Per la finale di Euro 2020 tra Inghilterra e Italia, i tifosi di Sua Maestà dovrebbero accogliere i giocatori scandendo una "rivisitata" Run to the Hills degli Iron Maiden.
Ma quale God Save the Queen, stasera i tifosi inglesi insieme ai loro giocatori dovrebbero accogliere gli Azzurri cantando a squarciagola la leggendaria Run to the Hills, degli Iron Maiden, ovviamente con qualche piccola modifica. Sperando che Sua Maestà Steve Harris, il bassista-fondatore della band, il cantante Bruce Dickinson, il batterista Nick McBrain, i chitarristi Dave Murray, Janick Gers e Adrian Smith", non se la prendano. E allora tutti insieme, "Run to the "Wins":
"Italians came across the sea They brought us fouls and injury they hissed our team, they want our need they took our game for their own lead We face them hard, we fight them well With soccer ball, we gave them hell [...]"..
Ok, dai. Adesso ascoltiamoci un'adrenalinica versione live con il testo originale, in attesa di rivederli presto dal vivo in Italia il 7 luglio 2022 a Bologna.
Le Spice Girls nel video (How Does It Feel to Be) On Top of the World
Nella logorante estate 1998 la serenità era un'utopia fino a quando non arrivarono le Spice Girls e altre band inglesi a cantare insieme (How Does It Feel to Be) On Top of the World.
Echo and the Bunnymen, Ocean ColourScene, Space e le travolgenti Spice Girls, insieme nella canzone (How Does It Feel to Be) On Top of the World. Quattro band unite per tifare e sostenere la nazionale di calcio dell'Inghilterra alle soglie del Mondiale 1998. Quella era la squadra della generazione d'oro, che nonostante stelle di primissima grandezza, non andò oltre gli ottavi di finale, e liminati dall'Argentina nonostante il gol capolavoro del diciottenne Michael Owen. Quel singolo però, fotografa un periodo d'oro dove l'Europa guardava a Londra e l'Inghilterra
Serenità. Spensieratezza. Allegria. Tutte qualità che a 22 anni sarebbe stato bello possedere ma non era proprio così, anzi. Il 1998 fu l'anno horribilis che spazzò via quanto di buono stavo tentando faticosamente di ricostruire. Eppure, in quella estate così insopportabilmente calda e martoriata, mitigata (in minima parte) dalla costante attività del Servizio Civile, quelle cinque ragazzine britanniche così lontane dai miei canoni musicali, riuscirono a regalarmi qualche minuto di leggerezza, sognando e immaginando di come ci si dovesse sentire a essere sul tetto del mondo, insieme ad amici
Il clima che si respira nel video è di un'autentica festa, con tutti i musicisti presenti che giocano con i veri calciatori dell'epoca (tra cui Shearer, Beckham, Fowler, Seaman), passando da essere bambini agli attuali adulti. Scena cult, la baby Spice Emma Bunton che come un coniglietto salta fuori da una culla prima piccolina, e poi Spice con le zeppe. La voce di Melanie C è sempre quella che spacca, ma sono tutte le band a brillare/brindare, come dei bimbi al parco. Scherzano, corrono e giocano, e alla fine si abbracciano augurando alla loro Inghilterra di diventare campione del mondo.
UNA VOCE INSIEME
Che ne è stata di quella resistenza e i colori delle panchine? Guardate quel parco giochi, non ci sono più promesse e la pioggia è solo un tiro al bersaglio per progettisti senza intraprendenza...
Ho nascosto le mie miniere, ho illuminato le albe con l’acqua fino alla mia gola… era tutto così fiabescamente abbandonato… Le unghie spettinate e nessuna caramella al latte con cui credere nella consegna di una lettera dal domani
Vuoi pendermi per le mani? Vorresti salire da qualche parte né libri di scorta alle tavolate condivise? Potrei essere ancora io l’inizio della mia storia... Potremmo essere tutti insieme...
Ci crederesti a quello che ti sto raccontando? Vuoi concedermi la tua meraviglia per quello che sta roteando sopra zattere con le nostre abbreviazioni
Vuoi dirmi che un giorno ci rincontreremo? Non voglio le tue promesse, solo le strisce pedonali delle tue salite... I sorrisi delle mie pagine nascoste adesso sono diari aperti dove c'è posto anche per voi (Venezia, 18 Giugno ’21)
England United - (How Does It Feel to Be) On Top of the World
Mel B (Spice Girls) nel video (How Does It Feel to Be) On Top of the World
Ian McCulloch (Echo & the Bunnymen) nel videoclip
Il portiere David Seaman nel video (How Does It Feel to Be) On Top of the World
Emma Bunton (Spice Girls) nel video (How Does It Feel to Be) On Top of the World
Tagliente. Beffarda. Oscuramente solitaria. È Cut You In (Boogy Depot, 1998) di Jerry Cantrell (Alice in Chains). "[...] Ho lasciato i miei pensieri in folle/ Che altro potevo fare?".
