso l'Anfiteatro Camerini di Piazzola sul Brenta (Pd), evento di chiusura della settima edizione dell'Hydrogen Festival. Special guest della serata, l'ex-Timoria Francesco Renga.

Difficile ascoltare Elisa senza che la mano non prenda la via della penna, sferzata da piccole consonanti di prossima rivelazione... “Ascoltando un’amica, sapresti mai dire che cos’è un ponte di carbone?… Vale lo stesso per la corrente di un paio di pensieri appostati sul primo ramo di un albero?/... Qualcosa che oggi non avrei difficoltà a tradurre in un'emozione molto più personale e cadenzata" l.f

Oltre alle già note e celebri canzoni, per lo show dell'Hydrogen Festival sarà dato ampio spazio sonoro all'ultimo lavoro L'anima vola (2013, Sugar Music), primo disco con i testi tutti scritti in italiano. A partire da Heart (2006), Elisa ha sempre arricchito i propri album con collaborazioni a due voci e/o canzoni scritte appositamente per lei da altri artisti.

Non fa eccezione "L'anima vola" delle cui 11 tracce fanno parte E scopro cos'è la felicità, di e con Tiziano Ferro; A modo tuo, di Luciano Ligabue; una nuova versione di Ancora qui, la cui musica è stata composta dal maestro Ennio Morricone (canzone che fa parte della colonna sonora del film "Django Unchained", 2012, di Quentin Tarantino) e ultima track, Ecco che, le cui lyrics sono state scritte insieme al cantante dei Negramaro, Giuliano Sangiorgi.

Piazzola sul Brenta, venerdì 27 luglio. Elisa in concerto... “... Chine pensierose avvolgono lettere Picassiane/… Un solo dettaglio per capire come il tratteggio umano si possa materializzare tra arcobaleni febbricitanti e rustiche anticamere di stelle/... Pendii sempre e solo in punta di piedi/ Le convinzioni sono sopravvissute alla rivelazione più promettente…” l.f

L'anima vola, performance by Elisa

Elisa in concert © Zed Live
Elisa in concert © Zed Live
Francesco Renga ed Elisa in concerto © Zed Live
Elisa in concert © Zed Live
Elisa in concert © Zed Live

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