C'è chi non segue le mode. C'è chi va per la sua strada e per quanto solitaria possa essere, se ne frega e va sparato secondo le proprie regole. Lui è così, Jerry Cantrell. Il 31 marzo 1998 il chitarrista e seconda voce degli Alice in Chains pubblicoò il suo primo album solista: Boggy Depot. Un disco ruvido e grezzo. Ad accompagnarlo ai tamburi, sempre lui, Sean Kinney, batterista AiC, mentre al basso si alternano Mike Inez (AiC), e due maestri delle quattro corde: Les Claypool, bassista-cantante degli indefinibili Primus, e il possente Rex Brown, dei trash-metal Pantera, qui presente in cinque tracce.
Il 1998 è un anno difficile per il rock e ancor di più per la scena musicale di Seattle. Il Brit pop dilaga. L'impegno sociale soccombe alle regole edonistico-commerciali di MTV. A febbraio è uscito Yield, quinto album dei Pearl Jam ma la band sembra fragile e come un tempo (o almeno così sembra, ndr). Sembrano già dei dinosauri. I Soundgarden si sono sciolti. I Nirvana, purtroppo e ovviamente, vivono di sole nostalgie. A dispetto della superba performance nel concerto unplugged, Layne Staley è sempre più assente. In attesa che si compia un nuovo corso (e destino) degli Alice in Chains, il chitarrista-cantante Jerry Cantrell esce con il suo primo album solista: Boggy Depot.
Il video esce subito dai ranghi del politically correct, con un Jerry dalla sempre chioma lunghissima, che ottenuto un passaggio, alla prima occasione sgomma via lasciando il padrone dell'auto appiedato, e per di più, sceso dal mezzo per soccorrere qualcuno in pericolo. Si alternano personaggi ai margini tra inseguimenti e giovincelli di provincia. Lì nel mezzo, un uomo che non fa domande e non dice niente di sé. Guida, accelera e semina la polizia. Non c'è una destinazione. Non c'è alcun domani. C'è solo un presente fatto di incertezze e scontri con l'oscurità in costante avvicinamento. Questa è Cut You In di Jerry Cantrell. E queste sono le mie poetiche ripercussioni...
RITAGLI DI IDENTITÀ AFFOGANTE
non mi sono spiegato, è stato un errore … Me ne sono andato con le parole ma non è mai stato abbastanza
Non mi sono fermato e ve ne siete approfittati… ho lasciato i miei pensieri in folle, e che altro avrei dovuto fare?
Scorze di roccia dattilografate sulle mie albe meno rigeneranti, scelte plebeo-aristocratiche nel riverbero dell’ennesimo miglio dimenticato
Sono assonnato e ancora molto arrabbiato, perché allora non dovreste sorridermi?
Sulle mie spalle, tutti gli spifferi martoriati delle vette senza conclusioni… In questo giovane ricordo mi riserbo il diritto di impedire qualsiasi nuova conversione della polvere... Sei ancora in ascolto, o le mie emozioni sono già state cancellate dall'altrui scontata esuberanza?
il falso mito del produttivo West mi ha reso collegialmente avverso… Non avevo nessuna voglia di stare insieme a voi, testimone superfluo delle vostre intenzionali girandole più stupidamente giovanili
...Il tramonto mi stava aspettando. Una discarica interiore a cui rivolgermi… Adesso non c’è più nessuno e posso davvero ricominciare (Venezia, 9-10 Giugno ’21)
Rinascita, musica e Rinascimento. Il reggae non è mai stato nelle mie corde ma Iron Lion Zion di Bob Marley (1945-1971) immortalò un cruciale momento della mia vita.
Le redini di una nuova vita cominciavano finalmente a essere tenute con forza tra le mie mani ancora sanguinanti. Ero indomito. Intenzionato. Solo nella notte. In viaggio verso Firenze, alla scoperta dell’arte. Quelli erano gli amichevolmente gloriosi tempi dell’Università Internazionale dell’Arte di Venezia. e così, complice il rigenerante e stimolante clima culturale-umano di quella scuola di restauro, mi organizzai un tour con pernottamento a tu per tu con i tesori del cuore rinascimentale della Toscana. Una volta arrivato alla stazione di Santa Maria Novella, a lanciarmi verso un mondo nuovo non fu qualche spregiudicato classico rock, ma la solare Iron Lion Zion di Bob Marley.
Il reggae non è mai stato nelle mie corde. Troppo spirituale per la mia dimensione. Venezia al contrario, è sempre stata molto legata culturalmente a questa musica e per tutta la mia tarda adolescenza, assistetti impotente a concerti su concerti senza mai esserne emotivamente coinvolto. La sola eccezione f proprio lei, Iron Lion Zion. Le ragioni forse sono da ricercare nel sound più incalzante o forse perché la sentii molto più adrenalinica. O, più semplicemente, in quel momento avevo bisogno di qualcosa di diverso per iniziare una nuova fase della mia vita ed ecco che Bob Marley mi tornò nella memoria.
Iron Lion Zion mi prese per mano, contribuendo in modo dirompente a riscrivere la storia di un'altra canzone, relegata fino a quel momento a ricordi tragicamente inconsolabili. Nella cassetta che mie ero portato per il viaggio, avevo timidamente inserito anche Epic dei Faith No More, registrata artigianalmente dalla televisione, in un'esaltante versione live londinese. E lì, camminando per le contrade senza mappe e con il solo indirizzo del mio alloggio scritto a mano su carta, mi aggiravo con la sola invincibile forza della testa. No potevo sapere che di lì a tre anni ci sarei tornato per iniziare la mia carriere di penna, nel mondo del giornalismo. Ma quella è un'altra storia con altre canzoni. Adesso è tempo di farsi ispirare dalla musica di Bob Marley.
CROCEVIA NELL’INDOMABILE CRINIERA
Ho aspettato la notte Perché potessi sentirmi Una volta di più Senza speranza
Mi sono messo in cammino E ho trovato Una spiegazione di cui nessuno Mi aveva reso partecipe
Sono sceso in strada E la mattina dopo Ero il felice dei pazzi reo-confessi Sotto la luce del sole
Mi sono rialzato con la strada E un attimo dopo Ero già sulla vetta più alta A ribadire storie Di paranoica semplicità
Se questo è un momento, io venni subito dopo
Se questo è il domani, io adesso vi sto guardando tutte insieme
Non sono pronto a nessun peggio… Non sono più pronto ad alcuna sconfortante ricaduta… So per certo che mi faranno indietreggiare… So con istinto figurato che il peso dei troppi ieri fuoriuscirà da qualsiasi parola mi chiederai… Ho sempre saputo anche tutto questo e ancora oggi ho avuto la voglia di lasciare le mie mani libere di intraprendere un nuovo inizio… l’epica umana lasciatela agli scribi, qui ci siamo solo io
James Hetfield (Metallica) canta nel videoclip della canzone Mama Said
James Hetfield (Metallica) si confessa con la sola chitarra, insolitamente acustica. Let my heart go/ Let your son grow. Incalza il blues solitario e sofferto di Mama Said (Load).
di Luca Ferrari "Mama she has taught me well Told me when I was young "Son your life's an open book Don't close it 'fore it's done" "The brightest flame burns quickest" That's what I heard her say A son's heart sowed to mother But I must find my way [...]" Mama Said (Metallica)
Il 1996 fu l'anno della rivoluzione nella musica e nella percezione dei Metallica. Fu l'anno della pubblicazione del sesto album in studio, Load, distante anni luce dall'epoca puramente metal della band di Frisco. Dopo i primi singoli Until It Sleeps e Hero of the Day, fu il turno di Mama Said. Quasi un monologo musicale dedicato dal cantante alla propria madre scomparsa poco tempo prima. Il videoclip riuscì a cogliere al meglio la sensazione di smarrimento e solitudine, con Hetfield impegnato in un viaggio solitario in macchina suonando la chitarra acustica e cantando.
Allora le mie giornate assomigliavano parecchio all'ambientazione umana di Mama Said. Monologhi estenuanti scanditi tra cuffiette, passeggiate infinite e al posto della chitarra, fogli e penna. In quei oltre cinque minuti di musica, il cantante ripercorre il rapporto madre-figlio che potrebbe essere esteso a chiunque: "Left home at an early age/ Of what I heard was wrong/ I never asked forgiveness/ But what is said is done". Immagino desolate-desertiche si susseguono portando il protagonista alla fine di un viaggio che si concluderà con un nuovo inizio.
A dispetto dell'adrenalina sprigionata dai Metallica, molte delle loro canzoni mi hanno spesso messo a contatto con i pensieri più dolorosi di quanto avevo vissuto. Nota dopo nota, cantato dopo cantato, sentimenti irrefrenabili emergono e sprofondano. Accadde con l'apocalittica The Unforgiven, proseguì molti anni dopo con la straziante Turn the Page. In quello scorcio di anni Novanta però, dalle viscere di un album molto diverso dagli originali, Mama Said raccontò la sua storia di dolore e rimpianti. "Let my heart go/ Let your son grow/ Mama, let my heart go/ Or let this heart be still". Adesso è tempo anche per me di mettermi in marcia...
A PAGINE SOLITARIE APERTE
Dove sono le tue mani, adesso che il mondo mi ha sbarrato ogni strada di falsità?
Dove sono le tue risposte adesso che i miei domani si sono fatte albe incandescenti senza luce con cui trovare la strada di casa?
Dove sono le tue stelle adesso che le orche hanno invaso ogni esercizio di sgraziato camino?
Fanfare in scambio di confusione... sabbia avvilita, il cielo così drammaticamente risentito... Un'altra traccia lasciata nel sentiero della notte... Un'altra ombra riconosciuta come portavoce dell'unico ed esistente passato... Un altro sogno misconosciuto e lasciato solo senza copertine?
Dov'è la mia rinascita adesso che me ne sono andato per sempre?
Quali tinte hanno assunto le mie grotte quando le nascondevo ai ricordi mistificati?
Il perdono non menziona alcuna sorta di sbaglio, ma stiamo ancora aspettando il giorno delle parole mai dette … Il cuore intanto è andato avanti, e oggi non sarà diverso da ieri... (Venezia, 8 Maggio '21)
"Amore mio, immenso e puro/Ci penso io a farti avere un futuro". Anna Oxa era una perfetta sconosciuta, poi ascoltai Quando nasce un amore e pochi giorni dopo ero già davanti a lei.
"[...] Ooh, amore mio immenso e puro Ci penso io/ A farti avere un futuro Amore che Sta già chiedendo strada tutta per se
Farò di te/ La mia estensione Farò di te/ Il tempo della ragione Farò di più Farò le cose che vuoi fare anche tu" Quando nasce Un amore, Anna Oxa.
Una foto dove mi sembrava avesse un cilindro. Nulla di più. Nelle mia cultura Anna Oxa era una esimia sconosciuta. Un nome che a stento conoscevo. Mai mi ero avvicinato alla sua musica. Poi un giorno accadde e in un amen mi ritrovai sotto il Duomo di Firenze a crogiolarmi solitario tra le note rassicuranti di Quando nasce un amore (1988). Immedesimazione romantica totale. Era esattamente ciò che stava accadendo. Dentro di me stava nascendo un grandissimo amore. Quello per la Toscana e Firenze, e lei, Anna Oxa, fu l'indiscussa direttrice emotiva di quei primi e indimenticabili mesi.
Il 12 agosto 2002 la cantante di origine albanese fa tappa a San Vittore, frazione del comune di Cesena. La conosco ancora poco, ma ecco arrivare il momento di Quando nasce un amore. Ne vengo totalmente risucchiato. In quell'istante sono davanti alle transenne che mi separano dalla folla, e allora, seduto a terra, mi viene naturale chiudere gli occhi. Anna Oxa è a pochi metri da me. Sento la sua voce. Sento le sue emozioni. Non ho bisogno di dimostrarle che la sto guardando o ascoltando. Lei mi parla, diritta al cuore. Lei mi emoziona con la forza di chi ha scelto di condividere la sua anima. Per pochi intensi minuti, lei mi sussurra quello che diventerà (all'epoca) il mio lontano futuro.
L’ETERNITÀ DEI SENTIMENTI IN MOVIMENTO
Storie lontane di eterni movimenti, dimensioni crucciate, anime di sedotta maternità e una dolce mano decisa che mi disse di restare…
“[…] Ho sperato che tu notassi la magrezza delle mie mani senza che leggende rubassero momento alcuno mentre cercavano uno scoglio da usare come appiglio per la carta che avrei usato per scrivere finalmente il tuo nome […], sono troppo presuntuoso nel sperare tu te ne possa ancora ricordare, o sarebbe più bello raccontarti cosa mi è accaduto in questi ultimi tempi?
Uso ancora la punta delle labbra quando voglio sentirmi puramente immenso, e quel futuro che ispirasti nel mio cuore adesso non è più solo un disegno su cui piangere alla luce del prossimo giorno di pioggia… Sono qui e non sono solo per me, sono qui e mi risveglio sempre insieme a loro,
… Ho iniziato, con più di uno sguardo verso il tuo semplice respiro, e l’amore di cui parlasti fu autentico perché c’ero anche io… avevo gli occhi chiusi, ma quello era solo l'inizio... Tra raccomandazioni, promesse e stelle cadenti Non si finisce mai di rinascere, dentro e fuori di noi... (Venezia, 28 Aprile ’21)
22 aprile, Giornata Mondiale della Terra. "Guardate cosa abbiamo fatto al mondo", cantava un affranto Michael Jackson nel video Earth Song. Siamo ancora in tempo?
Macerie e morte. La gente viene uccisa e le industrie scaricano nell'ecosistema tutto il veleno possibile. Uno scenario apocalittico. La realtà di Earth Song (1995), dall'album "HIStory: Past, Present and Future - Book I", di Michael Jackson. "What about sunrise? What about rain? What about all the things That you said we were to gain?". Inizia così. Dolorosa. Lenta. Il musicista vestito di stracci mentre avanza tra la terra bruciata. Avanzano i carro armati tra i cadaveri. All'epoca c'erano i Balcani e il Ruanda. Oggi ci siamo dimenticati della Siria, lo Yemen, il Medioriente. E la natura soccombe. Donne e uomini soffocano stesi al suolo.
Gli anni Ottanta non sono stati la mia decade, né culturalmente né musicalmente e non posso certo dire di essere mai stato un fan di Jacko, eppure questa Earth Song mi entrò subito dentro, a tal punto che fu uno dei primi singoli che comprai e una volta passato su cassetta per walkman, andai ad ascoltarmela per la prima volta in totale simbiosi con il grandioso videoclip. A massimo volume, in una giornata di pioggia scrosciante, sulla punta estrema di una diga ai murazzi del Lido di Venezia, da cui poi tornai a casa poi letteralmente fradicio. Altri tempi. Altra età (altra salute soprattutto, ndr). Eppure quel sentire riottoso contro la mano assassina dell'uomo, ancora oggi mi fa ribollire il sangue.
Jackson non ci sta, e dopo la disillusione inizia il cantico di rivolta. What about the seas? (What about us?) The heavens are falling down (What about us?) I can't even breathe (What about us?)
What about crying whales? (What about us?) We're ravaging the seas (What about us?) ... What about children dying? (What about us?) Can't you hear them cry? (What about us?) Where did we go wrong? (Ooh) Someone tell me why (What about us?)... Oggi, 22 aprile 2021, Giornata Mondiale della Terra (Earth Day), sento il bisogno di scrivere qualcosa insieme a Earth Song di Michael Jackson e lottare per un futuro diverso.
TRA LE FIAMME DELLE BUGIE
Affondo il veleno, sono dilaniato... ricercato... Non c'è nulla di estemporaneo nella fine del mondo, perché non vuoi proprio credermi?
Ho fatto un nodo a scorsoio sulla mia idea di pace... Ho fatto un patto con il loro domani e non lo lascerò strisciare dentro protocolli e liane di sicurezza
Hai davvero iniziato ad avere paura? Ti è mai capitato di rescindere l'orrore che obelischi e piramidi hanno scaraventato nella tua mente? Da che parte del mondo sei finito? Lo potrei capire dalle tue prime parole... Lo posso già comprendere dall'odore delle tue impronte a fianco della mia lettera di addio
Brucia l'aria, bruciano gli oceani... Posso stare in silenzio per quanto ancora? Grattacieli di macerie incombono sulle radiazioni emotive smembrate in ogni istante di eccessivo riepilogo
… anche adesso, sotto le mie dita ho ragione di credere di aver appena messo fine a una specie... Le fiamme mi inseguono, e non so più distinguere le stelle dai bagliori dell'inferno
… Faccio breccia nella rete di una promessa primordiale, sono in piedi … Farò di più di stracciare i vostri tanti infernali perché (Venezia, 22 Aprile '21)
Venezia compie 1600 anni ma cosa c'è da festeggiare per noi "messi in vetrina"? Riprendiamoci ponti e canali Mandiamo a casa le iene e gli squali, by Fahrenheit 451.
di Luca Ferrari "[...] Uccidiamo il chiaro di laguna le gondole placide sulla l questa immagine da cartolina questa gente messa in vetrina [...]", cantavano nel lontano 2004 i Fahreneheit 451 nell'emblematica canzone Uccidiamo il chiaro di luna. Un atto d'amore per la città di origine della band, stritolata dal turismo molto prima che venisse anche solo concepita l'idea dei vari Airbnb, e che oggi, prima nel post acqua alta e poi con l'emergenza covid, ha tragicamente messo in evidenza una città senza un futuro che non contempli i soldi dal turismo. Oggi, 25 marzo 2021, si celebrano i 1600 anni dalla fondazione di Venezia? E cosa ci sarebbe da festeggiare, una popolazione allo stremo?
"[...] Camminando tra calli e campielli Si scorgono alti gli antichi vessilli Di una città un tempo regina Che dominava e ora è in rovina [...] si chiude così la prima strofa di Uccidiamo il chiaro di luna, canzone tratta dall'album Greetings from Marghera, e se non è una sentenza, poco ci manca. Ma chi davvero che abita in questa città, vivendola dalla mattina alla sera, avrebbe davvero il coraggio di negare questa evidenza? Se perfino un peso massimo come lo storico Caffè Florian ha paventato la possibilità di non riaprire più, signIfica che la città si è troppo legata all'indotto dei forestieri, che come il mondo ha scoperto, non equivale solo al pernottamento in strutture ricettive e il mangiare nei ristoranti, ma è legato alla gran parte del tessuto economico veneziano.
"[...] Appesi al muro come dei quadri Per i turisti che stanno a guardare Padroni un tempo dei sette mari Venduti al mercato per trenta denari [...]", l'attacco dei Fahreneheit 451 non lascia dubbi a interpretazioni. Negli ultimi decenni le amministrazioni non si sono curate dell'emorragia costante di popolazione "espatriata" in terraferma, le istituzioni culturali allo stremo, le attività storiche perdute per sempre, per non parlare dei servizi per i cittadini. Venezia festeggia i 1600 anni? Io non ho nulla di che celebrare. Quando vedrò questa città investire davvero nel futuro, che sono le persone che ci vivono, allora festeggerò anche ogni giorno. Oggi, 25 marzo 2021, ho ancora voglia di cantare questo ritornello di Uccidiamo il chiaro di luna, "La dignità sol quello ci resta Fermiamo le giostre alziamo la testa Riprendiamoci ponti e canali Mandiamo a casa le iene e gli squali [...]." E ora un'ultima poetica considerazione:
TOCCA A NOI
Quale storia vi hanno raccontato
perché una leggenda di classe abbia sedotto la vita
quotidiana? La marea si è improvvisamente riscaldata, e il mondo ha
creduto ci servissero fazzoletti… Le pietre non rotolano e ci difendono… Colonne d’ercole e calamai, che cosa vogliamo tramandare ai nostri
figli? Il mondo ci vezzeggia, ma noi ci rivolgiamo altrove… Raccolgo la sabbia e guardo oltre il tronfio frastuono campanario…
sapreste farmi una descrizione
autentica di ciò che vi è custodito? Mi sento soccorso, mi sento felice… la sincerità della nebbia oggi ha nascosto Venezia al mondo… non la vedrete, in pochi ci hanno davvero incontrato Qual è la tua direzione tra i ponti della laguna? Su quale frammento del tuo
cuore si accascia sfinito il sole quando assonnato si congeda tra le alghe di montagna? Non posso nemmeno uscire oggi… Non voglio nemmeno uscire
oggi… Sono parte della tua Storia… Farò qualcosa per te… Continuerò a esserci per te (Venezia,
25 Marzo ’21)
Il cantante dei Nirvana, Kurt Cobain, nel video della canzone In Bloom
On the road insieme ai Nirvana, con ancora Chad Channing ai tamburi ai tempi di Bleach. Viaggio nel tempo (primaverile) con la versione alternativa del video di In Bloom.
Il successo era ancora lontano. Kurt, Chris e Chad se ne andavano a zonzo per gli States a suonare in cerca della loro occasione. Una delle prime biografie ufficiali sui Nivana mi accompagnò per una fatidica primavera. Nel walkman ovviamente, anche le canzoni di Nevermind e tutta la discografia della band di Seattle, formatasi in quel diAberdeen (Wa). In quello stesso anno vidi anche il video inedito di In Bloom, le cui immagini erano più legate al periodo del primo album, Bleach (1989). Dietro i tamburi della band c'era ancora Chad Channing. La band era ancora agli esordi. Scanzonata e autentica come solo il rock sa(peva) ispirare.
MUTANTE DI STRADA
Diagonali
imperfette, e
una voglia di realista estraniazione …
non ho dimenticato, non
ho mai voluto farlo… Sulle pagine,
ancora la
ghiaia del mio silenzio più
aggiornato Ma
quanto si assomigliano le
parole se
le osservi senza copertina né
compagni di banco? È
la dimensione, è
la struttura, è
il frastuono, è
l’appunto fulmineo… è
qualcosa che è stato irripetibile Mi
sgravo dall’inconscio, tengo
sempre a mente chi
sono stati … Faccio
il conteggio dei
giorni che non avrei voluto e
non c’è scia di lumaca che
possa frenare la
mia affilata ascesa verso una
nuova tana Ricordatemi
di che colore sono le
tonalità del
tramonto, sarà sempre troppo
tardi per
dichiarare cosa è accaduto Non
vorrei dover arrivare alla
fine, ma perché è
tutti me ne parlano in toni così
amichevoli? Fu
la prima vera stagione di
speranza, ma voi lo avevate capito?...
Una miccia consegnata
al mio passato, una
maschera senza pelle l’intuizione
di un domani comune ... (Venezia, 21 Marzo ’21)
Nirvana, il video di In Bloom
Il batterista dei Nirvana, Chad Channing, nel video della canzone In Bloom
Mariah Carey ed Eddie Vedder (Pearl Jam) sul palco dei Grammy'96
Mariah Carey (in)canta. I Pearl Jam trionfano. Accadde tutto in una notte, alla 38° edizione dei Grammy Awards, il 28 febbraio 1996. Un'emozione indescrivibile.
La performance dal vivo e lo charme di Mariah Carey. Le parole controcorrente e la semplicità umana dei Pearl Jam. Cristallina tecnica vocale, incantevole. Genuini, gli artisti della porta accanto. Mariah Carey, il volto più dolce dello star system. I Pearl Jam, gli impavidi senza atteggiamenti da rock star pompose. Ho spesso vissuto grandi estremi musicali. Alla cerimonia di premiazione della 38° edizione dei Grammy Awards, svoltasi il 28 febbraio 1996 allo Shrine Auditorium di Los Angeles, Mariah Carey e i Boyz II Men aprirono la kermesse cantando One Sweet Day. I Pearl Jam trionfarono nella categoria "Best Rock Performance" con Spin the Black Circle .
Quando si hanno vent'anni la musica è ascoltata in maniera viscerale, specie se c'è il rock a scorrere nelle vene. Il rock dei Pearl Jam non era come il sound sanguigno dei Guns 'n' Roses. Il rock dei Pearl Jam era qualcosa di molto più introspettivo e profondo. Lacerante e totalizzante. Come poteva dunque "amalgamarsi" con le melodie da studio di Mariah Carey? A quel tempo un amico per l'appunto, mi chiese come fosse possibile riuscire ad ascoltare con la medesima passione i Pearl Jam e Maria Carey. Potrei rispondere che fossero i due lati della mia personalità. Speranzoso di una vita d'amore da una parte, segnato da un'esistenza fin lì vissuta con troppa sofferenza, dall'altra.
Il 28 febbraio 1996, zappando da un canale a un altro, scoprii essere trasmessa la cerimonia di premiazione dei Grammy Awards, fin dall'inizio E chi c'era a battezzrla? Lei, la divina Mariah Carey insieme al gruppo Soul R&B Boyz II Men, cantando One Sweet Day, duettata e contenuta anche nell'album Daydream, uscito pochi mesi prima e di cui avevo la cassetta originale. Mariah è splendida. Un incanto. Elegante. Raffinata. Sorriso felice. Chioma morbida. Canta con voce suadente. Agli artisti sul palco si aggiunge nel finale un coro gospel. Per tutta la performance mi dimentico di tante cose, trascinato tra le sue onde vocali. Seduto con le gambe incrociate sul letto, sento una carezza attraversarmi l'anima. Finita la performance sono già a scrivere.
Mariah Carey e i Boyz II Men cantano One Sweet Day ai Grammy '96
Proseguo la visione, convinto di aver già visto il meglio. Poi d'improvviso la voce fuori campo introduce che verrà presentano il Grammy per la Best Hard Rock Performance. "Oooh, finalmente si fa sul serio", penso. Primo sussulto, primi artisti in gara: gli Alice in Chains con la possente Grind, presenti in sala con il chitarrista Jerry Cantrell e il bassista Mike Inez. I secondi artisti chiamati sono loro, i Pearl Jam. con "Spin the Black Circle", canzone dal loro terzo album Vitalogy(1994). Mi parte un adolescenziale urlo di meraviglia. E' la prima volta che li vedo in diretta dal vivo. In quei pochi secondi che vengono inquadrati, riconosco solo il bassista Jeff Ament.
Si susseguono le altre band in gara, chiamando prima gli strepitosi Primus con la divertente Wynona's Big Brown Beaver; i Red Hot Chili Peppers con Blood, Sugar, Sex, Magik di cui sono presenti il neo-chitarrista Dave Navarro e il batterista Chad Smith; i Van Halen con The Seventh Seal. And the winner is... dice l'attrice "Friendsiana" Lisa Kudrow: "Ok, Spin the Black Circle... Pearl Jam". Stavolta la telecamera è tutta per loro. Si alzano. Fanno andare per primo il cantante Eddie Vedder, seguito da Ament, i due chitarristi Stone Gossard e Mike McCready, quindi (per esclusione) il neo-batterista Jack Irons, di cui non avevo mai visto una foto.
Vedder cammina deciso, poi sul palco prende il microfono ma le parole vanno in ben altre direzioni dei ringraziamenti a produttori e simili. Parla a segmenti, toccandosi nervoso spesso la testa. Dice poche cose, e mai banali. Appena può passa la parola a Stone, che subito cede volentieri il microfono a Mike per ringraziare chi conta davvero. Così, dopo l'iniziale Hi mom, Hi dad (ciao mamma, ciao papà) in totale controtendenza, saluta i "rivali" di Seattle, gli Alice in Chains. Rivali che proprio non erano, ma amici. E gli amici veri si sostengono.
La straordinarietà della scena di Seatte fu anche questo: le band non erano in competizione, cosa rimarcata anche da Joey Ramone nel documentario Pearl Jam: Twenty (2011, di Camron Crowe). Pearl Jam, Soundgarden, Alice in Chains erano praticamente una famiglia. Nirvana, Mudhoney, Tad. Tutti si conoscevano. Avevano suonato insieme e cosa ancor più incredibile, sfondarono praticamente insieme. E lì, nella fiera dei ringraziamenti pomposi, i Pearl Jam salutarono i loro amici Alice in Chains. Un'edizione quella dei 38° Grammy Award che vide il rapper Tupac Shakur chiamare i suoi "guys" Kiss, tornati al trucco originale come ai tempi migliori. Una presentazione del rapper ai Grammy, che sarà anche l'ultima. Il 13 settembre dello stesso anno infatti, sarebbe stato assassinato.
28 febbraio 1996. Ho solo diciannove anni e una vita alla costante deriva. Guardo ammaliato Mariah Carey. Vedo i Pearl Jam per la prima volta. Li vedo semplici e genuini. Dopo la premiazione eccoli sparire e per me i Grammy Awards finiscono lì. Qualche mese (e rivista) dopo, avrei ritrovato la band di Seattle a Roma, questa volta dal vivo per la prima volta. Il 12 novembre 1996. Ma questa è un'altra strepitosa storia. Una storia ancor più folle che vi racconterò venerdì 12 novembre 2021, a venticinque anni esatti distanza. Una storia che sarà pubblicata su Live on Two Hands - Le parole come non lo avete mai ascoltate. Intanto però, è tempo di intingere l'ultimo poetico capitolo di questa storia di musica grandiosa ed esistenza tormentata.
LA DOLCEZZA CHE MI SPINTONA
Notti nascoste
in plenilunio sussurrato... lì fuori,
una reazione senza postriboli
nel raccoglitore tagliente
delle emozioni... Una mano
senza scogli da cui essere contagiato,
e l'ultima confessione
sul cuscino abbandonato dei miei domani
Chiedo il responso
al mio cuore... Nemmeno
un sussulto... Chiedo
conferme all'immaginazione
del suo sorriso, il calco
della verità rotea scombussolato
nel labirinto di nuvole
Intendevo ottemperare
ai miei compiti di gratifico splendore,
ti dico che la vita è stata
continua... Forse avete creduto
che avessi voluto fare una pausa,
io parlavo di una lettera... un box
pieno di conchiglie e la luna
sono sempre stati i miei arnesi
per riprendere il cammino...
Vorrei che fossi
solo il mio mondo... Vorrei
che la verità
della tua marea potesse mettere
in stand by qualsiasi paradiso
potessimo mai dimenticare
insieme
Vorrei cominciare
a dirti che... Vedi questa penna,
è la mia mano... Non ho mai
creduto di poter
immaginare un cielo così delicato
…
Un giorno sono sicuro
sognerò qualcosa così vitale... Un
sogno abbastanza grande
da sfrattare le ambizioni della fine...
(Venezia, 28 Febbraio 2021)
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Stone Gossard ed Eddie Vedder, chitarrista e cantante dei Pearl Jam, sul palco dei Grammy
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